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I migliori 25 episodi di sempre nella storia delle serie tv

Non potevano mancare 'Breaking Bad' e 'Better Call Saul', passando dai 'Simpsons' e sì, avete indovinato, da 'I Soprano'. Che il binge watching cominci

Bryan Cranston nei panni di Walter White

L’elemento che da sempre distingue la narrazione televisiva da quella sul grande schermo è la suddivisione in episodi. Consumiamo in singoli pezzi distinti le nostre serie – anche quelle che divoriamo in preda al binge watching – e queste danno il meglio quando tengono conto di questo aspetto. Il piacere di guardare una serie deriva sia dalle varie tappe della storia che dall’obiettivo finale. Poche cose, nella cultura pop, danno più soddisfazione di vedere la vostra serie preferita fare il botto con una determinata puntata, che si tratti di un episodio che si discosta radicalmente dalla normalità della narrazione o che vada in scena un’applicazione incredibilmente ben riuscita della formula già nota.

Tuttavia, questa natura frammentata in episodi rende la TV intrinsecamente incostante. E persino il più grande drama mai girato, I Soprano, a volte è riuscito a fare flop, come nella puntata del Columbus Day. Ma, allo stesso modo, anche gli show più mediocri possono sfornare un singolo episodio al livello di altre serie palesemente molto più solide. 

Per questa lista delle 25 puntate più belle di sempre abbiamo preso in considerazione sia le serie classiche che quegli show minori che, però, sporadicamente sono riusciti a fare il passo più lungo della gamba. Si spazia dagli anni Cinquanta fino a oggi. Ci siamo limitati a fiction di genere drama e comedy, quindi niente reality, sketch comedy, talk show, documentari ecc. In gran parte si tratta di serie americane (valutate dal nostro staff americano), ma c’è anche qualche titolo internazionale.

25

Homicide: Life on the Street

Io non ho ucciso

stagione 1, episodio 5

Questo police drama si distingueva dalla concorrenza per l’attenzione dedicata agli interrogatori dei sospettati di omicidio e per la notevole oratoria dei suoi poliziotti. “Io non ho ucciso” porta tutti questi elementi all’estremo. Dopo aver passato settimane nel tentativo di chiudere il caso dell’omicidio della piccola Adena Watson, Frank Pembleton (Andre Braugher) e Tim Bayliss (Kyle Secor) fanno un ultimo tentativo con il loro sospettato numero uno, il commerciante in frutta Risley Tucker (Moses Gunn): sanno che, se non riusciranno a farlo confessare entro 12 ore, lui sarà libero e per Adena non ci sarà giustizia. Quasi tutto l’episodio si svolge nella stanza degli interrogatori, nota anche come “The Box”, con i due colleghi che provano ogni tattica possibile per convincere questo vecchio testardo a confessare l’orribile crimine che ha commesso. Quella che ne scaturisce è una fotografia accuratissima di un duello mentale, tanto che, quando anni dopo Braugher interpretò un poliziotto molto diverso nella sitcom Brooklyn Nine-Nine, come tributo venne girato proprio un episodio incentrato su un interrogatorio. Il titolo, ovviamente, era “The Box”.  – A.S.

24

Fleabag

Episodio 1

stagione 2, episodio 1

La prima stagione di Fleabag era così perfetta da spingerci quasi a sperare che Phoebe Waller-Bridge, creatrice e protagonista dello show, decidesse di fermarsi lì (in fondo lei è inglese e a loro piace fare così). Poi la seconda stagione è partita con il botto: una cena di famiglia all’insegna di un grado di disfunzionalità pazzesco e, cosa più importante, introduce un nuovo personaggio, il prete sexy interpretato da Andrew Scott che deve officiare il matrimonio del padre di Fleabag (in più, si vede per la prima volta la Jumpsuit, il vestito chic che Fleabag indossa per la cena e che è andato a ruba dopo la messa in onda dell’episodio). Mentre tutt’intorno si consuma una farsa assurda, con tanto di pugni e schiaffi che fanno sanguinare più di un naso, Fleabag e questo prete dai modi davvero poco spirituali – bestemmia, fuma, beve e non indossa nemmeno il suo “collarino da cane”, come dice la matrigna di Fleabag (Olivia Colman) – si ronzano attorno come fossero calamitati. L’amicizia di lunga data fra Scott e Waller-Bridge dà origine a una chimica così hot che si potrebbe friggere un uovo sullo schermo, ma la vera forza di tutto ciò deriva dall’intimità profonda che i due sembrano avere fin dalla prima sigaretta fumata nel vicolo dietro il ristorante. «Questa è una storia d’amore», dice Fleabag con una strizzatina d’occhio, rompendo come al solito la quarta parete, a circa due minuti dall’inizio dello show. E, come accade in tutte le migliori storie d’amore, quella che si consuma in questa ottima seconda stagione si rivela essere gioiosa, pura, complicata, dolceamara e destinata a cambiare vite. – M.F.

23

M*A*S*H*

Abyssinia, Henry

stagione 3, episodio 24

Quando McLean Stevenson, del cast originale di M*A*S*H, decise di lasciare la serie per perseguire altre opportunità di carriera (con il senno di poi, non fu una mossa molto saggia), i suoi capi Larry Gelbart e Gene Reynolds pensarono di dargli un addio di un certo peso. Il finale della terza stagione del drama incentrato sulla Guerra di Corea inizia con l’Henry Blake di Stevenson che scopre di aver maturato abbastanza anzianità di servizio per essere rimandato a casa. Da quel momento in poi, la maggior parte dell’episodio è un mix di affetto e stupidità, mentre tutti salutano l’ufficiale comandante del 4077° a modo loro. Ma poi arriva la scena finale, in cui Radar (Gary Burghoff), pallido come un cencio, entra nella tenda ospedale dicendo ai suoi compagni: «Ho una comunicazione. L’aereo del tenente colonnello Henry Blake è stato abbattuto sul Mar del Giappone. È andato giù in picchiata. Non ci sono sopravvissuti». Quella scena ha rappresentato un memento potentissimo del fatto che, al netto tutte le pagliacciate divertenti di Occhio di Falco (Alan Alda) e dei suoi amici, la guerra è comunque una cosa seria che può ucciderti anche quando ti sembra di essere sul punto di uscirne vivo. Gelbart, che ha curato la regia, ha tenuto nascoste le pagine di copione di questa scena finale fino a poco prima che venisse girata, così che gli attori rimanessero scioccati dalla notizia quasi quanto i medici e le infermiere che interpretavano. – A.S. 

22

Buffy, l'ammazzavampiri

Un corpo freddo

stagione 5, episodio 16

Nelle cinque stagioni e mezzo precedenti di Buffy, fra morti, non-morti e altre creature, si sono visti tantissimi stratagemmi per giocare con il Tristo Mietitore, con sfumature che andavano dal buffo al grottesco. Ma, quando è arrivato il momento di dire addio a un personaggio importante, il tono si è fatto serio e l’effetto indimenticabile. “Un corpo freddo” si apre con Buffy che torna a casa e, inaspettatamente, trova sua madre morta; dall’istante in cui Sarah Michelle Gellar dice tranquillamente «Mamma?» per gli spettatori inizia un’ora di televisione davvero straziante. La morte di Joyce Summers (Kristine Sutherland) non è causata da demoni furiosi, vampiri vendicativi o altre faccende soprannaturali; semplicemente è vittima di un aneurisma. E la giovane donna che ha salvato il mondo innumerevoli volte scopre di non essere in grado di farlo con la persona più importante per lei. Lo sceneggiatore, regista e showrunner Joss Whedon si concentra sui dettagli pratici legati alla morte, dal trasporto del corpo al rapporto del medico legale, fino allo shock e all’intorpidimento che accompagnano la consapevolezza improvvisa che una persona amata, che era viva fino a un secondo prima, non c’è più. «Non desideravo impartire nessuna lezione, non volevo ci fosse nessuna catarsi», ha ammesso Whedon, anni dopo la messa in onda dell’episodio. «Avevo solo in mente di raccontare una storia sul dolore, in particolare concentrandomi sulle sue piccole assurdità». – D.F.

21

Curb Your Enthusiasm

Mr. Softee

stagione 8, episodio 9

Ci sono certi episodi di Curb così penosi da risultare difficili da guardare, ma quando Larry David riesce a bilanciare al meglio la sua cringiness con battute al fulmicotone, critiche taglienti alla società e una vera passione, allora è uno spettacolo. “Mister Softee”, che David stesso ha definito «uno dei miei episodi preferiti di sempre», forse ne è l’esempio migliore. La trama è troppo complessa per raccontarla qui interamente, ma i punti salienti includono l’ossessione di Larry per il franchising Mister Softee (che, come apprendiamo in un raro flashback, deriva da certe esperienze sessuali imbarazzanti nel retro di un camioncino di gelati quando era adolescente, a Brooklyn); un sedile rotto, dalla parte del passeggero nella sua auto, che provoca l’orgasmo nelle donne («Questa sedia è una macchina per fottere!», esclama il Leon di JB Smoove); e un pomeriggio passato con il suo nuovo amico Bill Buckner (che interpreta se stesso), l’ex giocatore della MLB che commise un brutto errore che costò ai Red Sox le World Series del 1986. Leon è anche protagonista di un momento speciale, quando scopre che portare gli occhiali gli permette di essere trattato in modo molto diverso, essendo di colore. Ma non è tutto. Ana Gasteyer è ospite nel ruolo dell’interesse amoroso di Larry, Robert Smigel interpreta il capitano della sua squadra di softball, che però è anche un meccanico, e Fred Melamed fa un cameo nel ruolo dello specialista che viola l’HIPAA di Larry. Il climax dell’episodio è ciò che lo rende un momento così importante nella lunga storia dello show: una madre disperata è costretta a gettare il suo bambino da un edificio in fiamme. Il bambino rimbalza sulla rete di salvataggio dei pompieri, ma Buckner si tuffa per prenderlo, salvando la vita del piccolo e la propria reputazione, dimostrando così che anche David è un po’ un tenerone. «Era stata scritta una versione in cui il bambino cadeva», ha detto più avanti David. «Era una cosa esilarante, ma non potevo farlo. L’altra mi ha commosso. Dovevamo redimerlo». – EGP

20

The Americans

stagione 4, episodio 8

La tentazione più forte sarebbe quella di scegliere l’episodio finale di The Americans, “Inizio”, che chiude alla grande tutte le linee narrative e lo fa meglio di qualsiasi altro drama (a parte quello che abbiamo in posizione numero nove). Ma il top della serie è “Il magico David Copperfield V” che, più di ogni altro episodio, comunica il costo emotivo della doppia vita di Philip (Matthew Rhys) ed Elizabeth Jennings (Keri Russell), agenti del KGB sotto copertura che si fingono una coppia americana con due figli adolescenti – uno dei quali, Paige (Holly Taylor), è al corrente del loro segreto e costretta ad aiutarli nella loro missione. In questa puntata tutto gira male per i Jennings: Philip deve mandare Martha (Alison Wright) – a cui è più legato, rispetto a Elizabeth – in Unione Sovietica, dopo che l’FBI ha scoperto che lei gli forniva informazioni. Elizabeth è costretta a uccidere un contatto che minaccia di cantarsela con la polizia. Paige è stufa di dover spiare il prete a cui aveva detto la verità sui suoi genitori e si becca un tale cazziatone dalla madre che sembra che una vena della fronte di Keri Russell stia per esplodere. Come dice Gabriel (Frank Langella), il referente della famiglia ormai sfinito: «Non è mai andata così male. Peggiora di giorno in giorno».  – A.S.

19

Lucy ed io

stagione 2, episodio 1

Anche se non avete mai guardato nemmeno un episodio di Lucy ed io, quasi sicuramente conoscete la scena leggendaria con cui si apre la seconda stagione di questo show storico: Lucy ed Ethel che si infilano freneticamente dei cioccolatini nelle camicie e in bocca, mentre un nastro trasportatore fa sfilare di fronte a loro un’infinita serie di bon-bon. Per girarla, le attrici hanno davvero passato una giornata alla See’s Candies di Los Angeles, imparando come gli operai dell’azienda producono i dolcetti. C’è, poi, tutta un’altra sottotrama su Ricky e Fred che cercano di fare i lavori di casa – i mariti e le mogli decidono di scambiarsi i ruoli, così gli uomini cucinano e puliscono mentre le donne vanno a lavorare – ma è l’interpretazione perfetta di Lucille Ball e Vivian Vance, che lottano per stare al passo con il loro nuovo lavoro alla Kramer’s Kandy Kitchen, che tutti ricordano; la maggior parte delle persone si riferisce a questa puntata semplicemente chiamandola “l’episodio della fabbrica di cioccolato”. Non si sa se le attrici abbiano ingollato tutto quel cioccolato annaffiandolo con della Vitameatavegamin (il riferimento è alla puntata numero 30 della prima stagione, ndt). ­– D.F.

18

Better Call Saul

stagione 6, episodio 9

Per la maggior parte di questa puntata dello spinoff di Breaking Bad gli spettatori si sono domandati quando, e perché, Jimmy McGill (Bob Odenkirk) avrebbe adottato la folle identità di Saul Goodman e come sarebbe stato raccontato. Nessuno si aspettava il modo in cui è finalmente successo, in questo episodio che conclude magistralmente la parte della storia che precede le vicende di Walter White. Dopo l’omicidio del loro ex capo e vedendo che le loro vite continuano a essere legate a un cartello della droga, Kim (Rhea Seehorn) si rende conto che il suo matrimonio con Jimmy è diventato tossico e continua a causare il male delle persone intorno a loro. «Ti amo», la supplica lui. «Anch’io ti amo», risponde lei, triste e sconfitta, «e quindi?». Mentre Jimmy guarda l’amore della sua vita fare le valigie per andarsene, l’episodio taglia bruscamente su Saul Goodman che si sveglia a letto con una prostituta. È il momento su cui tanti fan avevano fatto congetture, ma la puntata “Divertimento” ­– in cui si dice anche addio a Gus Fring (Giancarlo Esposito), dando al contempo anche qualche fugace informazione sull’Uomo Pollo ­– lo racconta in un modo del tutto imprevedibile. Dopo che tutti si erano immedesimati nella coppia, a nessuno sembrava più importarne nulla. Una tragedia per i personaggi e per il pubblico. – A.S.

17

Mary Tyler Moore

stagione 6, episodio 7

Riposa in pace, Chuckles il Clown: eri davvero l’orgoglio di tutti i pagliacci con il viso impiastricciato di cerone a Minneapolis. Questo personaggio secondario era apparso poche volte, nel corso della sitcom di James L. Brooks, prima che Lou Grant (Ed Asner) entrasse nella redazione della WJM-TV per informare lo staff che l’amato performer era prematuramente scomparso: era vestito come il suo popolare personaggio Peter Peanut, in testa a una parata, «e un elefante imbizzarrito ha cercato di sgusciarlo». Tutti scherzano a spese del morto, tranne Mary. «Era un essere umano», dice ai colleghi, «e merita le vostre lacrime, non la vostra ironia!». Poi, nel bel mezzo del funerale, Mary fa l’unica cosa che non si dovrebbe: si mette a ridere senza riuscire a controllarsi. Anche per gli standard di questa buona commedia degli anni Settanta, l’episodio contiene un numero molto elevato di battute urticanti – quando Ted Baxter (Ted Knight) si preoccupa pensando che avrebbe potuto esserci lui, al posto di Chuckles, Murray (Gavin MacLeod) gli risponde: «Da qualche parte, là fuori, c’è un elefante con il tuo nome scritto sopra». Eppure il modo in cui si crea la miscela perfetta di umorismo e pathos, trasformando in qualche modo una reazione umiliante in qualcosa di indiscutibilmente umano, è ciò che lo rende un episodio indimenticabile. E Moore che cerca (senza riuscirci) di trattenersi durante un’orazione funebre davvero assurda, per poi mettersi a singhiozzare alla fine, è il migliore esempio di proto-cringe comedy. – D.F.

16

ER

Tragico errore

stagione 1, episodio 19

ER ha imposto un’accelerazione decisissima al ritmo dei TV drama, sviluppandosi più come un film d’azione che non come uno show ospedaliero, con tanto di musica martellante, riprese frenetiche e sequenze adrenaliniche. Il miracolo rivoluzionario di “Tragico errore” consiste nel modo in cui riesce a muoversi alla solita velocità di ER, indagando al contempo anche ogni fase della tragedia che vi si consuma – un dottor Greene (Anthony Edwards) troppo sicuro di sé si occupa di un parto in cui tutto va storto e finisce con la morte della madre – in un modo che sembra lento come un’agonia. Durante gli anni, nella serie si sarebbero visti casi molto più complessi, ma questo episodio racconta una storia piccola e dolorosa rendendola talmente vivida e terrificante che ancora oggi è una spanna sopra a tutte le altre vicende di grossi incidenti mortali. – A.S.

15

Community

Rimedi alla teoria del caos

stagione 3, episodio 4

Se avete mai affermato che viviamo nella “linea temporale più oscura” o avete usato questo meme per sottolineare una reazione WTF, dovete dire grazie a questo ottimo episodio della sitcom di Dan Harmon. Troy (Donald Glover) e Abed (Danny Pudi) organizzano una festa per inaugurare la loro nuova casa, ma un lancio di dadi crea sei realtà alternative e boom: scoppia il caos! Alcune cose rimangono però invariate: Jeff (Joel McHale) sbatte sempre la testa su una ventola a soffitto, Pierce (Chevy Chase) si vanta sempre della volta in cui ha fatto sesso nel bagno di un aereo con Eartha Kitt, Britta (Gillian Jacobs) non riesce mai a cantare il secondo verso di Roxanne (sempre se non sta sposando d’impulso il ragazzo che consegna le pizze). Tutto il resto è l’equivalente, diciamo, della teoria per cui una farfalla che sbatte le ali in Perù fa sì che uno del gruppo si prenda una pallottola in una gamba o dia fuoco all’appartamento. Molto prima che la Marvel iniziasse ad accatastare linee temporali alternative, questo è stato l’esempio principe per le storie moderne sul multiverso, ed è stato uno dei momenti top di una serie che mescolava comicità di basso profilo e questioni intellettuali di alto livello. Per la cronaca: una bambola troll norvegese è comunque sempre un regalo orribile per inaugurare una casa, indipendentemente dalla linea temporale in cui si vive. – D.F.

14

Succession

Le nozze di Connor

stagione 4, episodio 3

Siete cordialmente invitati a partecipare al matrimonio di Connor Roy (Alan Ruck) e Willa Ferreyra (Justine Lupe)… e a quello che si trasformerà nel giorno più brutto della storia della famiglia Roy. Per tre stagioni e mezzo, abbiamo visto il magnate dei media Logan Roy (Brian Cox) giocare a Re Lear con i suoi figli, far infuriare continuamente i suoi leccapiedi in azienda e, in generale, comportarsi da bastardo. Ma finalmente il patriarca che se la comandava nello show HBO si rivela fin troppo umano. Invece di partecipare alle nozze del figlio maggiore, Logan ha deciso di partire per la Svezia per chiudere un contratto. Il resto dei Roy è presente, però, e – come al solito – è tutto un litigare, finché Kendall (Jeremy Strong) e Roman (Kieran Culkin) non ricevono una telefonata dal cognato Tom (Matthew Macfadyen). È successo qualcosa a loro padre, durante il volo. Qualcosa di molto grave. Diretto da Mark Mylod, un habitué della serie, e scritto da Jesse Armstrong, Le nozze di Connor percorre rapidamente tutte le fasi del lutto formalizzate da Elisabeth Kübler-Ross, focalizzandosi non tanto su Logan (vediamo a malapena il suo volto, mentre cercano di rianimarlo), ma sui figli che provano a reagire alla notizia. Succession è sempre stato uno show corale, ma sono i tre più giovani – interpretati da Strong, Culkin e Sarah Snook nel ruolo di Siobhan Roy ­– a distinguersi e a regalare le migliori interpretazioni di tutta la serie, mentre cercano di metabolizzare ciò che è appena accaduto. Tutta una storia di amore e di abusi in famiglia viene raccontata nel corso di una telefonata. È l’esempio più devastante di come lo show sia in grado di muoversi tra tragedia e assurdo, con la stessa forza, terminando poi con un vero momento di grazia: Kendall, Roman e Shiv abbracciati stretti, accomunati dal dolore, dal sangue e dalla consapevolezza che sia la loro nutrice che il loro incubo sono morti. – D.F.

13

Twin Peaks

Passaggio a Nord-Ovest

stagione 1, episodio 1

Prima di Twin Peaks, sul piccolo schermo si erano visti altri mystery drama, altri murder procedural e altre minuscole cittadine che nascondevano grandi segreti. Ma David Lynch ha portato nel genere una certa dose di disagio e di stranezza, rendendo questa serie forse la più bizzarra mai approdata alla televisione di massa; inoltre, grazie alla collaborazione con l’ex scrittore di Hill Street giorno e notte, Mark Frost, è risultata sufficientemente realistica da riscuotere un successo immediato. Quando il corpo di Laura Palmer (Sheryl Lee), un’adolescente molto popolare, viene ritrovato in riva al fiume di Twin Peaks, una cittadina di boscaioli del Pacifico nordoccidentale cinque miglia a sud del confine canadese, l’agente Cooper dell’FBI (Kyle McLaughlin, reduce da Velluto blu di Lynch) viene chiamato a indagare. Da qui scaturiscono dialoghi stranamente buffi, sequenze di sogni surreali e una città piena di personaggi da fumetto. Sebbene la serie abbia poi generato un film di prequel e un reboot nel 2017, è stato il primissimo episodio (di lunghezza doppia rispetto al normale) ad accompagnare il pubblico in questo mondo inquietante e assurdo, rendendo un po’ più accessibile la realtà contorta tipica di Lynch. – EGP

12

The Wire

Tradimenti

stagione 3, episodio 11

In questo episodio un nemico comune stringe alleanze improbabili e lo show HBO perde uno dei suoi personaggi chiave. Per la maggior parte della terza stagione di questo drama, Stringer Bell (Idris Elba) ha cercato di trasformarsi dal più grosso spacciatore di Baltimora in un vero e proprio uomo d’affari e immobiliarista (“Non dobbiamo più sognare, amico”, dice al suo socio Avon Barksdale, interpretato da Wood Harris, mentre sono sulla terrazza del bellissimo appartamento sul lungomare di Avon). Ben presto scopre che, in termini di losche imprese criminali, il traffico di droga non ha nulla da invidiare agli intrallazzi politici e all’ambiente immobiliare. Nel frattempo, Omar (Michael K. Williams) e il sicario Brother Mouzone (Michael Potts) si alleano per eliminare Bell e lo intrappolano in uno dei suoi stessi edifici: avrà anche chiuso con il suo passato da gangster, ma non ha ancora fatto i conti con loro. Scritto a quattro mani dallo showrunner David Simon e dal grande George Pelecanos, “Tradimenti” ha congedato Bell come si conveniva, anche se in modo amaramente ironico. Elba, l’attore inglese che ha impersonato Bell, era arrivato a The Wire che praticamente era uno sconosciuto, ma grazie alla sua interpretazione dell’antagonista più controverso ha lasciato la serie da vera e propria star. – D.F.

11

Ai confini della realtà

I mostri di Maple Street

stagione 1, episodio 22

È un pomeriggio estivo in Maple Street: barbecue, camion dei gelati, dondoli, bambini che giocano e adulti che si divertono. Tutto questo viene interrotto quando un’ombra, un rumore assordante e un fascio di luce attraversano rapidamente la strada e quel paradiso di periferia si trasforma in un caos paranoico. Era solo un meteorite o la gente dovrebbe dare ascolto al ragazzino ossessionato dai fumetti che crede che siano arrivati gli alieni, come in una storia che ha letto? Ben presto, i vicini iniziano a puntare il dito l’uno contro l’altro, criticando qualsiasi abitudine o comportamento che paia loro fuori dalla norma: forse sei tu l’alieno! “I mostri di Maple Street” venne trasmesso nel marzo del 1960: un episodio fantastico della prima stagione che mostrò al pubblico come Rod Serling non avesse paura di sfidare il maccartismo o di condurre gli spettatori verso l’ignoto. – A.M.

10

Atlanta

Teddy Perkins

stagione 2, episodio 6

Donald Glover, nella sua serie per FX, adorava aggiungere tocchi di assurdo e di surreale alle storie che parlavano di fama, successo, razza, classe sociale e di quell’eterno viaggio allucinante che è la vita nell’America moderna. Questo episodio stand-alone su Darius (LaKeith Stanfield) che cerca di acquistare un pianoforte vintage, però, è come un minifilm horror – fra Che fine ha fatto Baby Jane? e un incubo a occhi aperti, di quelli difficili da scrollarsi di dosso. A essere inquietante non è il posto in cui la nostra guida turistica tutta fumata va a ritirare lo strumento (anche se il cappellino con la bandiera confederata che trova in una stazione di servizio indica che non si trova in territorio del tutto amichevole). A esserlo è la persona da cui lo acquista: una specie di asociale disturbato, forse con la pelle sbiancata, di nome Teddy Perkins, fratello di un musicista un tempo famoso, un tale Benny, che potrebbe anche non essere mai esistito. Il regista Hiro Murai ha ammesso di essersi molto ispirato a Shining e l’ambiente lugubre non sembra esattamente il museo casalingo, che Teddy sogna, dedicato alle grandi figure paterne (tra le quali cita il patriarca dispotico della famiglia Jackson, Joe, e «il padre che abbandona Emilio Estevez all’inizio di The Breakfast Club»), ma è più simile a un mausoleo. Glover stesso interpreta il padrone di casa, pesantemente truccato e indossando varie protesi; a detta di tutti, ha adottato appieno il Metodo ed è rimasto nel personaggio per tutto il tempo, sul set, tanto che i titoli di coda recitano “Teddy Perkins nel ruolo di se stesso”. La pelle pallida e il mento scolpito inducono a fare paragoni con Michael Jackson, ma nei fratelli Perkins si riconosce tutto il male di un’industria musicale costruita su sogni andati in malora, anime infrante e pazzia. Punti extra anche per il miglior needle-drop nella storia dello show: Evil di Stevie Wonder, una canzone piena di domande retoriche che sembra scritta apposta per Teddy. –D.F.

9

The Shield

Degradato

stagione 7, episodio 13

Conseguenze, conseguenze, conseguenze. Ovunque si guardi, nel finale di serie di questo drama innovativo i personaggi – in particolare il poliziotto corrotto Vic Mackey (Michael Chiklis) e i membri superstiti della sua squadra, Shane (Walton Goggins) e Ronnie (David Rees Snell) – sono costretti a fare i conti con tutte le cose orribili che hanno fatto fin dall’inizio di The Shield. Nell’arco di sei stagioni, gli spettatori si sono chiesti se Vic sarebbe morto, se sarebbe finito in galera o se, in qualche modo, l’avrebbe fatta franca. Tra le caratteristiche più brillanti di “Degradato” c’è il modo in cui il creatore di The Shield, Shawn Ryan, riesce a mescolare e combinare le questioni familiari dei membri della squadra in modi inaspettati e spesso devastanti. Buona fortuna quando vi troverete di fronte alla decisione terribile di Shane e vedrete il modo in cui Goggins interpreta la scena in cui viene pronunciato il titolo dell’episodio. Anche il destino di Vic è molto più complesso di quanto ci si potesse aspettare. Questi tipi di drama fortemente serializzati spesso non si concludono in modo soddisfacente, ma The Shield ci è riuscito al meglio, in assoluto. – A.S.

8

Radici

Parte II

Questa miniserie, adattamento del romanzo bestseller di Alex Haley ispirato alle storie di schiavitù tramandate nella sua famiglia per generazioni, arrivò in televisione al momento giusto. Era il 1977, la TV era ancora un mezzo di comunicazione di massa e metà del Paese vide tutta la storia – o una parte di essa – del guerriero mandingo Kunta Kinte (interpretato da LeVar Burton, da giovane, e da John Amos quando nella storia è un uomo di mezza età), strappato alla sua terra e costretto a una vita di schiavitù e servitù. In un momento abbastanza lontano dal picco del movimento per i diritti civili, gli spettatori erano ormai pronti a confrontarsi con l’orrore del peccato originale d’America (e, probabilmente, nel 1977 erano preparate a farlo molte più persone di oggi). Tutta la miniserie è straordinaria, ma la parte che è rimasta impressa nella memoria di tutti quelli che l’hanno vista è il capitolo due, che inizia con una rivolta violenta, subito repressa, sulla nave che porta Kunta e i suoi compagni di prigionia attraverso il Passaggio di Mezzo; poi mostra la squallida brutalità di un’asta di schiavi e termina con Kunta che viene frustato più volte per essere fuggito dalla piantagione e, cosa altrettanto grave per i suoi aguzzini, per essersi rifiutato di accettare il nome “Toby”. La rabbia e il dolore negli occhi di Burton e di Lou Gossett Jr. (che interpreta Fiddler, uno schiavo più grande nato in America) sono una delle immagini più indelebili mai viste sullo schermo televisivo. – A.S.

7

Cin Cin

La resa dei conti (parte 2)

stagione 1, episodio 22

Il primo season finale della stagione iniziale di questa sitcom amatissima ha portato l’attrazione che da tempo covava tra il barista ed ex atleta Sam Malone (Ted Danson) e la cameriera Diane Chambers (Shelley Long) a una grossa, meravigliosa esplosione. Dopo aver respinto le avance di Sam per un anno, Diane ha iniziato a vedersi con il fratello di lui, Derek (George Ball), che ha più successo; ma Sam continua a sperare di essere il fratello Malone che lei davvero desidera. Anche dopo che Diane gli conferma i suoi sospetti, ogni interazione fra loro sfocia in un litigio. Ciò porta a uno scambio di battute leggendario, tanto da essere replicato in ogni commedia romantica incentrata sul “voglio/non voglio”, da allora. Diane dice a un Sam infuriato: “Mi fai schifo. Ti odio”. Lui le chiede: “Sei eccitata quanto me?”. “Di più!”, esclama lei, e si baciano mentre il pubblico in studio esplode di fronte a questo climax tanto atteso. – A.S.

6

Mad Men

Buon compleanno

stagione 4, episodio 7

Francamente, questa puntata avrebbe potuto tranquillamente finire in elenco anche se tutto il resto della serie fosse stato mediocre – a parte il momento in cui Don Draper (Jon Hamm) urla a Peggy Olson (Elisabeth Moss), che vorrebbe un po’ di gratitudine per un lavoro ben fatto: «È A QUESTO CHE SERVONO I SOLDI!». Per fortuna tutto lo show è ottimo e rappresenta uno dei migliori esempi di serialità televisiva. Mentre Don e Peggy lavorano di notte per un lancio di valigie Samsonite, riescono a risolvere i loro conflitti e a svelare aspetti di loro stessi che avevano sempre tenuto nascosti. Gli spettatori che hanno seguito le 45 ore precedenti di Mad Men hanno potuto godere del modo in cui la relazione è mutata, vedendo l’evoluzione di Peggy: prima era la segretaria timida di Don, poi la sua protetta e infine una sua pari frustrata. Ma se si dovesse mostrare “Buon compleanno” a un neofita di Mad Men che non conosce i trascorsi tra i due o le rispettive storie complicate con Duck Phillips (Mark Moses), che brevemente si intromette tra loro, questi comunque potrebbe apprezzare il lavoro sulle sfumature dei personaggi e le interpretazioni stellari di Hamm e Moss. – A.S.

5

Seinfeld

La scommessa

stagione 4, episodio 11

Larry David credeva così tanto in questa puntata che si sarebbe licenziato, se NBC non gli avesse dato l’OK per mandarla in onda. Però, con sua grande sorpresa, già allora i dirigenti del network si accorsero di quanto sarebbe stata innovativa. E infatti, dopo che 18,5 milioni di persone (il 20% delle televisioni in America, all’epoca) si sintonizzarono per guardarla, nel novembre del 1992, Seinfeld passò dallo status di sit-com di scarso successo su un gruppo di narcisisti newyorkesi all’essere lo show che tutti – a prescindere dalla fascia demografica di appartenenza – dovevano seguire. La premessa (che David teneva in un quaderno di appunti fin dagli anni Ottanta, ma pensava non avrebbe mai superato le maglie della censura) era semplice: la madre di George (Estelle Harris, introdotta in questo episodio) lo sorprende in flagrante mentre si masturba e fa una brutta caduta, per cui viene ricoverata in ospedale. Lui dunque giura di rinunciare per sempre a quel “passatempo”. Jerry, però, non pensa che possa farcela: così propone una sfida ed Elaine e Kramer si uniscono alla cosa per divertimento. All’improvviso, le occasioni di arraparsi si presentano in ogni istante: la nudista sexy, che abita dall’altra parte della strada, da cui Kramer non riesce a levare gli occhi di dosso; la vergine (Jane Leeves di Frasier) con cui Jerry esce; le spugnature tra ragazze a cui George assiste nella stanza d’ospedale della madre; John F. Kennedy Jr. che flirta (fuori campo) con Elaine durante una lezione di aerobica. Ogni elemento è perfetto, dalla sceneggiatura di David (che si aggiudica un Emmy), all’interpretazione di Jerry di The Wheels on the Bus, passando per il cedimento rapidissimo di Kramer (“È stata una delle più grandi risate che abbiamo mai fatto”, ha detto David) e la fantasia malinconica di Elaine sul suo ipotetico nuovo nome da sposata (“Elaine Benes-Kennedy Junior”, sussurra, praticamente dopo aver ammesso di non avere alcuna possibilità). Ma la cosa migliore è che, lasciando la parola “masturbazione” completamente fuori da questi 23 minuti, lo show ci ha regalato il miglior eufemismo sessuale uscito dalle nove stagioni della serie: “padrone dei tuoi spazi”. – EGP [non ho idea di come sia stato doppiato e tradotto in italiano; bisognerebbe cercare l’episodio e guardarlo tutto – Andrea]

4

I Soprano

Un conto da saldare

stagione 1, episodio 5

Se questo non è il singolo episodio televisivo più rilevante mai girato, è comunque sul podio dei migliori. Mentre il boss della mafia del Jersey Tony Soprano (James Gandolfini) accompagna la figlia adolescente Meadow (Jamie-Lynn Sigler) a visitare i college del Maine, riconosce Febby Petrulio (Tony Ray Rossi), un ex affiliato della Famiglia che ha tradito ed è entrato nel programma di protezione testimoni. La decisione di Tony di braccare e uccidere Febby, solo per togliersi lo sfizio di farlo, rappresentava una linea che nessun protagonista di serie televisiva aveva mai oltrepassato prima (l’idea spaventò persino i dirigenti HBO!). In seguito, l’affetto enorme del pubblico per Tony ha reso più spregiudicato I Soprano, ma anche tutti i drama che ha ispirato negli ultimi 25 anni. Eppure, anche al netto di questo momento innovativo, “Un conto da saldare” è incredibile. La trama incentrata su Tony e Meadow immortala la difficoltà della doppia vita che Tony conduce – di cui Meadow gli chiede conto qui per la prima volta – come non accade in nessun’altra puntata. E la sottotrama in cui Carmela (Edie Falco) trascorre una notte indimenticabile e ambigua in compagnia di Padre Phil (Paul Schulze) è praticamente una rappresentazione teatrale che porta Carmela a confessare le sue remore sulla professione del marito in un modo che non si farà quasi mai sfuggire, in seguito. – A.S.

3

The Leftovers - Svaniti nel nulla

Assassinio internazionale

stagione 2, episodio 8

The Leftovers, serie ambientata all’indomani di un evento simile al Rapimento biblico, in cui un 2% a caso della popolazione mondiale scompare senza spiegazioni, nella prima stagione era una storia potente – a tratti opprimente – sul dolore, la fede, la solitudine e la follia. La seconda stagione affrontava ancora tutti questi temi pesanti, ma riusciva a farlo in modo molto più audace e, a volte, incredibilmente divertente. Questa combinazione di dolore e assurdo non è mai stata potente come in questo episodio, in cui Kevin Garvey (Justin Theroux) ingerisce una dose letale di veleno per scacciare una voce sinistra nella sua testa, ma si risveglia in un hotel di lusso scoprendo di essere un sicario internazionale con la missione di uccidere il presidente degli Stati Uniti. È solo un’allucinazione? È nell’Aldilà? Si trova nel luogo dove sono finiti i rapiti? “Assassinio internazionale” non dà mai spiegazioni, perché è chiaro che la catarsi emotiva che si scatena in Kevin è tutto ciò che lui e il pubblico chiedono. L’episodio è così elegante, sorprendente, buffo e devastante che lo scegliamo anche se è una delle poche puntate di Leftovers in cui non c’è Carrie Coon nel ruolo di Nora Durst, con la sua sbalorditiva interpretazione. – A.S.

2

The Simpsons

Occhio per occhio, dente per dente

stagione 4, episodio 17

L’episodio più divertente della più grande sitcom della storia della televisione (animata e non), in appena 22 minuti riesce a piazzare riferimenti a tutto, da Il padrino – Parte II e Batman di Tim Burton fino a Yellow Submarine, Citizen Kane, Moby Dick, Get Smart, Buster Brown e Il Grinch. Homer cerca di negoziare con il signor Burns un nuovo contratto sindacale che permetta ai dipendenti della centrale nucleare di continuare ad avere assistenza odontoiatrica, mentre Lisa si deve adattare all’apparecchio dentale economico che è costretta a mettere. Ma questo è solo lo sfondo di una serie sorprendente di gag a raffica che sono state citate e memizzate all’infinito, negli ultimi 30 anni. Il nostro momento preferito è quando il signor Burns mostra una stanza con 1.000 scimmie che battono su 1.000 macchine da scrivere, pensando che alla fine produrranno il più grande romanzo mai creato dall’uomo. Essere o non essere, questo è il bolema”, legge da una di esse, nemmeno un pochino impressionato dal fatto che la scimmia si sia avvicinata alle parole di Shakespeare. “Stupida scimmia!”. L’episodio fu scritto da Jay Kogen e Wallace Wolodarsky, che in quella stagione lavorarono al fianco di Conan O’Brien, George Meyer, John Swartzwelder e Jon Vitti in quella che oggi è considerato uno dei più grandi team di scrittura di tutti i tempi. In quella stagione sfornarono classici di tutti i tempi come “Marge contro la monorotaia”, “Un tram chiamato Marge”, “Krusty viene cacciato” e “La festa delle mazzate”, ma nessuno fa ridere come “Occhio per occhio, dente per dente”. – A.G.

1

Breaking Bad

Declino

stagione 5, episodio 14

La forza della narrazione televisiva portata alla piena realizzazione. Il vantaggio più grande di questo media, rispetto al cinema, è la quantità di tempo che trascorriamo con i personaggi e le loro storie, puntata dopo puntata, anno dopo anno. Molti episodi di questo elenco lasciano un segno profondo perché a quel punto, ormai, conosciamo bene i protagonisti e i conflitti in atto. Ma nessuno è così devastante o così accuratamente preparato come “Declino”, ovvero il momento in cui tutte le cose terribili che Walter White (Bryan Cranston) ha combinato in più di cinque stagioni gli si ritorcono contro. Lo zio Jack (Michael Bowen) e la sua banda di neonazisti uccidono Hank (Dean Norris) e rubano i soldi di Walt. Skyler (Anna Gunn) e Flynn (RJ Mitte) si rifiutano di fuggire con Walt. Quando lui vede nei loro occhi il terrore per il mostro che è diventato, si rende conto della crudele realtà della sua situazione senza più nascondersi dietro la bugia che si è sempre raccontato, cioè che ha fatto tutte queste cose terribili a beneficio della sua famiglia: allora rapisce la piccola Holly e fugge via. Anche una sottotrama rimasta a lungo in sospeso – Jesse (Aaron Paul) scoprirà che Walt è responsabile della morte di Jane e, se sì, come? – va incontro a una chiusura incredibile quando Walt ne parla casualmente a Jesse, solo per punzecchiarlo prima di lasciare che il suo ex partner venga ucciso (o almeno così crede) dagli scagnozzi di Jack. “Declino” (scritto da Moira Walley-Beckett e diretto da Rian Johnson) è in cima al nostro elenco non soltanto per la sua capacità di potare a compimento tutto ciò che l’ha preceduto, ma anche per la perfezione della sua ora di narrazione, piena di momenti indimenticabili sparati a raffica: Hank che dice a Walt che Jack, 10 minuti prima, ha deciso di ucciderlo; i pantaloni smarriti da Walt nella prima stagione che rispuntano nel momento peggiore per il loro proprietario; Skyler, distrutta, che ulula per strada dopo che Walt le ha rapito la figlia… e tanti altri ancora. Capolavoro. – A.S.

Da Rolling Stone US

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