Nessun ossequioso suono di tromba, ma sorrisi, salsedine e parole autentiche in ricordo del regista e sceneggiatore mordace che ha raccontato senza filtro le derive umane nella scena underground degli anni ’70 e ’80. Siamo a sud del Comune di Fiumicino, al cospetto del vecchio faro di Fiumara Grande, ramo del delta del Tevere che qui si getta nel mare.
Sono accorsi in tantissimi alla cerimonia, solare e solenne, per inaugurare “Viale Claudio Caligari, narratore di periferie”, e una speciale giunta di attori è intervenuta con evidente emozione, a scoprire le targhe con impresso il suo nome, dopo una breve passeggiata lungo i filari di bilancioni da pesca che caratterizzano il paesaggio, preludio commovente alla proiezione serale del film Non essere cattivo, girato proprio in questi luoghi. Presenti all’appello Michela Mioni, la Michela di Amore tossico, Emanuel Bevilacqua, il Rozzo di L’odore della notte, e il suo capobanda Valerio Mastandrea, ostinato co-produttore proprio dell’ultimo lungometraggio di Caligari con Luca Marinelli (anche lui presente) nei panni di Cesare.
Questo il desiderio degli attivisti del collettivo No Porto, di quanti, a netto di qualsivoglia ruolo istituzionale, hanno sentito in qualità di cittadini di poter incidere (almeno simbolicamente) sulla toponomastica locale e dedicare lo spazio civico della strada a chi si riconosce, essersene fatto portavoce con severo rigore e rara sensibilità espressiva, anche nella sua versione più scomoda e meno socialmente accettabile. D’altronde, nell’atto di nominare è insito il potere di riconoscere l’esistenza: di una strada, di una vita, di futuri inattesi, chissà.
«Di un’epoca Claudio ha considerato sempre le stesse persone, ai margini della marginalità», racconta Valerio Mastandrea, «è andato a raccontare gente che era estranea e addirittura ai margini della lotta armata, gente che non aveva il tempo, la voglia, il coraggio di accettare un discorso epocale in cui la politica era aggregazione. I suoi personaggi erano talmente disgregati che hanno deciso di compiere altri percorsi, ecco dove Claudio non è mai stato retorico. Ma la storia del cinema di Claudio è anche la storia della sua difficoltà a fare cinema, una storia che vi invito a conoscere, una storia di resistenza e resilienza, termine abusato, ma non se riferito a Claudio».
E nemmeno se riferito al contesto in cui ci troviamo, un lembo di territorio, quello intorno ai bilancioni di Fiumicino, che resiste con creatività e senso di progettualità alle ferite inferte dal malaffare, sottratto ai cittadini sotto tonnellate di granito e calcinacci in nome di un porto turistico mai realizzato. Uno scempio curato nei fatti dall’amore e la dedizione di quanti, organizzatisi intorno al Bilancione Occupato, da circa dieci anni si impegnano a restituire dignità a quest’area con molteplici iniziative culturali, ludiche e sportive, promuovendone ipotesi di sviluppo alternativo, rispetto al previsto disegno di un’altra opera portuale, questa volta di stampo croceristico, di cui si teme l’ impatto su un delicato e già compromesso ecosistema, oltre che la cancellazione di luoghi patrimonio della memoria collettiva.
«Sono contentissima, questa è la strada perfetta per Claudio», ribadisce Michela Mioni, «perché nasce nell’ambito di un’iniziativa organizzata da un collettivo di occupazione che è stato proprio l’ambiente di Claudio. Quello che ha sempre amato ed è sempre stato alla base dei suoi film ancora prima di Amore tossico». A precedere il drug movie in cui abbiamo conosciuto Michela, pugno allo stomaco che nel 1983 ha spiazzato le platee per la sincerità inaudita, una serie di doc girati inizialmente con mezzi leggeri in modalità sperimentale per indagare le sottoculture giovanili anni ’60 e ’70; doc che lasciavano presagire lo stile espressivo di Caligari, una narrazione popolare e a suo modo raffinata, crudissima ma non priva d’empatia. Seguiranno altre produzioni sempre come documentarista: Perché droga (1976), girato con Daniele Segre e Franco Barbero, La follia della rivoluzione (1978), Alice e gli altri (1977) La parte bassa (1978), Lotta nel Belice. Tra un titolo e l’altro della sua triade iperrealista, invece, altri progetti rimasti però incompiuti, idee abortite forse perché impassibili al compromesso, figlie di una rara quanto scomoda coerenza ideologica.
E nell’ incompiutezza, in questo senso di sospensione, un’ulteriore risonanza con il paesaggio che oggi è attraversato dal suo Viale, scenario magnetico di grande ispirazione, ambìto e conteso da produzioni cinematografiche nazionali ed internazionali dove è ancora il mare ad avere l’ultima parola: mentre leggete, sono in corso le riprese del film Netflix The Old Guard 2, che hanno portato qui Charlize Theron e il nostrano Luca Marinelli, allontanatosi dalla troupe per partecipare all’inaugurazione del nuovo Viale: «Vi ringrazio, io sono arrivato un po’ così, intruso, e magari è stupido e semplice, ma vi riporto l’emozione impressionante di essere qui ancora una volta, nei luoghi di questo film (Non essere cattivo, nda) di cui ho fatto parte, con queste anime meravigliose davanti a scoprire le targhe. È una storia che non si è mai fermata».
«Claudio, questa è per te!», esclama Emanuel Bevilacqua poggiando la mano sulla lastra di pietra bianca con impresso il nome del regista. E se fosse davvero così? Se la storia di Caligari non fosse davvero finita? Se Non essere cattivo, testamento spirituale del cineasta, potesse avere degli sviluppi inattesi? Adesso che Cesare, il figlio di Cesare e Viviana, ha un nuovo viale da percorrere…