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Nato il 25 aprile del 1940 a New York (e dove se no), il volto simbolo della New Wave anni ’70 (e oltre) è ancora instancabile: icona che non si può non chiamare quando c’è da celebrare il cinema che fu (vedi il cameo per Tarantino in C’era una volta a... Hollywood), divo per la nona volta candidato all’Oscar (per The Irishman di Martin Scorsese) e pure star da serie di culto (vedi il nazi-action Hunters su Amazon Prime Video). Se 10 film vi sembran pochi (e lo sono), vi bastino per festeggiarlo. Auguri, Al.
Quinto film e prima nomination all’Oscar come protagonista. Diretto da Sidney Lumet, il nostro è il (vero) poliziotto anti-poliziotti che denuncia un intero sistema e suggella un nuovo modo di fare cinema (e di recitare). La critica si sperticò in giuste lodi per l’interpretazione del protagonista: era (definitivamente) nata una stella.
Se il primo capitolo della saga di Francis Ford Coppola gli era valso una candidatura come miglior non protagonista, è l’episodio numero 2 (da molti considerato il migliore della serie) a consacrare il personaggio di Michael Corleone: la piazza (e la scena) è sua, ora che Don Vito/Marlon Brando se n’è andato. Ancora una nomination, ma il premiato fu il “supporting” De Niro.
Una delle telefonate più belle e struggenti della storia del cinema. Quella in commissariato tra Sonny, il rapinatore senza niente da perdere di Pacino, e l’“amico” gay Leon: una bomba nel cinema (e nella società conservatrice) di allora. E anche uno dei momenti in cui Al, ancora diretto da Lumet, rivela tutta la sua umanità. Solita candidatura all’Oscar come lead actor: con lui va così.
Vasche di marmo piene di schiuma, cocaina a fiumi, gioiellazzi bling-bling: Al definisce il gangster moderno (vedi tutte le Gomorre di oggi) con il ritratto di Tony Montana offertogli da un Brian De Palma scatenato quanto lui. Il remake del film omonimo di Howard Hawks del 1932 è un instant classic tutto nuovo, mandato a memoria dalle future generazioni. Nessuna nomination all’Oscar, nemmeno al protagonista: vergogna!
In un film di stelle vecchie e nuove (Jack Lemmon, Kevin Spacey, Ed Harris, Alan Arkin, Alec Baldwin, Jonathan Pryce) spicca il re dei venditori Ricky Roma di Pacino, l’unico a strappare una nomination come non protagonista. L’impianto teatrale non danneggia la performance, anzi la esalta come è spesso accaduto altrove: vedi il “suo” Riccardo III o la miniserie Angels in America, dal palcoscenico alla vita, grazie ad Al.
Il reboot, come si direbbe oggi, della dramedy di Dino Risi con Vittorio Gassman regala a Pacino l’unico Academy Award (incredibile ma vero) della sua carriera. Non sarà forse il suo ruolo migliore, ma il colonnello Frank Slade, non vedente on the road, non l’ha mai dimenticato nessuno.
Ancora De Palma, e ancora un romanzo criminale sospeso tra intrattenimento pop e affresco d’autore. Stavolta è quello di Carlito Brigante, ex spacciatore portoricano che prova a rifarsi una vita dopo il carcere. Ma il destino è (ovviamente) segnato. Sottovalutato all’epoca (e, pure questo, senza riconoscimenti istituzionali), non è invecchiato di un fotogramma.
Prima o poi doveva succedere: Al e Bob nella stessa scena. Ufficialmente, Pacino e De Niro erano già stati insieme nel Padrino – Parte II: ma il secondo faceva il padre (nei flashback) del primo, quindi non vale. Michael Mann offre ai due lord del cinema USA l’occasione perfetta: un action-noir sospeso tra classicità e modernità, quasi un ponte tra il loro cinema di ieri e quello che verrà. Come sarà, molti anni dopo, The Irishman di Scorsese. Ma questa è un’altra storia (vedere più avanti).
Date ad Al Pacino un monologo, e state tranquilli che ruberà la scena a tutti. Anche, in questo caso, alla regia testosteronica di Oliver Stone. L’allenatore “vecchia scuola” Tony D’Amato riesce in pochi minuti a condensare tutta l’ispirazione, la rabbia e la follia che sta dietro il sogno (del football) americano. Nessuna nomination: no, non stiamo scherzando.
A quasi ottant’anni, l’incontro (finalmente!) col concittadino Marty. Che lo chiama ad interpretare il gangsta-sindacalista Jimmy Hoffa. In un film che è insieme canto spietato e sentimentale di un’epoca (e di un cinema) che non c’è più e celebrazione delle icone di ieri come di oggi: Al ritrova Bob, e tanto basta a siglare (ancora una volta) il mito.
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