10Mo’ Better Blues (1990)
Un titolo importante per vari motivi. Perché è il primo film ad alto budget del regista (non senza preoccupazioni da parte dei produttori). Perché racconta la musica nera “dall’interno”, prendendo come spunto la storia di Charles Mingus (che però diventa il trombettista Bleek Gilliam, interpretato da Denzel Washington). E perché sancisce l’esordio della ripresa più amata da Spike: la carrellata. Invitato in concorso a Venezia, ma in contumacia: Lee non si presentò, offeso dal trattamento riservato a Cannes a Fa’ la cosa giusta l’anno precedente. Ma la colonna sonora strappò una nomination ai Grammy: anche questa è storia.
9Clockers (1995)
Dopo Malcolm X e prima di He Got Game, arriva uno dei film più sottovalutati di Spike. Una detective story che in realtà è un affresco “Black Lives Matter” ante-litteram, visto che lo sguardo è quello del delinquente “innocente” costretto dalla vita (e dal quartiere) a un destino tribolato. Rocco il poliziotto (un fantastico Harvey Keitel) indaga, tra i modi della vecchia (o forse no) polizia e un atteggiamento da alleato bianco. Anche qui uno score memorabile, stavolta firmato da Terence Blanchard.
8Lola Darling (1986)
Ovvero: She’s Gotta Have It, come il titolo della serie-reboot Netflix girata dallo stesso autore trent’anni dopo (ma non bella come l’originale). Al secondo film – che però è di fatto la vera opera prima: il precedente Joe’s Bed-Stuy Barbershop: We Cut Heads valeva come saggio di laurea – Spike è un talento ancora grezzo, ma già perfettamente a fuoco. E culturalmente in grande anticipo sui tempi: al centro della storia c’è infatti la vita sentimentale (e sessuale) di una ragazza afroamericana. All’epoca, faceva l’effetto di uno choc. E forse (purtroppo) ancora oggi.
7Inside Man (2006)
Spike ha visitato il genere “puro” con risultati alterni: vedi, qualche anno più tardi, il remake di Oldboy di Park Chan-wook. Inside Man, però, è un capolavoro senza se e senza ma. E, più che un esercizio di stile, una vera e propria lezione sull’heist movie. Che, in questo caso, è perfetto. Merito del ritmo incalzante della regia, del copione dell’esordiente (!) Russell Gewritz e di un cast da applausi a scena aperta: ancora Denzel Washington, più Jodie Foster e Clive Owen. Il film che (forse) nessuno si aspettava da Lee, e ad oggi il suo più grande incasso: quasi 190 milioni di dollari al box office globale.
6Da 5 Bloods – Come fratelli (2020)
Con il primo lungometraggio USA ad alto budget a raccontare il Vietnam attraverso gli occhi dei soldati afroamericani, Spike Lee fa un’altra lezione magistrale di storia black e tu manco te ne accorgi. Mai. Perché è sempre grande cinema, magari imperfetto, ma debordante, travolgente, sincero. E, soprattutto, lucido come nessun altro sulla questione nera (di ieri e di oggi). Con tanto di performance profetica di Chadwick Boseman. Gli Oscar hanno assurdamente snobbato il film (vergogna!) e lasciato al palo pure il suo protagonista, Delroy Lindo, che piazza una delle performance (con tanto di monologo sguardo in camera) più appassionate dell’anno. Da 5 Bloods resta però una nuova pietra miliare nella carriera dell’autore. Shame on the Academy.
5Malcolm X (1992)
Il biopic su Malcolm X è nato tra mille controversie produttive con gli studios, alcune generate dallo stesso Spike, che a un certo punto è riuscito a trovare i soldi per riuscire a finirlo in fase di montaggio. Ed è sicuramente il film più ambizioso di Lee, un character study vecchio stile ma allo stesso tempo audace, ricco, sfaccettato e appassionante su una delle figuri più influenti e controverse del Movimento per i diritti civili, l’uomo che ha cercato di ricostruire l’orgoglio afroamericano “con ogni mezzo necessario”. Lo interpreta un Denzel Washington al top, ovviamente. Chi altro? L’attore venne nominato agli Oscar, ma quello fu l’anno di Al Pacino.
4S.O.S. Summer of Sam – Panico a New York (1999)
“Solo” un film su un serial killer e le sue malefatte su sfondo di afa newyorkese? Naaa. Summer of Sam – così in originale, senza bisogno di quello stupido “S.O.S.” – è una delle opere migliori di Spike, punto. E, curiosamente, il primo film in cui lascia da parte la causa afro (e i suoi interpreti-feticcio neri), per scrivere però un altro capitolo di vita metropolitana pieno di tensioni sociali, politiche, culturali. Il giallo, anche stavolta, è solo un pretesto. Super cast di italo-latinos, da John Leguizamo a Mira Sorvino; più Adrien Brody con cresta punk di culto immediato. Ingiustamente sottovalutato all’epoca, il tempo gli ha reso per fortuna la giustizia che merita.
3BlacKkKlansman (2018)
L’unico Oscar di Spike (vergogna!) arriva come sceneggiatore di questa finta satira che, a conti fatti, è un colpo allo stomaco e alle coscienze bianche (anche) di oggi: basti il finale “documentario” sulle violenze mai domate contro la minoranza nera. La parabola del detective che si finge bianco per “embeddarsi” nel Ku Klux Klan – ispirata alla reale vicenda dell’agente Ron Stallworth – è al contempo assurda e tragica. E dimostra che il cinema del nostro sa ancora essere giovane e rabbioso. Intelligente anche il simbolico passaggio di testimone nella scelta del protagonista: non più il divo Denzel, ma il figlio John David Washington. È nata un’altra stella.
2La 25a ora (2002)
Poco più di un anno dopo il crollo delle Torri Gemelle, Spike ci riporta a NY con uno dei suoi film più “bianchi” e malinconici: un’elegia che racconta le ultime 24 ore di uno spacciatore prima di entrare in carcere. Un soggetto non originale tratto dal romanzo di David Benioff, che però era stato scritto prima dell’11 settembre e su cui Lee proietta l’ombra di quel momento che ha cambiato tutto, con una forza figurativa memorabile e le musiche ancora una volta di Blanchard. C’è un Edward Norton meravigliosamente trattenuto, che deve fare i conti con se stesso e con i propri cari: la fidanzata Rosario Dawson, i BFF Philip Seymour Hoffman e Barry Pepper e il padre Brian Cox. Il tutto sullo sfondo di una Grande Mela ferita, piegata, in cui la paranoia post 11 settembre ha invaso tutto. Ci sono un monologo clamoroso di Norton, in cui il suo personaggio incolpa ogni gruppo demografico della città per il suo destino, e un scena finale da antologia, in Cox immagina come sarebbe stata la vita del figlio se non fosse stato condannato. “Sarebbe potuta andare diversamente? C’è ancora una possibilità di cambiare le cose?”, si chiede Spike. Per il suo protagonista ma, soprattutto, per l’intero Paese.
1Fa’ la cosa giusta (1989)
È il film che ha reso Spike Lee Spike Lee. Ed è soprattutto un’analisi lucidissima del razzismo sistemico americano. Ambientato nel giorno più caldo dell’anno, Fa’ la cosa giusta racconta il ribollire dell’odio a Brooklyn, nell’hood di Bedford-Stuyvesant, ed è un’opera vivacissima, piena di musica e umorismo, il che rende la violenza imminente ancora più tragica. Per darvi un’idea dell’impatto: tutte le domande durante la conferenza stampa a Cannes riguardavano la preoccupazione che il lungometraggio potesse infiammare le tensioni razziali al punto da provocare rivolte. Che sono poi avvenute, perché, a New York e in tutto il Paese il rapporto con la polizia era a un punto non ritorno. Vi ricorda qualcosa? Ah, agli Oscar raccolse solo una nomination per la sceneggiatura e la performance da supporting di Danny Aiello. La statuetta per il miglior film quell’anno la vinse A spasso con Daisy, che affrontava il topic del razzismo sì, ma come se ormai appartenesse al passato. Da vedere e rivedere per capire Black Lives Matters.