Rolling Stone Italia

Il sesso, il cinema, la violenza: David Cronenberg come non l’avete mai visto

I “demoni sotto la pelle” di uno degli autori più geniali, innovativi e controversi dagli anni ’70 a oggi in un estratto in anteprima di ‘Una storia di violenza’, raccolta di conversazioni con il regista canadese pubblicata in Italia da Wudz
David Cronenberg

Foto: Press/Creative Commons

Pubblichiamo un estratto in anteprima di Una storia di violenza, raccolta di storiche interviste rilasciate da David Cronenberg e portate per la prima volta in Italia da Wudz. La conversazione era originariamente contenuta in Inner Views: Filmmakers in Conversation, a cura di David Breskin, Faber & Faber, New York 1992.

La copertina del libro. Foto: press

Entriamo in uno dei suoi argomenti preferiti: le questioni di genere.
Andiamo al bar, beviamo qualcosa e discutiamo di questioni di genere (ride).

Le è già stato chiesto in passato dell’“umiliazione sessuale” delle donne nei suoi film, e le ho appena letto una delle sue risposte, che forse è il modo migliore per entrare in questa discussione: «Credo che abbia certamente a che fare con il fatto che sono un maschio, e che le mie fantasie e il mio inconscio sono maschili. Credo di lasciare esprimere in maniera ragionevole la parte femminile che è in me, ma penso in ogni caso di essere fondamentalmente un maschio eterosessuale […], non ho motivo di pensare che debba concedere lo stesso spazio a tutte le fantasie sessuali, che siano mie o di qualcun altro. Che quelle persone facciano i loro film, io farò i miei […], se ho intenzione di affrontare scene di bondage e di tortura, mi viene naturale mostrare una donna piuttosto che un uomo […]. Le fantasie sono sessuali, non sessiste».
Dico “fondamentalmente eterosessuale”. Di recente stavo parlando con un giornalista che ha fatto un’osservazione molto convincente sull’omosessualità che attraversa tutto il mio lavoro. E io ho risposto: «Be’, sa, sono interessato alla sessualità e, come faccio di solito, non voglio mettere dei limiti a quello che potrei sperimentare». Una delle ragioni per cui si fa arte è vivere la vita di altre persone e collegarsi ad altre modalità. Una delle ragioni per cui gli attori recitano è essere altre persone. Quindi non ho paura dell’omosessualità e non ho paura di esplorare queste cose. Le ho esplorate nei film. Diciamo che nei miei film frusto e torturo anche alcuni uomini.

Le faccio notare che uno dei motivi per cui lei ha sostenuto, anni fa, di non essere in sintonia al cento per cento con Burroughs era che le sue fantasie di ragazzi impiccati che vengono sodomizzati non le appartenevano.
Mi risulta che inculare un ragazzo impiccato non sia esattamente una fantasia sessuale di William Burroughs. Perché so da dove proviene. È un po’ troppo facile dire: «È la sua fantasia, non la mia». In realtà, è una fantasia di entrambi, nel senso che quando l’ho letta, lui è riuscito a renderla erotica per me. Quando l’ho letta, è riuscito a renderla una mia fantasia. Ciò che normalmente ti repelle diventa improvvisamente seducente ed erotico: questa è la mia lettura di Burroughs. Molte persone si fermano in superficie e si girano dall’altra parte, dicendo: «È disgustoso, non voglio averci niente a che fare!». Ma se ci si immerge e non ci si oppone, se si permette al libro di accedere al proprio inconscio, si scopre che fa appello a molti luoghi che sono inquietanti. Quando giro un film, non sono più un lettore del libro, ma il creatore di questo mondo che mostrerò sullo schermo. Opero da un punto di vista diverso. Ho parlato con William [Burroughs] del fatto che non ero sicuro di quale sessualità volessi mettere in scena con Il pasto nudo, perché la mia sessualità è diversa dalla sua. Non potevo garantirgli che il film avrebbe ritratto, o duplicato, la sua sensibilità sessuale. E lui mi ha risposto che andava bene, perché non era molto a favore della censura.

Per esempio, nel film, trova erotica la scena della gabbia dei pappagalli?
No.

È l’immagine più esplicitamente omosessuale del film ed è orribile, cruenta e molto inquietante.
Sì, e prima che mi attacchino per questo, «Cronenberg dipinge il sesso gay come una vecchia checca che succhia la vita da un ragazzino»…

E c’è una scena di vampirismo nella stessa sequenza. Si prepari per The Advocate.
Sì. Sono pronto. Ma… ma… sono certo che fraintenderanno il film in maniera intenzionale, perché così potranno portare avanti l’attacco politico nel modo migliore. Perché credo che sia molto chiaro che a questo punto del film il protagonista non è ancora venuto completamente a patti con la propria sessualità. Fondamentalmente, il ragazzo è gay. Crea un mondo in cui tutti lo riconoscono come gay e infatti la gente lo rimorchia e lo fa andare con altri uomini. Ma lui non è pronto ad accettarlo. Continua a dire: «Non voglio scopare con lui».

Dobbiamo pensare che questa sia la sua copertura? Non sono sicuro che il pubblico comprenda il messaggio che il ragazzo è gay.
Ma chi gli dice che è la sua copertura? Cazzo, è la sua macchina da scrivere. Quando parla con la macchina da scrivere sta parlando con se stesso, proprio come ogni scrittore parla con se stesso mentre scrive. Immagina di permettere alla macchina da scrivere di diventare il tuo inconscio e di dirti: «Dovrai fare del sesso gay. Sappiamo che sei disposto ad andare fino in fondo, dovrai farlo perché è la tua copertura». (I miei piedi e quelli di Cronenberg si sfiorano accidentalmente sotto il tavolo). Mi sono accorto che mi ha appena toccato. Lo ha fatto in un momento estremamente delicato.

Mi dispiace, David.
(Tornando all’argomento) E tu dici: «Oh, cavolo, devo proprio farmi scopare da un uomo?». Chi lo dice? Lo dice a se stesso. Sta costringendo se stesso a venire a patti con ciò che è, è questa la struttura del film. Ora, se non cogli la struttura del film, non puoi capirlo. Interpreti tutto letteralmente, anche se è ovvio che una gran parte del film non è realistica, che è impossibile. Non c’è nessun centopiedi gigante. E cosa vede in quella gabbia, in quella camera da letto? Le do un indizio. Quando ci passa accanto, sentiamo Kiki e Cloquet in preda all’estasi sessuale. Sentiamo i gemiti e i mugolii dell’orgasmo. Sentiamo la voce di Kiki che dice: «Ah, ah». E sentiamo anche Cloquet: «Kiki, oh Kiki». Ma Lee [Peter Weller] è uscito, ha preso questa droga ed è completamente fatto, e pensa di tornare tipo venti secondi dopo. Ma è trascorsa probabilmente un’ora. Lee passa davanti alla stanza da letto e sente Kiki e Cloquet che si scopano a vicenda. Si sente in colpa ed è geloso perché Kiki è il suo amante, apre la porta e cosa vede davvero? Penso che dovrebbe essere ovvio, forse non lo è, lo ammetto, ma quando capisci il film… Vede Kiki e Cloquet che scopano. Sono nudi a letto e stanno scopando. Ma deve costruirci intorno un’immagine orribile, insopportabile e ripugnante, a cui reagire, perché la sua risposta è la repulsione, il senso di colpa, la paura. Così ha un’allucinazione da cui può scappare e da cui può disconnettersi. Kiki è già in decomposizione, il centopiedi gigante lo ha mangiato. Per me il meccanismo in gioco è questo. Non sto dicendo che il sesso gay implica una sorta di sessualità da centipedi. Insisto proprio sul fatto che il pubblico rimanga lì con i miei personaggi e non salti immediatamente all’immaginario politico, dall’esterno. All’interno del film, è perfettamente congruo che Kiki e Cloquet facciano del sesso fantastico. Più il sesso è fantastico, più è orribile e disgustoso per Lee.

Allontaniamoci per un po’ dal Pasto nudo
È un buon titolo, “Allontaniamoci dal Pasto nudo”. Riesco a immaginare il sequel. 

In molti dei suoi lavori c’è una sorta di omosessualità, non so se vogliamo definirla così, “repressa”. Nei primi due film che ha girato, Stereo e Crimes of the Future, il suo protagonista aveva senza ombra di dubbio una certa presenza omosessuale, e poi in Rabid — Sete di sangue ha dato a Marilyn Chambers un fallo sotto l’ascella…
Ma le ho dato una vagina, le ho dato anche una fica! Prima c’è la fica e poi il fallo, ecco, ci sono entrambi, c’è tutto! Le ho dato tutto!

E in Videodrome ha dato a Max Renn [James Woods] una vagina nello stomaco e per giunta una vagina con i denti. Quindi nel film c’è ovviamente una sorta di gioco bisessuale. Questa cosa ha sempre fatto parte della sua coscienza? Lei ha appena parlato di Catullo e dell’amore tra persone dello stesso sesso.
Sì, credo che sia stato sempre così. Penso che iniziamo con quella che Freud chiamava “perversione polimorfa”, che non è una cosa negativa. È la sessualità di un bambino prima che diventi specifica, genitalizzata e acculturata. Abbiamo quella che ho chiamato “omnisessualità”, che non riconosce i normali confini, legami o tabù. E siccome mi interessa esplorare cose che vanno oltre i tabù, vorrei farlo non solo con la bisessualità, ma anche con qualsiasi tipo di sessualità. La sessualità dei cani. La sessualità degli animali. La sessualità degli insetti. Qualunque sessualità. La sessualità del cibo, del tatto o delle parole. Quindi non credo di limitarmi alla bisessualità. È solo che per le persone è la più ovvia. Potrebbero non riconoscere come sessuali alcune delle altre cose che faccio, mentre invece lo sono. Il blob sessuale di Pasto nudo, che diventa la macchina da scrivere, è una specie di oggetto sessuale universale. Ha tutte le parti genitali del caso, più alcune impossibili da immaginare. C’è il sesso vaginale, c’è il sesso anale, ci sono circa venti cose diverse. Spero che la censura non lo percepisca del tutto. Spero che non vedano quei fotogrammi. È sempre in movimento, quindi è un po’ difficile da vedere.

S’ingroppa il pavimento…
S’ingroppa qualsiasi cosa! S’ingropperà qualsiasi cosa! È peggio di un cane in calore. Quindi penso davvero di guardare oltre le normali strutture che accettiamo e che sono facilmente riconoscibili. Direi che non si tratta solo di bisessualità. Non è omosessualità. Vado alla ricerca di qualcosa di più.

Ha sperimentato queste cose nella sua vita o solo attraverso le immagini?
Purtroppo no. Purtroppo non l’ho fatto. Be’, non dico che non l’ho fatto, ma non nel modo sensazionalistico che ogni giornalista vorrebbe naturalmente scoprire. Ricordo di essere stato all’università con una donna e di aver parlato con un professore che ci ha invitato a unirci a lui in un’orgia a cui stava andando. Gli ho detto che non l’avevo mai fatto prima, ma avevo la sensazione che non avrebbe funzionato. Sentivo che sarebbero venute fuori le solite gelosie — oh, lei se lo scopa, riceve più attenzioni, io mi devo sorbire questo vecchietto mentre invece voglio quella ragazza carina — e gli ho detto: «Non trova che sia un problema?». E lui ha risposto: «Hai ragione». L’orgia non ha funzionato molto bene. Nonostante il fatto che tutti nella stanza avessero letto La vita contro la morte di Norman O. Brown e fossero davvero pronti ad andare fino in fondo nel tentativo di formarsi una coscienza dionisiaca e prendessero delle droghe insieme, l’orgia non ha funzionato comunque, cazzo. La gente era paranoica. La gente si sentiva trascurata. La gente era gelosa.

E pensa che questo dica qualcosa sulla natura umana o solo sulla nostra particolare cultura?
Penso che dica qualcosa sulla natura umana. Penso entrambe le cose, forse. Non mi sono mai appassionato a quella roba perché prima di farla potevo prevedere tutte le ragioni per cui non avrebbe funzionato. Credo di non essere mai stato un fricchettone nel vero senso della parola, perché non c’è mai stato un momento in cui lo scetticismo, il cinismo o un semplice dubbio mi abbiano mai abbandonato. Non ho mai creduto a nessuna di queste cose, ma era eccitante pensare che la società stesse cambiando e che la cosa fosse possibile. Ora, però, all’interno del “normale” sesso eterosessuale, si hanno questi momenti dionisiaci e non c’è dubbio che io li abbia sperimentati. Senza l’aiuto di droghe, aggiungo, perché non ne prendo davvero. Momenti in cui non sei né maschio né femmina, sei solo un essere sessuale. E non sai se ti stanno scopando o se stai scopando, e non fa alcuna differenza. Sento davvero di averlo provato. E nei momenti migliori è sempre così. Si perde, tantissimo, la propria individualità. Eppure, è proprio l’individualità che amplifica la sessualità: sai con chi stai facendo sesso. Ora, mi affascinano le scene dell’Importanza di essere Joe in cui venti ragazzi si scopano a vicenda in un bagno pubblico, a luci spente, senza sapere chi siano o che aspetto abbiano. Una parte di me dice che mi piacerebbe provarci. E se lo fai, non importa se si tratta di uomini o donne o di donne e uomini o di animali o di qualunque cazzo di cosa. Ma so anche come sono gli esseri umani. E so anche come sono le malattie veneree: a loro piace approfittare di questi momenti. Quindi penso che la cosa più vicina a sperimentare una di queste situazioni l’ho vissuta soltanto in quello che per un osservatore esterno potrebbe essere il tipo più etero e normale di sesso, quello socialmente approvato, magari anche nella posizione del missionario. Ma dentro di te c’è un momento in cui senti di essere sessualità pura, in cui non sei né maschio né femmina. Forse funziona così. Forse gli omosessuali possono sperimentare l’eterosessualità attraverso il sesso omosessuale, forse se si arriva alla forma più pura della propria sessualità è lì che tutte le sessualità si fondono. Ed è questo quello che mi sembra di esplorare nei miei film. Non ha nulla a che vedere con: «Dovrebbe uscire allo scoperto, è ovvio che dovrebbe scopare con dei ragazzi». Per quello che mi riguarda, faccio semplicemente spallucce e dico: «Non credo proprio».

È in grado di riconoscere qualche tendenza omosessuale, diciamo, di quando era preadolescente o adolescente?
Credo di sì. Ricordo uno o due momenti in cui sono stato attratto sessualmente da un ragazzo che era molto femminile. Era quasi come se fosse una donna. Quindi cosa significa? Ricordo di aver recitato in un film underground a Toronto, dove doveva esserci un’orgia, e mi sono ritrovato ad abbracciare un ragazzo e a baciargli la guancia e così via. I peli delle gambe, la barba, mi hanno davvero fatto storcere il naso. Non faceva per me. Eppure, se ami un uomo — tuo padre, tuo fratello — lo abbracci e non è esattamente una cosa sessuale ma fisica e c’è di mezzo l’amore. In quel momento, la barba e le gambe pelose vanno bene. Quindi non è una cosa semplice.

Be’, in quel tipo di rapporto non è che si mordicchia la barba o si accarezzano le gambe pelose.
No, no. Ma senti la mascolinità e ne trai conforto. Penso che sia come trarre conforto abbracciando il proprio padre quando si è ragazzi. Non è una cosa sessuale nel senso più ovvio del termine. E poi lo diventa: dove si traccia la linea di demarcazione tra la sessualità e qualcos’altro?

Se tutto è sessuale, allora niente è sessuale.
Allora niente è sessuale. Sono d’accordo. È così.

E l’espressione di quella che lei ha chiamato la sua “parte femminile”? Come la definirebbe?
Be’, posso davvero definirla in contrapposizione agli archetipi o ai cliché più grossolani, come il rapporto cameratesco tra uomini. Posso capire il piacere che se ne ricava: ragazzi che stanno tra di loro, che giocano insieme, che corrono in macchina insieme.

La vita come una pubblicità della Budweiser.
Sì. Questo mette davvero le cose in prospettiva, no? Ma fondamentalmente lo trovo repulsivo, riduttivo e sminuente perché le mie relazioni più interessanti e soddisfacenti con gli uomini, anche nello sport, anche nelle corse, sono sempre state molto più complesse, sensibili, confidenziali e aperte di così. Quella cameratesca è davvero una relazione molto difensiva: un gruppo di uomini che si accordano per non andare oltre quella profondità. Non mi piace e anche da bambino questo tipo di mascolinità mi sembrava molto superficiale, irreale e insoddisfacente.

Quindi per lei il femminile è l’aperto e il sensibile…
Questa versione tradizionale di tipo junghiano dello yin e dello yang, del maschile e del femminile… Devo dire che ne sto parlando in questi termini. Non la vedo come la quintessenza della femminilità, ma è un modo tradizionale di parlarne. Quindi lo farò in questo modo. Se si imposta questa dicotomia, la maggior parte delle persone pensa alla parte femminile come a quella artistica, intuitiva. Quando ero bambino, suonavo il pianoforte mentre gli altri erano fuori a giocare a calcio. Anch’io giocavo a calcio. Ma a cinque anni ho avuto una ragazza. Una relazione molto stretta e meravigliosa con una ragazza, in un’epoca in cui tutti gli altri dicevano: «Che schifo le ragazze!». Non avevano ancora fatto i conti con il fatto che le ragazze potessero essere delle buone compagne, o addirittura degli esseri umani. Credo di poter dire che mi sentivo abbastanza integrato. 

Perché pensa di essere così attratto dalle immagini di violenza sessuale?
Non credo di esserlo. Lo sono?

Io penso di sì.
Quanti minuti dei miei film sono dedicati alla violenza sessuale, per esempio rispetto ai dialoghi?

Non dico soltanto nei suoi film, ma forse anche in quello che vuole vedere.
Non lo sono. Assolutamente no.

Nel 1983 lei ha affermato: «Questo non vuol dire che non mi sia accorto del fatto che possa essere attratto da immagini di violenza sessuale tanto da chiedermi cosa significhino per me». Le faccio la domanda che lei stesso si è posto: cosa pensa che significhino?
Certo, credo che questo fosse il punto di Videodrome in cui in realtà stavo creando delle immagini di violenza sessuale, forse in modo da poter essere attratto dal mio stesso film. Be’, come abbiamo detto, la sessualità è una faccenda complessa. Quando entra in contatto con varie dinamiche culturali, può iniziare a esprimersi in molti modi che potremmo definire perversi, innaturali o inaccettabili, o forse politicamente scorretti, come diremmo oggi. Eppure queste immagini o questi concetti sembrano molto forti. Ci sono molte persone che nei loro giochi sessuali fanno uso del bondage. Ovviamente non bisognerebbe parlarne. Non solo è inaccettabile, ma lo si considera quasi impensabile. Eppure ricordo come fanno sesso i miei gatti. Nel sesso tra gatti, il maschio afferra la femmina per il collo, glielo morde per tenerla ferma e lei si dimena come se non volesse farlo. Poi, quando finalmente riesce a liberarsi, si rotola per terra in modo molto civettuolo e aspetta che lui torni da lei.

È il modo in cui in Africa lo fanno i leoni, proprio mentre parliamo.
Lo fanno proprio mentre parliamo, grazie a Dio, nonostante ne siano rimasti pochi. E si potrebbe dire che questo comportamento ha a che fare con la sopravvivenza del più adatto. Il maschio più aggressivo è quello che riuscirà a sopravvivere, quindi la femmina deve rendergli difficile la possibilità di accoppiarsi, e così via. Forse nella sessualità umana se ne avverte ancora un’eco. Forse c’è ancora qualcosa nella sessualità femminile che deriva da quell’inizio molto primitivo, che vuole che l’uomo domini, che vuole che l’uomo sconfigga gli altri uomini per avere quella donna, e allora lei rende le cose un po’ difficili solo per assicurarsi che lui faccia davvero sul serio e sia davvero il più aggressivo, il più dominante: deve immobilizzarla o legarle una corda intorno al braccio o al polso o semplicemente tenerla ferma con forza quando fanno sesso, e questo dà più soddisfazione. Probabilmente non troverà nessuna femminista che possa ammettere che questa è una possibilità. Tuttavia, ora abbiamo assunto il controllo della nostra evoluzione, l’abbiamo fatto molto tempo fa, abbiamo manipolato il nostro ambiente in modo che tutti quei fattori che avrebbero potuto determinare la sopravvivenza del più adatto non debbano funzionare per forza nella nostra società, perché l’abbiamo “de-fisicizzata”. Ora chi domina non dev’essere necessariamente il più forte. Il tipo dominante può essere anche il più bravo a giocare con le azioni a Wall Street. Ma come esprime questo dominio che non è più fisico?

Con la casa più grande o l’auto più veloce…
Proprio così. O con il maggior numero di amanti. E non abbiamo ancora risolto la questione perché per metà del tempo neghiamo che sia così. Ma sotto sotto, gli uomini potrebbero ancora voler dominare fisicamente le donne e le donne farsi sottomettere dagli uomini, dopo un po’ di lotta. Una lotta segreta, già allora. La mia gatta… stava per essere scopata, lei lo sapeva e lui lo sapeva, ma hanno dovuto comunque affrontare l’intera faccenda. Perché pensiamo che questa eco con cui dobbiamo ancora fare i conti sia una cosa così orribile? È orribile solo per le implicazioni politiche e le problematiche culturali e diventa uno scontro politico e culturale. E fa sì che le persone che devono ancora fare queste cose, questi poveri uomini e queste povere donne, tutti noi forse, le sublimino, le trasformino, le convertano o le manipolino nella loro mente così da non doversi vergognare del modo in cui affrontano la sessualità e di tutto quello che la faccenda comporta. È una cosa interessante. E io sono interessato a esplorarla. Penso che questo possa essere il motivo per cui… hmm una donna nuda legata? Gli uomini hanno una reazione sessuale di fronte a una donna nuda legata? Be’, credo di sì. Lo penso davvero. Ora, è una cosa che varia da cultura a cultura. In Giappone è una cosa accettata, una specie di rituale sessuale che per loro è normale più di quanto non lo sia qui. Ma io dico: «Sì, ho una reazione sessuale di fronte a una donna nuda legata». E credo di aver cominciato a capire il perché, e non è una cosa terribile — non è terribile come si potrebbe pensare — e non significa che odio le donne e che voglio ucciderle. Penso che sia proprio diverso.

Iscriviti