Al Tokyo Game Show, affrontata e superata la prima coda (Yakuza 7), ho girovagato senza meta all’interno della Makuhari Messe in attesa dell’ora X, dove la X in questione aveva un nome ben preciso: Project Resistance. Mentre recuperavo un quantitativo abnorme di depliant informativi ho pensato a Capcom, e alla direzione presa nel corso degli anni dalla saga di Resident Evil. Una direzione che, pur rimanendo sempre sulla via del genere action, ha spesso seguito strade differenti. Non un appiattimento delle dinamiche di gioco, con una riproposizione costante delle medesime soluzioni, ma varianti dotate di caratteristiche distinte. A volte riuscite, a volte meno, ma comunque apprezzabili nel tentativo di evitare l’effetto fotocopia pur restando fedeli ai capisaldi della serie. Accompagnato da questo pensiero, uno sguardo all’orologio e via. L’ora X era giunta.
Abbiam fatto le squadre prima!
Multigiocatore asimmetrico. Una terminologia tecnica per descrivere un concetto molto semplice. Tutti contro uno. Nel caso di Project Resistance, il tutti corrisponde a un numero ben preciso: quattro. Facile pensare che in quattro contro uno, il povero e solitario uno sarà costretto a stare sulla difensiva per evitare di prendere una sonora dose di schiaffi. E invece no, non è così. Perché è vero, gli schiaffi, parlando in maniera figurata, volano. Ma non sempre in una sola direzione. Anzi, in diverse situazioni è proprio l’uno, conosciuto con il nome di Mastermind, a essere più pericoloso, più potenzialmente letale, in possesso di un maggior quantitativo di opzioni, di armi e di risorse da sfruttare. Per fare cosa? Semplice, per eliminare fisicamente i quattro malcapitati personaggi rinchiusi all’interno di un impianto della Umbrella Corporation o, in alternativa, per impedirgli di riuscire a fuggire entro un tempo prestabilito. Una vera e propria caccia all’uomo, che si sviluppa in diversi ambienti e in varie fasi, tre per la precisione, scandite dallo scorrere del tempo. Ci sono obiettivi intermedi da portare a termine per i quattro, e ci sono un buon quantitativo di variabili da tenere in considerazione. C’è un contesto visivo che rimanda alla saga di Resident Evil, ci sono volti noti (tra i “nemici”) e un cast composto da new-entry pronte a tuffarsi nell’orrore. C’è del nuovo, c’è del vecchio e c’è tanto, tanto da fare…
La grande fuga
Volevo fare il Mastermind. Sì, volevo fare il cattivone di turno, osservare le mie potenziali vittime tramite il sistema di telecamere installate in ogni stanza. Volevo avere la possibilità di piazzare delle trappole. Volevo creare ogni genere di diversivo, magari non letale, ma capace di far scorrere preziosi secondi sul cronometro che scandisce il conto alla rovescia. Perché in Project Resistance il tempo non è denaro. Il tempo è vita. Volevo provare l’emozione di generare una creatura infetta e scegliere in quale zona della base farla entrare in gioco. Dopo averlo detestato con tutte le mie forze in Resident Evil 2, volevo che Mr. X diventasse il mio più grande alleato, che scendesse in campo al mio comando e che posasse le sue mani di dimensioni extralarge sulle mie prede. Anzi, aggiungerò di più. Non solo volevo tutto questo, ma volevo anche controllare “fisicamente” sia Mr. X che qualunque altro mostro pronto all’azione. Volevo muoverli con il pad, guidarli nei loro attacchi con la pressione di un tasto. Purtroppo tutto questo non è avvenuto. Non è infatti stato possibile scegliere che ruolo interpretare, e mi sono dovuto accontentare di vestire i panni di uno dei quattro fuggitivi. Mi sono trovato a subire tutte le azioni sopradescritte, provando a coordinare i miei sforzi con quelli di altri tre malcapitati giocatori. Il risultato è stato drammatico per quanto riguarda la riuscita della nostra missione. Mi piacerebbe dire che siamo morti eroicamente, mi limito a un “siamo morti e basta”, resistendo alcuni minuti, superando senza particolari patemi d’animo una prima fase e capitolando in maniera inequivocabile in quella successiva. Una manciata di minuti trascorsi tra difficoltà di comunicazione e qualche vago tentativo di gioco di squadra, che hanno però evidenziato come le fondamenta su cui si basa la struttura di Project Resistance sembrano essere piuttosto solide. Ci sono semplici obiettivi da portare a termine, c’è una buona varietà di armi, ci sono differenti abilità (hackeraggio telecamere, poteri curativi…) e c’è un’atmosfera che convince, con una sensazione costante di tensione che accompagna ogni passo.
Il futuro?
Due sono le parole che mi vengono in mente terminata la prova. Equilibrio e contenuti. Sono due aspetti che segneranno il destino di Project Resistance, e che potranno contribuire a decretarne il successo o il fallimento. Capcom dovrà essere brava a trovare il giusto bilanciamento tra le due “fazioni” (al primo impatto il Mastermind sembra decisamente più figo da controllare rispetto ai fuggitivi) e a proporre un pacchetto il più ampio possibile, che offra mappe che si diversifichino tra loro per layout, estetica e insidie proposte. Il punto di partenza è comunque piuttosto interessante, e già la fase di closed beta (prevista tra il 4 e il 7 ottobre) potrà essere un interessante banco di prova che permetterà di vestire con maggiore calma i panni del cacciatore… e delle prede!