Quentin Tarantino – C’era una volta a… Hollywood
Candidato tre volte per la regia, Quentin finora ha vinto solo due statuette come sceneggiatore (per Pulp Fiction e Django Unchained). Sarebbe davvero il momento di consacrare una volta per tutte il cineasta cult con il dovuto riconoscimento accademico. Se i giurati non lo fanno per la sua lettera d’amore alla città del cinema (che Tarantino minaccia anche essere il suo penultimo film), cos’altro dovrà inventarsi il nostro?
Bong Joon-ho – Parasite
Il vero protagonista della Awards Season è l’autore sudcoreano già di culto presso le platee cinéphile e ora finalmente assurto anche alla gloria mainstream. La sua dramedy sulla lotta di classe ha conquistato pure gli States, ma è difficile che i vecchi tromboni di un’istituzione che premia sempre se stessa siano disposti a cedergli addirittura una statuetta.
Sam Mendes – 1917
Al suo esordio con American Beauty, vinse subito un Oscar come miglior regista. Fin troppo generoso, va detto. Il vero tour de force registico lo mette a segno con questo dramma bellico, per il quale si lancia in un (finto) piano sequenza di due ore davvero prodigioso. Potrebbe mettere d’accordo tutti (e probabilmente lo farà), ma noi, di fronte a questo sfoggio di tecnica, restiamo un po’ freddini.
Martin Scorsese – The Irishman
Quasi un decennio di lavorazione, Netflix che spende e spande per finanziare il ringiovanimento digitale di De Niro & Co. e la campagna per gli Oscar. Il risultato, però, non disattende le aspettative. Il già premiato Marty firma un affresco che omaggia il suo stesso cinema e l’intera storia del gangster movie. Non vincerà, ma avercene.
Todd Phillips – Joker
L’outsider della cinquina è il regista che ha fatto un salto nel buio senza fallire: dalla trilogia comica Una notte da leoni a questo cinecomic d’autore che deve molto a Scorsese. Apprezziamo l’evoluzione che promette bene per il futuro, ma forse questo spot accanto ai big del cinema è ancora immeritato.