Innanzitutto occorre delimitare il concetto stesso di chick flick, letteralmente il classico «film per ragazze», definizione che però – buttata lì così – potrebbe pure trarre in inganno. Il chick flick non è una commedia romantica, e nemmeno un drammone strappalacrime: l’amore c’è, sia chiaro, ma non è il fulcro principale attorno a cui si snoda la storia; piuttosto, si tratta di un mix sapientemente calibrato di amicizia al femminile, eventuali scaramucce, gelosie e incomprensioni che però vanno via via risolvendosi sino all’happy ending finale (dove sì, l’amore per l’appunto trionfa sempre). Se c’è una certezza nella vita, è che il chick flick non viene mai per nuocere, e che nessuno lascerà il cinema o abbandonerà il divano con le tasche ingombre di Kleenex. Preferibilmente da gustare in compagnia, diventa migliore a partire dalla seconda o terza visione, rimette in pace col mondo e possiede pure una sorta di potere taumaturgico: a fronte delle iniziali premesse, una doverosa classifica dei fuoriclasse, alcuni diventati i pilastri su cui si fonda non soltanto l’epica del chick flick stesso, bensì la nostra personale mitologia.
15Crossroads – Le strade della vita (2002) di Tamra Davis
Prendi tre amiche che hanno fatto un patto, prendi un accompagnatore belloccio e un po’ taciturno, prendi un road trip sgangherato, prendi una Buick decappottabile e – soprattutto – prendi Britney Spears all’apice della carriera, nonché al suo esordio cinematografico. Non è un chick flick da urlo, Crossroads, ma escluderlo da questa classifica sarebbe stato passibile di scomunica: merito ovviamente di Britney (l’unico motivo per cui val la pena sciropparselo), che fa le scarpe con estrema disinvoltura a gente come Zoe Saldana e Taryn Manning. Budget (stitico) di dodici milioni di dollari, guadagno (ricco) di oltre sessantuno milioni, sceneggiatura firmata Shonda Rhimes before she was cool: non abbiamo altro da aggiungere, Vostro Onore.
14Bride Wars – La mia migliore nemica (2009) di Gary Winick
Ciò che servirebbe a Emma (Anne Hathaway) e Liv (Kate Hudson) non è tanto un doppio matrimonio al Plaza Hotel di New York, quanto un ottimo psicoterapeuta. Anzi, due psicoterapeuti, uno a testa, che le facciano guarire definitivamente da una fastidiosissima co-dipendenza. La coppia di frenemies combatte una guerra a suon di colpi bassi per più della metà del film (forse il risvolto più divertente), mentre la restante parte è più stucchevole d’un barattolo di miele d’acacia. Ah, da segnalare un Chris Pratt sbarbato e pivello, che però già in tempi non sospetti trasudava testosterone, Tomahawk, americanità, eccetera. Insomma, ci siamo capiti.
13Sex and the City (2008) di Michael Patrick King
Puntualizzazione doverosa: parliamo del film (il primo), non della serie. La domanda che più m’attanaglia nel caso di Sex and the City è però di ordine socioculturale: in un ipotetico remake odierno della pellicola, l’assistente personale di Carrie Bradshaw (Sarah Jessica Parker), cioè Love (Jennifer Hudson), sarebbe ancora contemplata nella sceneggiatura o nel cast? O forse la sua eventuale presenza scatenerebbe recriminazioni di carattere neocolonialista? Mi voglio immaginare un’ipotetica riunione di produzione in cui tutti diventano matti per risolvere una questione che quattordici anni fa nessuno avrebbe (e ha) mai sollevato: Love può ancora essere afroamericana? O forse è meglio asiatica? Caucasica? Eterosessuale? Perdonatemi, è un’immagine che continua a farmi molto ridere (o piangere, a seconda dei punti di vista).
12Prima o poi mi sposo (2000) di Adam Shankman
Un po’ una specie di commedia degli equivoci, che man mano che si procede nella visione viene buttata in vacca dal malsano desiderio di ricreare situazioni sempre più tragicomiche. Classico esempio di «quando il troppo stroppia», siamo comunque affezionati all’italoamericana meno italoamericana della storia, Mary Fiore, il ruolo che segna l’ingresso di Jennifer Lopez nel magico mondo dei chick flick. La nostra lo fa accompagnata da colui che ai tempi era il santo patrono delle rom-com, un Matthew McConaughey in versione bionda e sbarbata, corredata da occhialino da diligente chirurgo. Non la sua migliore, certo, però vuoi mettere trovarselo davanti quando vai dal medico di base a farti prescrivere le analisi del sangue?
11Mai stata baciata (1999) di Raja Gosnell
Esiste una presa per il culo più immensa dell’appellativo «Josie buzzicozza»? Esiste un incubo peggiore, per una che al liceo era una mezza sfigata, di ritornare appunto al liceo nonostante il senno di poi? Esiste un modo per sdoganarsi per sempre dalla maledizione di non essere una tipa cool e popolare? È possibile vendicarsi di un’adolescenza vissuta a ingoiare rospacci e a (mal)sopportare i bulli? Domande in un certo senso esistenziali, a cui Mai stata baciata cerca di dare una risposta senza però convincere al cento per cento. Un plauso a Drew Barrymore, che più è maldestra, goffa e imbranata, più è adorabile: once a buzzicozza, forever a buzzicozza nei nostri cuori.
10Easy Girl (2010) di Will Gluck
Attenzione attenzione, con Easy Girl sanciamo la svolta ed entriamo nella top ten dei chick flick più che dignitosi – ma che dico dignitosi, chiamiamoli pure masterpiece. Il titolo originale (Easy A) rimanda chiaramente alla Lettera scarlatta di Nathaniel Hawthorne cui si ispira, ma dimenticate l’avvilente adattamento con Demi Moore: qui si ride (molto), si riflette (il giusto), ci si prende in giro (sempre). Emma Stone è per la prima volta protagonista assoluta, e la sua Olive Penderghast – una tipa intelligente, studiosa, graziosa, sveglia e tostissima – è la quintessenza della delizia. Uniteci pure due genitori d’eccezione (Stanley Tucci e Patricia Clarkson) et voilà, il titolo perfetto per un venerdì sera sul divano con vaschetta di gelato è fatto.
9Come farsi lasciare in dieci giorni (2002) di Donald Petrie
Una delle coppie più belle mai portate sullo schermo (un Matthew McConaughey e una Kate Hudson all’apice della rispettiva fighezza) affronta una delle questioni sentimentalmente più spinose: quanto può andare avanti una relazione con una tipa carinissima che chiunque ti invidia, se quella tipa carinissima è una palla al cazzo di dimensioni ciclopiche? Classico chick flick (meets rom-com) che sai già come va a finire ancor prima di iniziare a guardarlo, ma che, nonostante ciò, continui puntualmente a rivedere: merito dei due di cui sopra, di una sceneggiatura ben costruita, di un film che non pretende di essere quel che non è, di quell’abito giallo sfoggiato sul finale da Kate Hudson che io son vent’anni che me lo sogno e che se fosse nel mio armadio ci andrei anche all’Esselunga.
8Il diavolo veste Prada (2006) di David Frankel
Dicevamo all’inizio, un grande chick flick si caratterizza per la capacità di costruire dei pilastri su cui si basa la nostra personale mitologia. E cosa c’è di più mitologico dei vari «Florals? For spring? Groundbreaking» (perdonate, rende meglio in inglese); «Mi sono detta, provaci, corri il rischio, assumi la ragazza sveglia e grassa»; «Il punto è che dobbiamo seriamente pensare a dove piazzare Donatella perché non parla praticamente più con nessuno»? La Miranda Priestly di Meryl Streep è immensa almeno quanto la Andy Sachs di Anne Hathaway è insopportabile: chi mai, dopo essere entrata nelle grazie della più temuta direttrice di moda del mondo, rinuncerebbe al guardaroba, alla mondanità, agli incontri con le celebs, al front row durante le sfilate e tutt’ cos’ per inseguire il sogno del giornalismo “quello vero”? Dài, siamo seri, suvvia.
7The Wedding Party (2012) di Leslye Headland
Titolo (ingiustamente) passato quasi sotto silenzio in Italia, Bachelorette (così in originale) è un chick flick cattivissimo, scorrettissimo e divertentissimo. C’è tutta una serie di cliché oggi purtroppo non più utilizzabili: la cicciona che s’accasa prima delle amiche più fighe e popolari, la sfattona che parla di pompini col vicino di posto in aereo, la stupidona frivola che gn’aa fa’, la control freak perennemente sull’orlo di una crisi di nervi. Un cast pazzesco (Kirsten Dunst, Isla Fisher, Lizzy Caplan, Rebel Wilson, Adam Scott, James Marsden), un happy ending che così scontato non è e l’ennesimo vestito passato alla storia: quello indossato da Dunst, un 3.1 Philip Lim che all’epoca cercai in ogni dove e che puntualmente mi si diceva essere sold out. Sono trascorsi dieci anni, e ancora fatico ad accettare questa dolorosa rinuncia.
6Le amiche della sposa (2011) di Paul Feig
Un chick flick che dovrebbe vedere chiunque sia consapevole di essere posseduto da un demone: l’ansia da prestazione. È proprio questa che divora Annie (Kristen Wiig) quando si trova a dover organizzare l’addio al nubilato della migliore amica Lillian (Maya Rudolph) e a scontrarsi con le di lei amiche: la ricca, perfettina e frustrata Helen (Rose Byrne), la cinica e vagamente ninfomane Rita (Wendi McLendon-Covey), la sboccatissima Megan (Melissa McCarthy), la tenera idealista Becca (Ellie Kemper). Produce Judd Apatow, che riesce a mettere insieme un cast tutto al femminile di brave attrici comiche che – caso più unico che raro – fanno ridere davvero. Altra nota di rilievo: la presenza di Jon Hamm nel ruolo di uno sciupafemmine da strapazzo fissato col sesso orale, il che è abbastanza coerente con la tradizione iniziata con l’indimenticabile Don Draper di Mad Men.
5Il club delle prime mogli (1996) di Hugh Wilson
Tratto da un romanzo di Olivia Goldsmith, Il club delle prime mogli è un chick flick in versione âgée che si focalizza su un risvolto in un certo senso tipico della vita sentimentale over 50, ossia quando il marito s’invaghisce della ragazza più giovane. A tal proposito cito il Morandini: «C’è, soprattutto, il trio strepitoso delle tre cinquantenni: Bette Midler (1946), Goldie Hawn (1945) e Diane Keaton (1946), che recitano a ruota libera e meritano un applauso collettivo. Sono attrici che diventano coautrici», ché buona parte del grandissimo successo di questa commedia lo si deve proprio a loro. E non soltanto: come dimenticare i cameo di Heather Locklear e della recentemente scomparsa e compiantissima Ivana Trump? Un classico senza tempo, tre fuoriclasse, una battuta passata alla storia: «A Hollywood ci sono solo tre età: bambola, procuratore legale e A spasso con Daisy».
4Romy & Michelle (1997) di David Mirkin
Vi è mai capitato di sentirvi in dovere morale di andare a una reunion di ex compagni di liceo? Vi è mai capitato di toccare con mano quella frustrazione che questo genere di incontri è in grado di produrre? Come vi ci approcciate? Con lo spirito di rivalsa tipico di chi da adolescente era uno sfigato e ora vuol dimostrare che da adulto ha spaccato? Con la vergogna di chi era cool e popolare e poi ha collezionato due divorzi, cinque figli, una NASpI e un assegno di mantenimento da “poco ricco”? Col rifiuto di accettare la realtà e di voler convincere chiunque che la vita non è stata affatto ingenerosa, anzi? Se appartenete alla scuola del «fake it till you make it», allora Romy & Michelle è IL chick flick che fa per voi: metteteci pure che le protagoniste sono le strepitose Mira Sorvino e Lisa Kudrow, ed ecco ampiamente spiegato il perché della quarta posizione.
3La rivincita delle bionde (2001) di Robert Luketic
Pecco di maniavantismo: si tratta di un podio sofferto, soffertissimo, nel quale confluiscono riflessioni, dibattiti e drammi personali. Fosse per me, questi film li avrei messi tutti ex aequo, ma è la dura legge della classifica e nessuno può aggirarla. Veniamo a noi: sono nata bionda, lo sono stata (tinta, ché è la dura legge delle bionde: con l’età l’oro tende a diventare cenere) per quasi quarant’anni e mi sono sperticata per dimostrare a chiunque d’essere (anche) intelligente. Finché non ho capito che fingermi stupida, oltre che bionda, poteva risolvere furbescamente e senza fatica molte magagne: nella mia personale presa di coscienza, un ruolo fondamentale l’ha giocato Elle Woods (Reese Witherspoon), che con la sua scucchia, la sua chioma e la sua gigantesca prova attoriale m’ha insegnato l’arte del buon vivere. Poi a un certo punto ho deciso di cedere e assecondare la natura scurendomi i capelli, ma sono ancora dannatamente bionda dentro e – credo – lo rimarrò per sempre. Grazie, Elle.
2Ragazze a Beverly Hills (1995) di Amy Heckerling
Una pietra miliare, no ma che dico, più di una pietra miliare: queste sono proprio le basi del chick flick. Cher Horowitz (una strepitosa Alicia Silverstone, che all’epoca era come il prezzemolo per via di diversi video degli Aerosmith) è una moderna Emma Woodhouse che, negli anni, s’è trasformata in un pilastro della cultura pop. Dentro Ragazze a Beverly Hills non c’è soltanto un concentrato eccelso degli anni Novanta, ma tutto il film contiene riferimenti alla filmografia del passato (Gigi di Vicente Minnelli; 2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick), nonché uno sguardo anticipatore e precursore rispetto al futuro. L’epica di Clueless (ennesimo titolo azzeccatissimo volgarmente storpiato dai traduttori) include gli outfit, le mossette, le acconciature, i cliché, la colonna sonora e le battute intraducibili in italiano: «Whatever», con le mani che mimano una W; «You are a snob and a half»; «Ok, so he is kind of a Baldwin»; fino all’intramontabile «Ugh, as if!». Roba che solo a ricordarla vengono i brividi di commozione.
1Mean Girls (2004) di Mark Waters
L’unica nota triste che mi viene in mente quando parlo di Mean Girls è che oggi il capolavoro scritto da Tina Fey, in cui recita anche la fida collega Amy Poehler, sarebbe improducibile. Vado in ordine sparso: la scena dove Cady Heron (Lindsay Lohan) viene presentata in classe come la nuova studentessa arrivata dall’Africa e la compagna afroamericana sbotta «Io vengo dal Michigan!»; la suddivisione dei gruppi in mensa (i secchioni asiatici, gli asiatici fighi, le nere antipatiche, quelle che si strafogano – «Girls who eat their feelings», magistrale –, quelle che non mangiano, le soggette “vorrei ma non posso”); Karen Smith (una stupenda Amanda Seyfried) descritta come «la ragazza più stupida che incontrerai in vita tua»; la buzzicozza (cit.) che racconta «una volta Regina George mi ha dato un pugno in faccia. È stato meraviglioso». Un chick flick perfetto, unico, irripetibile e tragicomico: comico sì, perché fa sbellicare dalle risate, ma anche tragico, ahimè, perché racconta di un’epoca nemmeno troppo lontana immune alle offese e ai fraintendimenti. Riuscivamo a ridere di tutto una volta, inclusa la cattiveria senza limiti di Regina George (Rachel McAdams): che cosa accidenti ci è successo?