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La Fase 2 sembra già difficile? Ripartiamo dai Grandi Classici, che vengono sempre in soccorso. Audrey Hepburn nasceva oggi (nel 1929). E, se c’è una diva che ha saputo incarnare sullo schermo la grazia e l’eleganza (quelle che abbiamo dimenticato in settimane di tuta), be’: quella è proprio lei. Dalle corse in motorino alle colazioni newyorkesi, ecco tutto quello che non abbiamo potuto fare per mesi (e che continueremo a non poter fare). Ma portato sullo schermo come lei nessuna mai. Sfogliare la gallery per credere.
La versione probabilmente più struggente delle gesta di Robin Hood. Il principe dei ladri e la sua bella sono ormai due signori âgé lontani dal mito e più vicini alla realtà: l’impresa, considerate le due leggende coinvolte (Audrey e Sean Connery: che coppia), era pressoché impossibile. E invece questo film dimenticato del grande Richard Lester è il canto – commovente e finale – degli affetti stabili che tutti vorremmo. Più belli di noi, ma così uguali a noi.
Un’apparizione: letteralmente. Steven Spielberg offre all’attrice l’ultimo, indimenticato ruolo: uno dei rari casi in cui si può davvero usare l’aggettivo “iconico”. La Hap di Hepburn è, dopotutto, un angelo, e chi altri se non la diva Audrey avrebbe potuto vestirne il golfino bianco (è un angelo moderno)? Un fantasy d’autore che è la degna celebrazione di uno dei volti più cari del cinema di sempre. Per sempre, per davvero.
Stanley Donen è uno dei registi che hanno meglio saputo fissare sullo schermo la grazia di Audrey. Anche quando le ha dato una virata malinconica, come in questo romance strappacuore (ma sottovalutato) in cui divide la scena con il gagà ultrabritish Albert Finney. Dall’innamoramento alla crisi (al ritorno di fiamma), è la storia di tutte le storie d’amore. E il più doloroso degli on the road: nostalgia canaglia – di una strada, di un benzinaio, di un bar.
Titolo italiano piuttosto cretino (anche perché il personaggio in originale si chiama Ariane) per quello che è uno dei film meno celebrati di Billy Wilder: Love in the Afternoon. Non sarà all’altezza di certi capolavori (incluso Sabrina: vedi più avanti), ma la pochade investigativa con protagonisti Audrey e Gary Cooper resta una delizia. Al pari di “papà” Maurice Chevalier, supporting di lusso. Amore nel pomeriggio, ora si può (un po’ di più): ma sempre a un metro di distanza.
Parigi, o cara (a Audrey). Stanley Donen versione musical (quella che l’ha reso più famoso) e la sua protagonista sempre più stella della Senna: soprattutto se le metti accanto il genio di Frank Sinatra con cui duettare. Passo doppio tra un fotografo e la sua modella che è quasi un pre-Pigmalione (My Fair Lady arriverà dopo: anche in classifica). E, soprattutto, uno dei film più fashion di tutti i tempi, vedi i vestiti confezionati dal solito Givenchy per il fittizio magazine Quality (!). Ed è subito voglia di shopping. Online.
Altro giro, altro Donen. Alla voce “giallorosa”, questo dovrebbe essere il primo (e più riuscito) esempio citato. Audrey Hepburn e Cary Grant gigioneggiano e giganteggiano in questa commedia praticamente perfetta sotto ogni aspetto, tra love story e thriller (comicamente incarnato dal terzo incomodo Walter Matthau). E poi ci sono ancora i cappottini di Givenchy e i panorami di Parigi: quando ci potremo tornare pure noi?
La rana in Spagna gracida in campagna: purtroppo ricordiamo tutti la versione doppiata, vista e rivista nei Bellissimi di Retequattro. Doppiata era pure Audrey in quella originale, nonostante avesse già dimostrato discrete doti canore sullo schermo (vedi il precedente Cenerentola a Parigi). Fun fact: Hepburn sostituì Julie Andrews, protagonista della fortunata edizione teatrale, ma ancora poco nota al cinema; ma Andrews batté Hepburn agli Oscar quello stesso anno con Mary Poppins. Un “decreto” perfetto.
Ancora Billy Wilder, più due mostri della Golden Age: Humphrey Bogart e William Holden. Che, fratelli coltelli, si contendono la figlia dell’autista di casa: la ragazza del titolo, interpretata da una Audrey che fa Vacanze romane al contrario. Stavolta è lei la Cenerentola, dai grembiulini agli abiti da gran sera. Quelli che sfoggeremo noi appena la smetteremo di impastare e potremo tornare al ristorante, giusto?
Cenerentola (stavolta) all’incontrario, e anche un plot (al massimo con inversione di miseria e nobiltà tra i protagonisti) che rivedremo decine di volte sullo schermo: Favola starring Ambra Angiolini compreso. Un William Wyler insolitamente leggero e la Città Eterna a far da sfondo alle scorrazzate in Vespa della principessa Hepburn, nata nobile pure nella vita, e del reporter Gregory Peck. Quando si poteva girare per Roma senza autocertificazione: che tempi! L'unico Oscar vinto sul campo (l'altro sarà un premio al suo impegno umanitario).
The one and only Holly Golightly (anche se Truman Capote, lo sanno tutti, mentre scriveva aveva in mente Marilyn Monroe). Blake Edwards regala a Audrey il ruolo della vita: cappelloni e occhialoni, tubino (rigorosamente nero) e gattino. E un bacio in mezzo alla pioggia (con George Peppard) che non si scorda più. Più la chitarra per cantare alla finestra em> Moon River/em>: rigurgiti di Fase 1 che andranno bene anche nella (pressoché identica) Fase 2.
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