Rolling Stone Italia

5 film di Michelangelo Antonioni per vivere meglio

Cento anni dalla nascita del maestro maestro. E cinque dei suoi titoli più belli per ricordarlo. Mettetevi comodi

I vinti (1953)

Per la sua opera seconda dopo l’acclamato esordio Cronaca di un amore di tre anni prima, Antonioni passa alla cronaca vera e propria. Dirigendo tre episodi (in tre lingue diverse: già si intravedeva la sua modernità) ispirati a tre veri casi di furto o omicidio. Finito nelle maglie della censura, il film è oggi ingiustamente considerato uno dei titoli “minori” del regista. Che invece dimostra la sua adesione, precisa e insieme poetica, alla realtà. Grazie anche al contribuito di un assistente speciale: Francesco Rosi. Si vede.

La signora senza camelie (1953)

Nello stesso anno dei Vinti, un ritorno al mélo in piena regola. E che ritorno. Torna anche Lucia Bosè, già protagonista di Cronaca di un amore: stavolta è un’ex commessa milanese diventata attrice (praticamente la sua biografia), ma sfruttata più per la sua bellezza che per il suo talento. Nel cinema “sociale” del dopoguerra italiano, Antonioni sgancia un’altra bomba solo apparentemente sentimentale, ma capace in realtà di raccontare con esattezza certosina la società dell’epoca. E i suoi sogni (im)possibili.

Il grido (1957)

Dimenticato dal pubblico (e sottovalutato anche da certa critica), Il grido è un altro impressionante spaccato psico-antropologico sull’Italia degli anni ’50. L’azione si sposta sul delta del Po, ma resta ancorata al ritratto delle emozioni all’epoca del Boom. Ora tocca a un uomo (Steve Cochran) combattere contro le speranze tradite del Boom, e con il rapporto eternamente teso e feroce con l’altro sesso (tra le “sue” donne, una regale Alida Valli). È l’inizio (non ufficiale) dell’incomunicabilità, croce e delizia di Michelangelo.

L’avventura (1960)

Il primo film di Antonioni con Monica Vitti, che diventerà la sua musa pubblica e privata, è anche quello forse più celebrato. E il titolo che lancia definitivamente il regista sulla ribalta internazionale. Primo capitolo della trilogia dell’incomunicabilità, ormai fatta manifesto, è il racconto di una misteriosa sparizione sullo sfondo delle isole Eolie, ma soprattutto dell’imprendibile materia di cui è fatto l’amore. Gabriele Ferzetti e Lea Massari formano gli altri due lati di un triangolo modernissimo e mai visto prima, tanto che il film è considerato l’apripista della “seconda rinascita del cinema italiano”.

La notte (1961)

Altro giro, altra Vitti. E altra Milano: stavolta quella della borghesia e del design dei primi anni ’60. Il secondo capitolo della trilogia dell’incomunicabilità è concentrato in un arco temporale che va dal tramonto all’alba. E che mette al centro un altro triangolo da far esplodere il cervello ancora oggi: Marcello Mastroianni (il marito), Jeanne Moreau (la moglie) e Monica Vitti (la terza incomoda, in memorabile versione bruna). Uno dei film di Michelangelo Antonioni preferiti dai registi dell’epoca e dei decenni successivi. E anche da noi.

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