FOTO
Prima di Rey, c’era la mitica Jedi togruta con le spade laser bianche, incolori proprio perché la nostra non fa più parte dell’Ordine. Già tra i protagonisti delle serie animate The Clone Wars e Rebels, Ahsoka è stata padawan (apprendista) di Anakin Skywalker. Ed è tornata da adulta nella seconda stagione di The Mandalorian, in cui svela finalmente la storia di Baby Yoda. Il casting made in heaven di Rosario Dawson nella versione live-action del personaggio ha fatto (giustamente) impazzire i fan. Al punto che Ahsoka si è guadagnata subito uno spin-off tutto suo.
Francesissima nel pieno cliché di cui Emily in Paris si è fatta portatrice non troppo sana (secondo molti), Sylvie è la nuova boss parigina di Lily Collins, nella società di marketing di lusso Savoir. E per noi è il vero pezzo forte di questo divertissement instagrammabile come la sua protagonista: è chic e stronza, anziché pranzare preferisce fumare un sigaretta (!) e ha una liaison decennale con un ricco cliente profumiere. Ma è Philippine Leroy-Beaulieu, figlia del grande Philippe e capace di un’eleganza che non supera mai il confine della macchietta esilarante, a renderla davvero indimenticabile.
Jordan Kristine Seamón sembra un gatto. Guardate i suoi lineamenti nei primissimi piani by Guadagnino. E, proprio come un felino, il suo personaggio è inafferrabile: nell’ode alla libertà totale dell’autore che il nostro Paese ancora fatica assurdamente a capire, Caitlin è la popolare figlia di un ufficiale afroamericano sostenitore di Trump in una base USA in Italia. Che, quando può, si veste da maschio e si fa chiamare Harper. Inizierà a comprendersi davvero (o forse no, e va benissimo così) nell’incontro con Fraser (Jack Dylan Grazer). Bravi tutti, ma per noi Seamón ha una marcia in più.
La cresta, lo sguardo allucinato, i passi di danza e il ghigno alla Jack Nicholson: Spadino è sempre stato il personaggio più clamoroso del romanzo di formazione gangsta capitolino. E l’interpretazione di Giacomo Ferrara lo ha riempito di un tormento shakespeariano contemporaneo, al punto che la stampa internazionale ha definito la performance: “Indimenticabile come quella di De Niro in Taxi Driver”. Complice anche la bromance con l’Aureliano di Alessandro Borghi, Spadino è diventato un pezzo di cultura pop. E in questo finalone ti viene solo voglio di abbracciarlo. “Dedicato ai cattivi, che poi così cattivi non sono mai” (emoji cuoricino).
Nel medical drama italiano che ha sfondato gli ascolti quasi come Sanremo, la certezza sulla carta erano Luca Argentero e il suo dottor Andrea Fanti, primario che perde 12 anni di memoria e si riscopre umano. E poi è arrivata la sorpresa, dirompente come in tv non capitava da anni: Pierpaolo Spollon, alias lo specializzando Riccardo Bonvegna, il più legato a Doc tra i dottorini. E sul web è partito subito il delirio. Non solo perché il suo personaggio è amatissimo (insieme al "dottor Bollore" di Gianmarco Saurino), ma anche perché i social sono impazziti per lui, diventato twittatore seriale durante la messa in onda, tanto da far schizzare in tendenza qualunque progetto a cui partecipi. I palinsesti Rai ringraziano.
Mentre la Marianne di Daisy Edgar-Jones è ancora più insopportabile (e troppo bellina) rispetto al personaggio del romanzo di Sally Rooney, Paul Mescal “è” Connell. Ne centra il lato pubblico: irlandese ma non troppo, figo e popolare, star della squadra di calcio gaelico della scuola e oggetto del desiderio della reginetta della classe. Ma l’attore ne coglie anche e soprattutto l’aspetto più privato: l’estrazione sociale modesta, il sogno della scrittura, l’attrazione insopprimibile per colei che tutti considerano “weird” e stronza, gli ormoni, l’orgoglio maschile e la fragilità estrema. È Mescal la vera star di questa educazione sentimentale intellò. Oltre a Rooney, ovviamente.
Fino a questa quarta stagione non avevamo davvero messo a fuoco Sana, e di lei conoscevamo solo il lato spigoloso da blastatrice fin troppo schietta. Ora finalmente siamo entrati nel suo mondo pieno di dubbi e insicurezze. E Beatrice Bruschi fa un lavoro doppiamente incredibile nel dipingere quella vita in bilico tra i valori di una famiglia musulmana progressista e quelli delle amiche e della società occidentale, di cui si sente ed è orgogliosamente parte. Negli occhi, tra le tante bellissime sequenze, ne resta una: quella in cui Sana torna a casa, vede che in soggiorno c’è l’amico del fratello che le piace, va nella sua stanza, prende dall’armadio una scatola piena di veli colorati e ne prova qualcuno per scegliere quello che le sta meglio. Meraviglia.
Se pensate che Joe Exotic sia il cattivo di Tiger King vi sbagliate di grosso. La vera bitch è la signora bionda con la passione per l'animalier che, secondo alcuni, avrebbe dato in pasto ai felini il cadavere del primo marito per costruire il suo impero animalista con l’eredità. Una che si presenta negli uffici dei governatori in look total-leopardato e saluta tutti dalle sue stories Instagram con un “Hey you all cool cats and kittens”. Lo zoo di big cats a scopo di lucro lo gestisce pure lei, ma con la scusa della salvaguardia di tigri & Co. E mentre Joe, simbolo 2020 dell’America white trash, è in carcere per aver cercato di ucciderla, lei intanto ha assunto il controllo della proprietà di lui. Come direbbe Katy Perry: “Roar”.
Il vero colpaccio quest’anno l’ha fatto The Crown con lei: Emma Corrin, alias una Diana Spencer giovanissima, durante il fidanzamento-lampo con Carlo e i primi anni da working royal. Già dall’entrée deliziosa, Corrin si prende la scena e azzecca tutto della “principessa del popolo”: l’innocenza e la freschezza, che poi si trasformano in eleganza, ma anche fragilità e malinconia. L’attrice affronta anche gli squarci più duri da mostrare, come la bulimia. Le espressioni sono azzeccatissime, persino come Emma inclina la testa è impressionante. «Un’illuminazione» come l’hanno definita i casting director e probabilmente «la migliore decisione mai presa». No doubt.
Anya Taylor-Joy è l’attrice dell’anno. E, dopo la consacrazione intellò con Emma., la conferma pop è arrivata dalla serialità, grazie al titolo dei record di Netflix. E con il personaggio pazzesco di Beth Harmon, l’orfana dipendente dai farmaci e dall’alcol che diventa un genio degli scacchi al punto da vederli muoversi sul soffitto della sua camera da letto. E che non avrebbe avuto lo stesso exploit senza la sua attrice: Anya è la versione Peak Tv di un ritratto fiammingo à la van Eyck, con i lineamenti spigolosi che la staccano dal fondo, la caratterizzazione psicologica che si rivela nel portamento, nelle espressioni, nel décor e, più di tutto, in uno sguardo ossessionato. E ossessionante.
Restiamo
in contatto
Ti promettiamo uno sguardo curioso e attento sul mondo della musica e dell'intrattenimento, incursioni di politica e attualità, sicuramente niente spam.