Storie di amore e di pancia: La Libera, Milano, e il piccolo mondo che abbiamo perso | Rolling Stone Italia
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Storie di amore e di pancia: La Libera, Milano, e il piccolo mondo che abbiamo perso

Il primo febbraio 2025, lo storico ristorante La Libera ha cambiato gestione. Così lasciamo indietro un altro pezzo di quella città creativa, collante di anime, e della nostra memoria storica

La Libera Milano

Italo e La Libera

Foto: Amaranta Pedrani

Milano ha perso un altro luogo di identità: La Libera, leggendario ristorante di Brera, ha lasciato la sua gestione storica il primo febbraio, e la città si trova un po’ più sola. Ritrovarsi tutt’a un tratto senza Gino (Narducci, nda) e Italo (Manca, nda) ad accoglierti, in quello che per cosi lungo tempo è stata casa loro, e anche un po’ nostra, è un tonfo al cuore. Di quel luogo, cos’ come è stato costituito, resta il bell’involucro.

 

Collante di vite e di memorie di quella Milano costellata di animi effervescenti e creativi, di quelli che hanno fatto grande “Milan”. La Libera è stato un luogo così, che ha dato conforto di pancia e anima non solo a me, che ci sono cresciuta dentro, ma ad almeno tre generazioni. Che di padre in figlio, in un inarrestabile passaparola, ci si sono ritrovati accolti e coccolati. Un rifugio autentico per tutti coloro che hanno frequentato e amato Brera, e non era mica il quartiere di grido che ora è.

 

Alla Libera ci si andava non solo per il cibo, preparato con attenzione nella piena tradizione lombarda (mitica la sua cotoletta, il riso al salto, il fotonico spaghettino al pomodoro, che era il vero ristoro quando non si necessitava di troppo). Ma anche per ritrovarsi a scambiare chiacchiere sul mondo e sullimperfezione delle cose. Le potevi incontrare solo varcando la sua soglia.

 

Immancabilmente seduto al tavolo tondo d’ingresso, o dietro al banco a gestire la danza della serata, Italo, vestito di tutto punto, era lì, papillon al collo e le edizioni dei giornali di mezzo mondo, ad accoglierti. Italo, figura imprescindibile della Libera, ha accompagnato la storia e le decadi del ristorante con il suo stile e la sua presenza. 

 

La Libera Milano

Italo della Libera. Foto: Andrea Cherchi

Dandy più di un dandy, marinaio giramondo, ex pugile peso piuma, coperto di tatuaggi ma rigorosamente nascosti dalla sua impeccabile tenuta, ha fatto sì che lallure del luogo divenisse mitica.

 

Bon viveur, ha creato più di un luogo a Milano che ha dettato le regole del saper dare calore e identità agli spazi. Da sotto i suoi baffi, incorniciati sempre da un sigaro cubano, ha dato vita a un modo tutto milanese di creare atmosfere e luoghi. A partire dalla musica – quella jazz, sua grande passione – e dalla colonna sonora come un marchio di fabbrica.

 

Allora cosa significa fare ristorazione forse lo dovremmo chiedere a Italo e Gino, i due che hanno aperto l’avventura della Libera, che nasce il 21 novembre del 1980 in Via Palermo 21. Alle spalle Italo aveva già storie di successo come La VittoriaIl BancoLe StanzeIl NazionaleLe BandiereIl Timè. Oggi sono tutti troppo stanchi per continuare quella tradizione di chi, con il sorriso, ama far star bene.

 

Italo, sardo di nascita e sanremese d’adozione, inizia come bartender e dal banco serve persino W.Churchill a Montecarlo. Poi continua il girovagare e apprende esperienza tra isole caraibiche, Londra, New York. Amante del buon bere, dei sigari cubani e degli abiti sartoriali, negli anni 70 torna a Milano e inizia le nuove avventure che lo porteranno a costituire la sua “casa” nella Libera. Girovagava sempre con la sua bicicletta alla mano per il quartiere, chissà ora dove andrà a sedere.

 

La Libera Milano

Italo alla Libera. Foto: Amaranta Pedrani

No, con Gino e i ragazzi del team storico non si sbagliava mai una volta ad andare. Potevi solo star bene. Quello che di magico si è respirato qui, infatti, è un grande senso di famiglia. Tutto aveva il giusto equilibrio, dalla boiserie allo splendido bancone, dai colori allilluminazione fino allo specchio della sala, in cui riflettendoti ti accompagnava la scritta che lo incorniciava: La fame è il miglior cuoco. Nulla di meglio per cominciare a mangiare.

 

La Libera pareva un progetto culturale, triangolazione tra Milano, la Parigi dei bistrot e la dinamicità di New York. Tra i suoi tavoli sono passati davvero tutti, politica e spettacolo, catturati dallo charme dello star bene e dalla convivialità. Ti potevi imbattere in Fercioni, il tatuatore italiano per eccellenza, Philippe Daverio che con Italo faceva a garaa chi indossava il cravattino di Chervait più bello; Ornella Vanoni tanto habitué da rispondere lei stessa al telefono, a volte, per le prenotazioni. Ma anche il Pino Daniele degli anni 90, o Renato Zero.

 

Anche Woody Allen era affezionato a quella cucina che, a mezzanotte ancora, offriva accoglienza. Lo sapevano bene quelli del dopo Teatro del Piccolo, che ancora a quell’ora potevano trovare ristoro. Galleristi, artisti, procuratori, giornalisti, direttori di luoghi prestigiosi e anche la moda, quella giusta; tutti a metter gamba sotto al tavolo! Nessuno si è mai sentito intimidito. Lì si incontrava il discreto fascino delleleganza. Senza il banale far rumore di quelli che si vogliono far notare. Sapendo rispettare, da parte di tutti, il bisogno che semplicemente abbiamo di mangiare, facendosi custode delle storie che permeano la città.

 

La Libera Milano

Foto: Andrea Cherchi

Il passaggio di proprietà ha provocato grande tristezza e anche un po’ di rabbia, quella che nasce da quando ti senti destabilizzato. Ma come si fa «a restare calmi quando tutti intorno fanno rumore», avrebbe detto Battiato, e forse dalla sua trascendentale calma si dovrebbe apprendere, ma proprio non ci si capacita di come le trasformazioni e il mutare del tempo alterino così tanto lessenza delle cose.

 

Quanta influenza hanno sulla nostra vita i luoghi che frequentiamo? Credo molta. Custodi di flussi e modi, contenitori che raccolgono memoria, quelle personali di noi tutti, come anche quelle della città a cui appartengono. La connessione che instauriamo è tutta nostra, appartiene alle nostre percezioni e alla nostra storia personale che si interseca con le pareti del luogo amato. Perché il luogo sarà pure una parte delimitata dello spazio, ma sa assorbire storie e farsi universo.

 

Ed ora il rischio è che tutto diventi anonimo. Era bello quando le note jazz la facevano da padrone, e il calore mordente del ritmo si sentiva e interscambiava con la danza delle cene in sala (non so perché scrivendo queste righe sento la voce di Paolo Conte, come se le cantasse lui).

 

La Libera Milano

Italo alla Libera. Foto: Amaranta Pedrani

Bisognerebbe saper preservare luoghi e identità come bene pubblico, patrimonio culturale, memoria e identità sociale, perché proprio dall’identità, del sentirsi appartenere che si crea la storia della collettività. Se si perde questo, la città diventa elemento vuoto e discrepante. Iluoghi senza anima non ci lasciano con una vera necessità di tornarci.

 

Gino, i ragazzi della sala (Susanne, Lavinia, Giangi e gli altri), Amila sempre pronto dietro al banco, la cucina con Ariano e Daniele, sono stati la cassaforte di questa memoria, carrellata immemorabile di una Milano che oramai è evanescente.

 

Alla Libera si è chiusa unera. E viene da domandarsi dove poter ritrovare la stessa classe ed eleganza danimo. Ma la sua storia rimarrà un ricordo nella memoria di chi veramente lha vissuta, e per fortuna siamo in tanti.

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