Ce l’avevano fatta: dopo un temporaneo ripensamento del Ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, passato tra l’altro in sordina, lo scorso 16 novembre il divieto che vieta la produzione, la commercializzazione e l’importazione in Italia di carne coltivata e altro cibo “sintetico” era diventato legge. «Siamo orgogliosi che l’Italia sia la prima nazione del pianeta a proibire questo tipo di produzioni che cancellano il nostro sistema alimentare tradizionale» è stata la dichiarazione di vittoria del Ministro, aggiungendo che «c’è questa possibilità e noi la riteniamo non in linea con quello che è il modello che conosciamo, che rispettiamo e che ci ha reso anche forti e competitivi in questo settore».
Un primato assoluto per il nostro paese, che è il primo al mondo a promulgare una legge del genere. Let’s party? Ma neanche per idea. Innanzitutto è fresca la notizia che la legge non è entrata in vigore, né lo sarà tanto presto (nonostante alcune prime incertezze sulla presenza o meno della firma di Sergio Mattarella sul disegno di legge, fonti interne alle Commissione Europea hanno fatto sapere di aver ricevuto notifica della legge italiana solamente questa mattina, a discapito dei proclami trionfalisti dalle nostre parti; la firma di Mattarella c’era). Questo perché serve prima una valutazione dell’Europa, e quello che si rischia è una procedura d’infrazione, in quanto le norme incluse nella legge limiterebbero la libera circolazione in Italia dei cibi prodotti in laboratorio. Un unicum non conforme con le regole del mercato comune europeo, secondo cui, in base ai trattati d’adesione, tutti gli Stati membri devono sottostare al parere della Commissione e degli altri paesi su qualsiasi progetto di regolamentazione tecnica che vada a ostacolare la libera circolazione delle merci.
Tutta brace aggiunta alle ire di quelli — tanti — che hanno definito questa legge ingiustificata, anti-scientifica, reazionaria e in contrasto con le norme UE; in altre parole, un autogol che taglierà fuori l’Italia da questa nuova opportunità di ricerca e di business. Chi festeggiava fuori da Palazzo Chigi insieme a Lollo, invece, era il presidente di Coldiretti, Ettore Prandini. L’associazione ha già mostrato in molte occasioni di poter contare sull’aiuto del governo attuale e sembra avere avuto un’influenza fondamentale per il via libera di questo ddl, come risultato di una pressione istituzionale ben esercitata dal suo segretario generale, Vincenzo Gesmundo. L’approvazione di questa legge (159 sì, 53 no e 34 astenuti in totale) è infatti stata possibile grazie all’astensionismo di chi si pensava avrebbe senz’altro votato contro, e questo ha dato adito alla teoria di chi già sosteneva che Coldiretti abbia un potere di pressione lobbistica francamente allarmante: nessuno sembra voler alienarsi i consensi del mondo agricolo.
La grande crociata della destra e di Coldiretti contro la carne coltivata in laboratorio nasce da alcune fobie — le andremo a smentire più tardi col debunking che meritano — ma sembra proprio che l’intento reale non fosse quello dichiarato di difendere l’ideologia del Made in Italy, quanto piuttosto di tutelare l’indotto che gira intorno all’industria florida della carne in Italia.
Per ora, la legge avrà scarso effetto perché l’UE non ha ancora dato il via libera alla carne coltivata in laboratorio, inoltre il divieto di importazione viola le norme europee rispetto alla libera circolazione delle merci, uno dei principi fondanti dell’Unione. Se le istituzioni europee dovessero approvare la commercializzazione di carne coltivata nell’Unione, come appare sempre più verosimile, il divieto verrebbe annullato. Staremo a vedere.
La situazione attuale della carne coltivata negli altri Stati
Il concetto di carne coltivata (o “prodotta in laboratorio”), è stato un elemento ricorrente della fantascienza per decenni. L’idea di produrre carne senza la necessità di allevare e abbattere gli animali è da tempo considerata una soluzione futuristica alle questioni etiche, ambientali e sanitarie associate alla produzione tradizionale di carne. Tuttavia, i recenti progressi nell’agricoltura cellulare hanno avvicinato questo concetto una volta considerato fantascientifico alla realtà, con il potenziale di rivoluzionare l’industria alimentare globale. Dal 2004, anno in cui Jason Matheny ha fondato la New Harvest, la prima organizzazione no-profit al mondo dedicata alla ricerca sulla carne in vitro, la tecnologia è andata avanti alla velocità della luce, con la comparsa di decine di nuove startup e ora la sensazione è quella di essere vicini al perfezionamento e alla scalabilità di questo cibo del futuro.
Al momento tuttavia, Singapore e Stati Uniti sono gli unici paesi ad aver concesso la commercializzazione della carne coltivata. La piccola città-stato asiatica, che ha al contempo un problema di approvvigionamento alimentare e un’industria tecnologica particolarmente avanzata, è stata la prima al mondo a dare il via libera al pollo coltivato della start-up americana Eat Just nel dicembre del 2020; mentre il turno dell’America è stato lo scorso 21 giugno con l’approvazione da parte del Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti (USDA) della carne coltivata prodotta da due aziende — GOOD Meat e UPSIDE Foods, che godono dell’endorsement prezioso della chef Dominique Crenn.
Israele, dove tre delle prime otto aziende di carne coltivata al mondo sono nate (Aleph Farms, Super Meat e Believer Meats), non consente ancora la vendita in loco ma è diventata la prima nazione al mondo a produrre in massa con questo tipo di tecnologia. Il governo israeliano investe enormi quantità di denaro per promuovere le proteine alternative come motore di crescita economica, come tecnologia per mitigare la crisi climatica e come risorsa per la sicurezza alimentare, ed è notizia recente che le autorità islamiche ed ebraiche hanno stabilito che alcune carni ottenute in laboratorio sono consentite in base a queste restrizioni dietetiche religiose.
Avvicinandoci al nostro continente, abbiamo il Regno Unito che mantiene ancora le norme pre-Brexit e segue le normative dell’UE per quanto riguarda la carne coltivata, ma è pronto a firmare un accordo con Israele per rafforzare la collaborazione sulla carne coltivata in cellule. La notizia è arrivata due mesi dopo che la israeliana Aleph Farms — che tra gli investitori ha Leonardo di Caprio — è diventata la prima azienda produttrice di carne coltivata a richiedere l’approvazione normativa nel Regno Unito, a dieci anni di distanza dalla prima presentazione al mondo di un burger di manzo a Londra. L’azienda aveva già mandato una primissima richiesta di approvazione alla Svizzera lo scorso luglio; una volta che si otterrà l’approvazione dalle autorità svizzere, la catena locale di supermercati Migros intende introdurre il prodotto inizialmente nei ristoranti di fascia alta, prima di renderlo gradualmente disponibile sugli scaffali dei supermercati. Forse si dovrà attendere fino al 2030 circa perché il prodotto sia completamente approvato e ampiamente accessibile.
Venendo all’UE, la carne coltivata a partire da cellule staminali non è ancora commerciabile. La procedura di approvazione per i cosiddetti novel foods è estremamente rigorosa, ma il primo passo verso una richiesta di approvazione è stato appena compiuto dall’azienda biotecnologica The Cultivated B (TCB) di Heidelberg, in Germania, che a metà settembre ha iniziato un iter di discussione che forse porterà, tra qualche anno, all’approvazione per il commercio di un prodotto ibrido di salsiccia composto da ingredienti vegani, comprese quantità significative di carne coltivata.
L’Europa si può comunque avvalere di un alleato molto importante, il Good Food Institute, think tank no-profit che lavora per rendere il sistema alimentare globale migliore per il pianeta, le persone e gli animali. Insieme a scienziati, aziende e politici, i team del GFI si concentrano sul rendere la carne vegetale e coltivata buona, conveniente e accessibile.
I Paesi Bassi sono da poco diventati il primo stato membro ad approvare la degustazione preventiva di alimenti coltivati direttamente da cellule animali, consentendo agli scienziati alimentari di testare i loro prodotti con i consumatori. Questo apre le porte a un miglioramento del settore per aziende locali come Meatable e Mosa Meat, oltre che per innovatori emergenti nel campo delle proteine alternative.
Infine c’è il nostro paese, che ha fatto notizia decidendo di stare dalla parte sbagliata della storia. Ma quali sono i miti infondati su cui si è costruita la lotta ideologica contro la carne coltivata in laboratorio? Affrontiamo i quattro principali e il loro relativo debunking.
Il cibo Frankenstein fatto di cellule cancerose
Da un comunicato stampa Coldiretti del 2021: «L’alto tasso di proliferazione cellulare può indurre instabilità genetica delle cellule sostenendo la potenziale proliferazione di cellule cancerose sporadiche; inoltre, non abbiamo finora la garanzia che tutti i prodotti chimici necessari per la coltura cellulare siano sicuri nel contesto del consumo alimentare».
A partire dalla prima comparsa della possibilità di una carne ottenuta in laboratorio senza sacrificio di vite animali, i detrattori l’hanno soprannominata Frankenmeat (o “cibo Frankenstein” in Italia), a volerne sottolineare l’assurdità e la distopia.
Alcuni scettici credono addirittura che questa tecnologia utilizzi cellule tumorali a rapida crescita, con tutti i rischi del caso per la salute. A smentire questo mito una volta per tutte ci ha pensato Bloomberg nel febbraio 2023, spiegando che le start-up leader nel settore utilizzano cellule “immortalizzate” che, sebbene tecnicamente definite pre-cancerose, non fanno venire il cancro. Gli scienziati alimentari usano infatti cellule staminali provenienti da animali vivi o uova fecondate, selezionando le migliori per farle crescere in bioreattori o coltivatori. Il processo, spiegato dal Good Food Institute, comporta l’uso di un terreno nutriente e cambiamenti che inducono le cellule immature a differenziarsi nei tessuti muscolari, grassi e connettivi della carne — e queste cellule non sono cancerogene, come ha sottolineato la FAO, respingendo le preoccupazioni sulla possibilità di cancro derivante dalla carne coltivata. Inoltre, la cottura e la digestione distruggerebbero eventuali cellule cancerogene o pre-cancerogene, ben presenti anche nella carne tradizionale.
Forse chi è spaventato farebbe meglio a pensare piuttosto al potenziale di queste cellule immortalizzate che un giorno potrebbero essere la chiave per alimentare persone in tutto il mondo per molti anni a venire e per salvare un numero incalcolabile di animali dalla macellazione.
“È carne finta, come quella dei vegani”
Con sempre più consumatori che scelgono di escludere la carne animale dalle loro scelte alimentari, che sia per motivi di salute, etica o ambientali, negli ultimi tempi sono apparse due alternative: la carne finta a base vegetale o la carne coltivata in laboratorio. Le due cose sono completamente diverse ed è arrivato il momento di spiegarlo una volta per tutte.
Da un lato abbiamo la fake meat: da non confondere con la cotoletta di soia o il burger di melanzane, le nuove alternative a base vegetale del tutto simili per aspetto, gusto e texture alla vera carne stanno guadagnando rapidamente popolarità anche tra gli onnivori. Il metodo più diffuso per produrle è l’estrazione ad alta umidità, dove proteine vegetali vengono sottoposte a stress termici e meccanici per ottenere una consistenza simile a quella della carne.
La carne coltivata in laboratorio, invece, utilizza campioni di muscolo e cellule staminali degli animali, dunque contiene proteine animali ed è, a tutti gli effetti, carne vera, ma con una frazione delle preoccupazioni ambientali e etiche.
La carne coltivata in laboratorio è da considerare vegana? Beh, c’è un dibattito in corso, che probabilmente non vedrà presto una risoluzione. Come spiegato da Wired, alcuni la considerano non vegana poiché fonda la propria esistenza sullo sfruttamento degli animali per l’approvvigionamento di cellule staminali, violando quindi la definizione di veganismo come esclusione della “exploitation” degli animali. Gli stessi sostengono che la carne coltivata sia specista, poiché non risolve le questioni più ampie della relazione umana con la natura. Sebbene l’ideale vegano sia la completa abolizione dell’uso di animali, la carne coltivata in laboratorio potrebbe però rappresentare un passo avanti nel ridurre la sofferenza animale e l’impatto ambientale. In conclusione, sempre secondo Jude Whiley su Wired, i vegani potrebbero invece inserirsi nel discorso e guidare la discussione sulla produzione di carne coltivata, enfatizzando l’importanza di garantire l’etichettatura corretta e l’adozione di pratiche sostenibili per massimizzare il suo impatto positivo.
“Non salva l’ambiente perché consuma più acqua ed energia di molti allevamenti tradizionali”
Dallo stesso comunicato stampa di Coldiretti: «La carne Frankenstein non salva neppure l’ambiente né riduce gli impatti sui cambiamenti climatici. Secondo un recente studio condotto da un gruppo di scienziati della Oxford Martin School, gli impatti ambientali della bistecca sintetica, cui è associato un intenso consumo di energia, potrebbero provocare nel lungo termine un maggiore riscaldamento globale. Oltre a ciò il processo di produzione della carne sintetica richiede consumi di acqua che sono di gran lunga superiori a quelli di molti allevamenti, producendo peraltro enormi quantità di molecole chimiche e organiche i cui residui sono altamente inquinanti per le risorse idriche secondo l’Inra French Institute for Agricultural Research».
Com’è noto anche ai muri, l’allevamento tradizionale di bestiame ha un impatto pesante sull’ambiente, contribuendo al 14,5% delle emissioni di gas serra antropogeniche secondo la FAO. La produzione di 1 kg di carne bovina può generare emissioni pari a circa 100 kg di anidride carbonica equivalente. Oltre alle emissioni, l’allevamento causa inquinamento del suolo, deforestazione e consumo significativo di risorse idriche e alimentari. La carne coltivata in laboratorio è stata vista come una soluzione per evitare questi impatti ambientali, ma uno studio preliminare dell’Università della California, Davis, suggerisce che l'”impatto ambientale” della sua produzione potrebbe essere notevolmente superiore a quello della carne bovina tradizionale. Lo studio commette però l’errore di modellare la produzione sull’industria biofarmaceutica ad alta intensità energetica, non tenendo in considerazione il fatto che la produzione di carne in laboratorio non è ancora stata scalata in modo significativo, infatti il risultato contrasta con studi precedenti che indicavano una riduzione significativa dell’impatto ambientale con la carne coltivata. Ad esempio, un’analisi del gennaio 2023 prevedeva che, entro il 2030, la produzione di carne coltivata potrebbe abbassare l’impronta di carbonio della carne bovina a 14 chilogrammi di CO2.
Inoltre, poiché la carne prodotta in laboratorio richiede meno acqua rispetto all’allevamento — può ridurre il consumo di acqua tra l’82 e il 96%, a seconda dell’animale — potrebbe aumentare la sicurezza alimentare nei luoghi in cui l’acqua scarseggia.
Se il mondo approverà la carne coltivata, dove andremo a finire?
Non appena una nuova tecnologia diventa nota al grande pubblico, le reazioni si polarizzano: gli entusiasti da una parte, chi soffre di neofobia dall’altra. Parlando di cibo, ci siamo passati già diverse volte, dalla fake meat agli insetti in cucina. Chiedo a voi che avete visto con terrore e preoccupazione a queste novità: qualcuno vi ha obbligati a mangiare polpette di locuste?
Non è chiaro perché venga sostenuto che la carne coltivata sia più rischiosa per la salute rispetto a quella rossa e agli insaccati. Al contrario, la produzione di cibo in laboratorio offre l’opportunità di evitare l’uso eccessivo di antibiotici e ormoni, ridurre i grassi saturi e il colesterolo rispetto alla carne tradizionale, e minimizzare il rischio di contaminazione da patogeni poiché non proviene dagli allevamenti.
C’è chi teme addirittura che coltivare carne in laboratorio possa portare a derive etiche anche peggiori di quelle temute dopo la pecora Dolly, come ad esempio il cannibalismo: qualche scienziato pazzo otterrà l’approvazione per la coltura di cellule di carne umana, come paradosso dell’antispecismo? Il pubblico inglese ci ha quasi creduto lo scorso luglio con il mockumentary di Channel 4 The British Miracle Meat.
In una società come la nostra caratterizzata dal Meat Paradox, per cui amiamo sempre di più gli animali come oggetto d’affezione, maialini nani e capre tibetane incluse, la produzione di carne senza sacrificio di animali sembra un sogno, specialmente per gli onnivori ma anche per chi ha scelto di rinunciare alla carne per questioni etiche e ambientali. Quindi, dove andremo a finire? Molto probabilmente in un luogo molto migliore rispetto a quello di oggi, basta lasciare alla scienza fare il suo corso.