Roman l’inventore di nuovi contesti, Roman il contestatore, Roman il contestato. Ma, nel giorno del suo 90esimo (!) compleanno, non siamo qui per parlare della sua biografia personale, tante volte portata a processo (letteralmente). Vogliamo solo ripercorrere il suo cinema grandissimo, anche più della vita. Ma che della vita ha saputo catturare le contraddizioni, gli orrori, le ingiustizie, e anche una nerissima ironia. Impossibile stilare la sua Top 10: noi ci abbiamo provato.
10Frantic (1988)
Frantic è forse il più dichiarato omaggio al thriller hitchcockiano nella carriera di Polanski, con tanto di doccia e cadavere. A cui si aggiunge un altro elemento del puzzle: una misteriosa statuetta, al centro di un’indagine frenetica. La chiave è una donna sensuale e imprevedibile: Sondra (Betty Buckley), che ha preso la valigia sbagliata all’aeroporto di Parigi, dove aveva accompagnato il marito medico (Harrison Ford) per una conferenza. E il giorno dopo è scomparsa, lasciando lui impigliato in una rete di spionaggio, traffico di droga e terrorismo internazionale. Best scene: quella in cui Ford deve evitare di essere visto e sentito sul tetto di Emmanuelle Seigner, moglie del regista. Non il miglior Polanski, ma avercene.
9L’ufficiale e la spia (2019)
Una delle pagine più oscure della storia francese, lo scandalo politico che ha diviso il Paese nel 1894 e per il quale Émile Zola ha scritto il suo celeberrimo J’accuse: l’ingiusta condanna per tradimento di un ufficiale ebreo, Alfred Dreyfus. Grazie anche a un cast da serie A – Jean Dujardin e Louis Garrel –, Polanski ne fa molto più di un film storico: L’ufficiale e la spia (ennesimo titolo italiano brutto per il ben più evocativo originale J’accuse) è un thriller politico, un lavoro di denuncia potente e sontuoso. Attraverso questo celeberrimo caso giudiziario, il regista punta il dito contro l’intolleranza di oggi. E contro una macchina del fango che non risparmia nessuno (soprattutto lui). Cinema grandissimo, che nessuna polemica di ieri, oggi e domani può fermare.
8Luna di fiele (1992)
Prima di Carnage (vedi alla posizione numero 5), è venuto un altro quartetto indimenticabile. Durante una burrascosa – in tutti i sensi – crociera da Venezia a Istanbul, la coppia borghese (Hugh Grant e Kristin Scott Thomas) incontra e si scontra con quella invece sregolatissima (Peter Coyote ed Emmanuelle Seigner): sarà un casino, ma strepitoso. Come in molti film precedenti e successivi, l’amore è sempre un esercizio del potere: ma stavolta la componente mélo è ancora più sfacciata (e volutamente ironica). Critiche all’epoca tiepidine (poi per fortuna in molti ci hanno ripensato) e una colonna sonora da perfetto party sulla nave che oggi costerebbe una fortuna: Fever, Sweet Dreams, I Will Survive, e via mixando.
7L’inquilino del terzo piano (1976)
Dopo il successo di Chinatown, Roman sembrava destinato a una brillantissima carriera hollywoodiana. E invece lui cosa fa? Torna in Europa a dirigere questo film piccolo (si fa per dire) con cui chiude la cosiddetta “trilogia dell’appartamento” cominciata con Repulsion e proseguita con Rosemary’s Baby. Non solo: dirige se stesso nei panni del personaggio del titolo, un mite impiegato polacco che finisce per assumere un’altra identità, mettendosi (letteralmente) nei panni della donna che aveva vissuto tra quelle mura prima di lui. Uno psycho-tour de force che non solo padroneggia benissimo (anche come attore), ma con cui affina la sua idea di thriller claustrofobico e post-hitchcockiano. Una sempre fulgida Isabelle Adjani fa il resto. Cultissimo.
6Repulsion (1965)
Una favola nera che parte da Hitchcock (again), anche grazie alla presenza della biondissima, magnifica Catherine Deneuve, forse mai stata così gelida e infuocata insieme; e che finirà per ispirare molti colleghi coevi e futuri, da Kubrick a Lynch. Al centro c’è un’altra casa stregata, ma non da presenze esterne: dal buio della mente della protagonista, come sempre. E una regia affilata come una lama, che penetra nel tessuto sociale e culturale del perbenismo dell’epoca con una mano nuova (o Nouvelle?) davvero rivoluzionaria. Seminale.
5Carnage (2011)
Gli dèi del massacro – come è stata tradotta in italiano la pièce alla base del film – sono due. Da una parte Yasmina Reza, la commediografa più lucida e spietata del teatro contemporaneo; dall’altra lo stesso Polanski, che si/ci diverte con un altro dei suoi Kammerspiel indiavolati. Ne esce una partita a quattro indimenticabile: Jodie Foster, Kate Winslet, Christoph Waltz e John C. Reilly (impossibile scegliere il più bravo) demoliscono una ad una tutte le colonne su cui si regge la borghesia contemporanea, che odia tutti (a cominciare, inconsciamente, da se stessa) e affoga il senso di colpa in nobili (e spesso inutili) cause. Un (altro) j’accuse con cui Roman parla anche di sé (e della sua “persecuzione”). Forse anche per questo l’America gli ha ancora una volta voltato le spalle, non riconoscendo nemmeno agli straordinari interpreti nessuna nomination agli Oscar: vergogna.
4Il pianista (2002)
Il film più personale di Polanski. Che, nel dramma umano del pianista polacco Władysław Szpilman, unico membro della sua famiglia a sopravvivere all’Olocausto, rivive la persecuzione degli ebrei in Polonia durante la seconda guerra mondiale, di cui è stato vittima anche lui. Adrien Brody, premiato (forse un po’ generosamente) con l’Oscar, diventa così l’alter ego del regista, che rivive i suoi ricordi attraverso quelli del personaggio. E racconta una storia di sopravvivenza di fronte a sofferenze insopportabili con empatia, coraggio e un’ironia amarissima. Che è valsa a Roman, incredibile ma vero, l’unico Oscar alla regia della sua carriera.
3Il coltello nell’acqua (1962)
Uno dei debutti cinematografici più sbalorditivi di tutti i tempi, senza se e senza ma. Polanski aveva 29 anni, una breve carriera d’attore e regista di cortometraggi alle spalle e un’idea di cinema già molto precisa: claustrofobia (stavolta tutto si svolge durante una gita in barca), lotta di classe, orrore psicologico. E solo tre personaggi, che però tengono in pugno lo spettatore dal primo all’ultimo fotogramma: cosa che accadrà anche in molti film futuri, vedi i “duetti” La morte e la fanciulla e Venere in pelliccia. Il bianco e nero è sontuoso, il ritmo travolgente, le allegorie politiche e sociali mai pesanti. Gli States si accorgono di lui: primo film e prima (meritatissima) candidatura. È nato un maestro.
2Chinatown (1974)
Avrebbe potuto tranquillamente stare in vetta alla nostra classifica. Perché è un omaggio al noir e al tempo stesso un suo sovvertimento, dallo sguardo soleggiato sulla parte più oscura di LA alla femme fatale (Faye Dunaway) che diventa altruista. Perché il detective hard boiled è un Jack Nicholson al suo top. Perché è un film a suo modo ambientalista, un dramma personale e politico con al centro l’elemento senza cui non possiamo sopravvivere: l’acqua. Ma, più di tutto, perché è un racconto definitivo di Polanski sul potere, e una origin story revisionista degli States moderni. Un capolavoro gelido che è massima espressione del pessimismo polanskiano: nell’America capitalista gli eroi non vincono, mai. «Forget it, Jake, it’s Chinatown».
1Rosemary’s Baby – Nastro rosso a New York (1968)
Lo spettrale Dakota Building con vista su Central Park, il taglio cortissimo (e imitatissimo) di Mia Farrow, il coltello (un simbolo ricorrente) che brilla, la corte di vicini pettegoli e spaventosi, la culla del demonio: ma per davvero. È il Polanski più bello di tutti? Probabilmente sì, anche se scegliere è impossibile. Di certo è l’opera in cui semina e dissemina la quintessenza della sua poetica: dall’amore per l’apartment movie alla sua utopia di società anti-borghese, dal gusto per i trick dell’orrore alla costruzione della tensione scena per scena. Era il 1968 e se nel mondo là fuori ribolliva la contestazione, sullo schermo si assisteva rapiti alla rivoluzione di questo giovane autore. Diavolo d’un Roman.