Tutto quello che è allo stesso tempo gratificante e irritante degli Oscar è racchiuso nei nomi delle attrici che hanno ricevuto la statuetta come migliore attrice negli ultimi due decenni. Da un lato, questa categoria ha reso omaggio a molti dei volti più talentuosi di Hollywood, tra cui Helen Mirren, Cate Blanchett, Olivia Colman, Nicole Kidman, Marion Cotillard e persino qualche americana qua e là. Detto questo, è assurdo quanto raramente le nostre migliori attrici abbiano vinto per i loro ruoli migliori, con l’Academy che spesso privilegia l’apparenza rispetto a un’interpretazione brillante o raffinata. Molte di queste attrici hanno fatto molto meglio in altri film, ma gli Oscar sono fatti così: spesso premiano i talenti più grandi per il loro lavoro in film che non rappresentano quasi mai il loro momento clou.
Non sorprende, quindi, che la nostra classifica delle vincitrici del premio come migliori attrici di questo secolo si sia rivelata particolarmente impegnativa. Ci siamo concentrati sulla performance individuale, non sul corpus di lavori dell’attrice, il che ha portato ad alcuni risultati anche strani. Mettiamola così: questa sarà probabilmente l’unica classifica di attrici che mette Meryl all’ultimo posto. (Sappi che sei sempre al primo posto nei nostri cuori, Mrs. Streep, soprattutto dopo quel discorso strepitoso ai Golden Globe del 2017).
Senza ulteriori indugi, e in onore della 97esima edizione degli Academy Awards il prossimo 2 marzo, ecco la nostra lista delle vincitrici dell’Oscar come migliore attrice del XXI secolo fino a oggi, dalla peggiore alla migliore.
Meryl Streep
The Iron Lady
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Foto: Kevin Winter/Getty Images
Meryl Streep è la più grande attrice della sua generazione, anzi, potrebbe essere la migliore attrice di diverse generazioni. Ma questo non significa che i maestri non possano fare passi falsi; quello che però è inammissibile è che l’Academy non li riconosca come tali. Nel ruolo di Margaret Thatcher, ex Primo Ministro britannico ora alle prese con la vecchiaia e l’inattività, Streep porta sullo schermo una caricatura anziché una vera e propria performance. The Iron Lady è un film biografico sorprendentemente poco ispirato in tutti i suoi aspetti, che non riesce a cogliere la durezza e l’arguzia di questa leader influente e divisiva. Inoltre, la mancanza di intuito della sceneggiatura fa emergere la qualità peggiore di Streep, che ostenta la tecnica a discapito dei sentimenti.
Sandra Bullock
The Blind Side
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Foto: Mark J Terrill/AP/Shutterstock
Una delle trame dominanti della stagione degli Oscar del 2010 è stato il ritorno di Sandra Bullock, la diva che aveva inciampato nei primi anni 2000, solo per riprendere il suo posto grazie a una commedia romantica di successo (Ricatto d’amore) e ad alcune delle migliori recensioni della sua carriera per The Blind Side. Questa ottima narrazione ha alimentato la sua vittoria all’Oscar, ma con la giusta prospettiva è chiaro che la sua interpretazione della pragmatica Leigh Anne Tuohy è poco più di un divertissement pop senza molta profondità dietro. E il suo ruolo in realtà sottolinea cosa c’è che non va nel film: è l’ennesimo racconto hollywoodiano su come un personaggio bianco privilegiato impari lezioni preziose aiutando un povero giovane nero.
Nicole Kidman
The Hours
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Foto: Courtesy of A.M.P.A.S. via Getty Images
Dal 1999 al 2004, Nicole Kidman è stata probabilmente la migliore attrice al mondo, ha lavorato con grandi nomi del cinema e ha regalato una serie di interpretazioni che hanno segnato la sua carriera: Eyes Wide Shut, Moulin Rouge!, The Others, Dogville, Birth. In confronto, il ruolo che le è valso l’Oscar – quello della malinconica scrittrice Virginia Woolf in The Hours – è soltanto buono: punteggiato di tristezza, disperazione e durezza, ma anche appesantito dalla ponderosa solennità che il regista Stephen Daldry conferisce sempre alle sue opere. In altre parole, il basso piazzamento di Kidman in questa classifica è più un’indicazione del film per cui ha vinto che un’accusa alla sua interpretazione. Per molti altri attori, The Hours avrebbe rappresentato il momento più alto.
Kate Winslet
The Reader – A voce alta
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Foto: Paul Buck/EPA/Shutterstock
In un episodio del 2005 della serie Extras di Ricky Gervais, Kate Winslet ha interpretato una versione satirica e codarda di sé stessa che recita in un film sull’Olocausto perché “[ti] è garantito un Oscar”. Qualche anno dopo, vinse un Oscar interpretando una donna tedesca degli anni ’50 che inizia una relazione con un adolescente (David Kross) e… oh, sì, fu anche complice della perpetuazione dell’Olocausto. È stata una coincidenza? “Per me non è mai stato un film sull’Olocausto”, disse all’epoca a proposito di The Reader. “Quel tema fa parte della storia e fornisce una sorta di sfondo, ma per me è sempre stata una storia d’amore straordinariamente non convenzionale”. Giusto, ma il suo gusto raffinato era così soffocante che rendeva difficile credere che qualcuno potesse essere coinvolto in questo progetto se non per tentare di ottenere dei premi. Winslet è prevedibilmente straziante nel ruolo, ma alla fine è una parte dimenticabile in un film dimenticabile.
Jessica Chastain
Gli occhi di Tammy Faye
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Foto: Allen Schaben/Los Angeles Times/Getty Images
Quando Tammy Faye Bakker era viva, veniva spesso presa in giro; i media si sono concentrati sul suo viso truccato pesantemente e sul suo atteggiamento un po’ assente. Jessica Chastain ha vinto un Oscar cercando di correggere questa impressione generale, trasformandosi da personaggio dei cartoni animati in un’anima vulnerabile e indagatrice, aggrappata alla propria dignità mentre il marito avido e traditore Jim (Andrew Garfield) si concentrava sulla costruzione del suo impero di telepredicatori. Chastain è una delle migliori attrici della sua generazione e ha interpretato Tammy Faye con intelligenza e compassione, cogliendo alla perfezione le eccentricità della donna, per non parlare del dolore nascosto dietro quel sorriso stampato in faccia e quella voce aggressivamente allegra. I giurati dell’Academy hanno accolto con favore la convincente trasformazione fisica, ma Gli occhi di Tammy Faye si adattava troppo facilmente al modello del biopic convenzionale, in quanto più intenzionato a ricreare l’aspetto di Tammy Faye che a esplorarne veramente la psiche. Di conseguenza, questo è uno dei ruoli più appariscenti di Chastain… ma è ben lontano dall’essere il suo migliore.
Renée Zellweger
Judy
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Foto: David Hindley/Roadside Attractions
Quello che risalta di più nell’interpretazione di Zellweger nei panni della sfortunata Judy Garland è il modo in cui la due volte vincitrice dell’Oscar sembra comunicare qualcosa di sé stessa attraverso la sua riverente interpretazione della leggendaria cantante e attrice. Judy racconta il canto del cigno di Garland, che, verso la fine della sua vita, si recò a Londra per una serie di concerti pensati come grande ritorno sulle scene. Oltre a cogliere l’inflessione e l’arguzia dell’icona, Zellweger esprime la mentalità di una donna che lavora in un’industria dell’intrattenimento sessista. E proprio come la star del Mago di Oz, l’attrice stava cercando di dimostrare a chi dubitava di lei che gli anni migliori non erano ancora alle sue spalle (Garland è morta a 47 anni; Zellweger ne aveva 50 quando vinse l’Oscar per Judy). Per molti versi, si tratta del classico film biografico a cui siamo abituati, ma la compassione che l’attrice mostra nel ruolo contribuisce a dare un tono più elevato al tutto. Zellweger sembra voler spezzare una lancia per le “donne di una certa età” che non sono pronte a essere mandate in pensione, anche se, nel caso di Garland, un’overdose le ha tragicamente tolto la vita.
Reese Witherspoon
Walk the Line – Quando l'amore brucia l'anima
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Foto: Jeff Vespa/WireImage/Getty Images
Stand by Your Man era una canzone di Tammy Wynette, ma avrebbe potuto essere facilmente abbracciata dalla June Carter di Walk the Line, che amava Johnny Cash ma temeva quello che il suo vizio di bere e la sua irrequietezza avrebbero potuto portare nella sua vita. Reese Witherspoon incarna queste emozioni contrastanti in questo biopic che è anche un dramma romantico, e lo fa con una franchezza senza mezzi termini che tiene sulle spine Cash, interpretato da Joaquin Phoenix. Come molte delle attrici vincitrici di questa lista, Witherspoon è stata più decisa e discreta in altri ruoli, ma Quando l’amore brucia l’anima ha offerto alla sua personalità vivace e con i piedi per terra la perfetta vetrina da premio.
Hilary Swank
Million Dollar Baby
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Foto: Stewart Cook/Shutterstock
“Non so cos’ho fatto nella vita per meritare tutto questo”, ha detto Hilary Swank quando ha ricevuto l’Oscar per Million Dollar Baby. “Sono solo una ragazza di un parco roulotte che aveva un sogno”. Pronunciando quelle parole, l’attrice si è in qualche modo identificata con il personaggio, Maggie, che scappa da un Missouri senza futuro per raggiungere Los Angeles e allenarsi con il brontolone proprietario della palestra interpretato da Clint Eastwood, diventando una campionessa di pugilato. Per Swank si tratta del secondo Oscar dopo Boys Don’t Cry del 1999, e in entrambi i film va oltre i cliché solitamente usati per elogiare le sue performance: grinta, coraggio, audacia. Gli Academy Award hanno sempre celebrato gli underdog, e qui Swank si è concentrata sulla disperazione di Maggie, che non ha altra scelta e che si lancia attraverso, sopra e sotto qualsiasi ostacolo le impedisca di trovare un po’ di appagamento. Il che non fa che rendere ancora più insensato e tragico il crudele scherzo del destino che colpisce il suo personaggio.
Marion Cotillard
La vie en rose
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Foto: SIPA/Shutterstock
Gli spettatori avevano visto Marion Cotillard in film come Big Fish – Le storie di una vita incredibile e Un’ottima annata, ma non l’avevano mai vista davvero fino a quando non ha interpretato la tormentata Édith Piaf in La vie en rose. Si tratta di un film biografico musicale che tralascia la cronologia, preferendo i collegamenti tematici al racconto diretto degli eventi; l’interpretazione di Cotillard è altrettanto avventurosa, perché approccia la cantante come un talento tumultuoso le cui passioni hanno allo stesso tempo alimentato la sua arte e distrutto la sua stessa essenza. Dopo questo film, Cotillard ha spesso interpretato interessi amorosi ammalianti e strazianti nei film americani, ma la crudezza che ha portato in Due giorni, una notte del 2014 dimostra che il dolore fluido di Édith Piaf è qualcosa a cui può accedere quando il ruolo giusto lo richiede.
Charlize Theron
Monster
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Foto: Peter Brooker/Shutterstock
In un’altra epoca, in circostanze diverse, forse la vita di Aileen Wuornos non si sarebbe rivelata così tragica, forse non avrebbe portato tanto dolore a così tante persone che hanno incrociato il suo cammino. Ma questo è il mondo in cui viviamo, e Monster ritrae senza risparmio questa prostituta e serial killer in tutto il suo tormento e la sua rabbia. Ma quello che fa interessare alla sua storia è la performance luminosa di Charlize Theron. È molto facile sminuire la sua vittoria all’Oscar: è solo l’ennesima attrice glamour che si ricopre di un brutto make-up per dimostrare la sua autenticità drammatica, vero? Ma questo non spiega la profondità dell’angoscia che Theron ha portato al ruolo, il senso di lotta attiva nella testa di Wuornos mentre cerca di rifarsi una vita con una nuova amante (Christina Ricci) o quando uccide i suoi clienti in un maldestro tentativo di far fronte agli abusi subiti da bambina. Theron non è interessata a spiegare Wuornos, il che rende Monster ancorai più inquietante: è molto probabile che la stessa Wuornos non sia riuscita a gestire il caos di demoni che lottavano dentro di lei.
Brie Larson
Room
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Foto: Jim Smeal/Shutterstock
Per noi che avevamo seguito la carriera di Brie Larson in film indipendenti come Short Term 12 e avevamo notato come riuscisse a rubare zitta zitta la scena in ruoli secondari (vedi Rampart, Don Jon e i film della saga Jump Street), sapevamo che sarebbe stata solo una questione di tempo prima che i giurati dell’Academy la riconoscessero come un grande talento. La sorpresa è stata che tutto sia accaduto così in fretta. Ma quante volte capita di ritrovarsi in un ruolo importante come quello dell’ostaggio/madre amorevole di Room? E quanti altre interpreti avrebbero potuto dare tanta grazia e grinta materna alla parte, rivelandosi allo stesso tempo la partner perfetta sullo schermo per l’altrettanto intenso Jacob Tremblay? È stata più di una vittoria: è stata l’incoronazione a star di prima categoria per un’attrice che sarebbe poi diventata uno dei più grandi supereroi dell’MCU: Captain Marvel.
Frances McDormand
Tre manifesti a Ebbing, Missouri
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Foto: Chris Pizzello/Invision/AP/Shutterstock
Più di vent’anni dopo aver portato a casa il suo primo premio come migliore attrice per Fargo, Frances McDormand è tornata tra i vincitori per la sua interpretazione di Mildred Hayes, una madre in lutto che vuole giustizia per la figlia assassinata. Tre manifesti a Ebbing, Missouri ha offerto all’attrice un’eccellente vetrina per mettere in mostra il suo carattere tosto. Ma McDormand non ci fa mai dimenticare la terribile angoscia del personaggio, né la sua lacerante consapevolezza che trovare l’assassino di sua figlia non potrà mai guarire quella ferita nella sua testa. Il fatto che sia riuscita a rendere Mildred anche così divertente è stata solo la ciliegina sulla torta. Dura ma anche sorprendentemente tenera, la performance àncora coraggiosamente un film sul nostro bisogno autodistruttivo di rispondere alla violenza con la violenza, e su quelle rare occasioni in cui permettiamo alla compassione e al perdono di entrare.
Jennifer Lawrence
Il lato positivo
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Foto: Kevin Winter/Getty Images
Quando l’isteria per J.Law era al culmine, era facile dimenticare cosa avesse generato tutto quell’interesse. Riguardando Il lato positivo, peròm le ragioni dell’ascesa della giovane attrice diventano molto chiare. Lawrence interpreta Tiffany, una vedova in lutto per la morte del marito e alle prese con continui problemi di depressione. Questo descrive il personaggio, ma non il modo in cui Lawrence la ritrae, ovvero una donna infiammabile e fragile che non sa dove sta. Tiffany è rafforzata dal suo fascino e dalla sua sessualità, ma ha anche paura di cosa potrebbe significare innamorarsi di un nuovo uomo (Bradley Cooper). Non capita spesso che un film produca un personaggio “problematico” così complesso e vibrante, e la vivace interpretazione di Lawrence è un esempio lampante di quello che rende straordinaria la sua recitazione. È urgente, travolgente e realistica, senza mai sembrare troppo elaborata o casuale.
Emma Stone
La La Land
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Foto: Jim Smeal/Shutterstock
Dopo che tutto il clamore su La La Land si è placato, possiamo chiederci: si trattava di un film d’evasione o di un abile e malinconico omaggio alle sfide dell’equilibrio tra arte e amore? Era forse un po’ un ritorno al passato hollywoodiano nell’anno di Moonlight? Ryan Gosling ha davvero salvato il jazz? Quello che è rimasto è stata però la performance di Emma Stone nel ruolo di Mia. Il grande schermo è pieno di storie di sognatori che si trasferiscono a Los Angeles per farsi un nome, ma Stone le ha riassunte tutte col suo entusiasmo spensierato e imbranato e col suo temperamento dolce. Ecco un personaggio il cui ottimismo è sconfinato e che ti fa temere cosa potrebbe succedere se la crudele realtà lo travolgesse. Non è facile ritrarre uno spirito indomito, ma Stone rivela tutto il coraggio e la fede necessari per credere nell’amore e nei sogni. Ti mette una canzone nel cuore e ti fa venire un nodo in gola.
Olivia Colman
La favorita
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Foto: Evan Agostini/Invision/AP/Shutterstock
“Non penso… a niente”, ha detto Olivia Colman a Rolling Stone mentre cercava di spiegare il suo approccio all’interpretazione della regina Anna nella dramedy d’epoca pungente e stranamente toccante di Yorgos Lanthimos. “Il mio manuale sulla recitazione sarebbe molto breve”. L’attrice inglese potrebbe avere difficoltà ad esprimere il suo contributo al ruolo, ma a chiunque l’abbia vista è apparso abbastanza chiaro come ci abbia dato una leader sciocca, malaticcia e vulnerabile, che abbiamo preso in giro e per la quale ci siamo però anche sentiti infinitamente dispiaciuti. Colman aveva fatto carriera nella televisione britannica come brillante comica (Peep Show) e abile presenza drammatica (Broadchurch), ma è stato solo con La favorita che gli spettatori (e in particolar modo il pubblico americano) hanno potuto vederla unire i suoi due talenti. Oggetto dell’affetto di due donne molto diverse tra loro (le precedenti vincitrici dell’Oscar Rachel Weisz ed Emma Stone), la regina Anna impara rapidamente quanto sia solitario stare in cima. Ma quando Colman ha vinto l’Oscar a sorpresa contro la Glenn Close di The Wife – Vivere nell’ombra, il suo trionfo è stato accolto con gioia in sala, il culmine di una carriera stellare e ancora vibrante, coronata da alcuni dei migliori lavori che abbia mai fatto sul grande o piccolo schermo.
Halle Berry
Monster’s Ball – L’ombra della vita
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Foto: Peter Brooker/Shutterstock
Visto che prima di Monster’s Ball Halle Berry aveva recitato principalmente in commedie e film sugli X-Men, è possibile che il suo trionfo all’Oscar sia stato in parte una reazione di sorpresa da parte di alcuni votanti dell’Academy, che avevano finalmente notato le sue doti drammatiche. Ma questo atteggiamento paternalistico non rende giustizia a quello che è un ritratto estremamente crudo di Leticia, una donna working class della Georgia che perde sia il marito che il figlio nel corso del film, cadendo in una storia d’amore sconsiderata con la guardia carceraria razzista interpretata da Billy Bob Thornton (la preparazione alla loro intensa e goffa scena di sesso, in cui Leticia lo supplica di “farmi sentire bene”, rimane una delle fusioni più intime e viscerali di dolore e liberazione del secolo). Berry la interpreta con un orgoglio così ferito che è quasi troppo da digerire e, in un’epoca di #OscarsSoWhite, vale la pena sottolineare che è ancora l’unica afroamericana ad aver mai vinto il premio come migliore attrice.
Natalie Portman
Il cigno nero
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Foto: Mark J Terrill/AP/Shutterstock
Ha fatto un anno di studi di danza classica per prepararsi al ruolo del Cigno nero, Natalie Portman. Che ha così offerto lo scenario peggiore/migliore della necessità di un’artista di spingersi oltre il proprio limite per fare qualcosa che resti. Sia la bellezza che la follia insite nella ricerca della perfezione sono scritte sul volto dell’attrice, che dà vita a una sorta di rappresentazione spericolata che ti lascia incantato, anche quando hai paura che la donna che interpreta il ruolo possa distruggersi nel processo. Ma Portman non ha mai vacillato: in una carriera iniziata con la gelida sicurezza testimoniata da Léon, Il cigno nero ha rappresentato il culmine della giustapposizione delicata/ferrea che è spesso al centro dei personaggi che interpreta. Questo thriller psicologico rischia spesso di deragliare, ma Portman conferisce al film le sue fondamenta empatiche.
Cate Blanchett
Blue Jasmine
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Foto: Jim Smeal/BEI/Shutterstock
Com’è un crollo nervoso al rallentatore? Nei nostri peggiori incubi, temiamo che assomigli alla rappresentazione comica/tragica che Cate Blanchett fa della Jasmine recentemente rimasta vedova nella commedia nera di Woody Allen, che racconta, con un misto di decoro e orrore, il doloroso disfacimento di una donna. Blanchett non è mai stata una che nasconde i tic e i manierismi dei suoi personaggi, ma nei panni di Jasmine, che sta cercando di ricostruire la sua vita a San Francisco dopo alcune sfortunate circostanze a New York, il ruolo richiede una sorta di litania infinita, fatta di nervi a fior di pelle, giustificazioni disperate e atteggiamenti a malapena contenuti, che si combinano per drammatizzare una vita che inesorabilmente va a rotoli. Nel ruolo che le dà il suo secondo Oscar, Blanchett è a tratti incredibilmente divertente, ma non ridiamo mai di Jasmine: il suo crollo mentale è così completo che è straziante da guardare.
Michelle Yeoh
Everything Everywhere All at Once
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Foto: Kevin Winter/Getty Images
Spesso gli attori vincono l’Oscar perché mostrano il loro lato serio, togliendo loro un po’ della gioia e dell’allegria che avevano fatto innamorare il pubblico all’inizio. La sofferenza, il trattenere quello che li rende così magnetici, serve a suggerire fino a che punto sono disposti ad arrivare per la loro arte. E poi c’è Michelle Yeoh, che si è portata a casa il premio come migliore attrice per aver finalmente trovato un ruolo che catturasse tutti gli aspetti della suo essere un’attrice così brillante. La maestria nelle arti marziali si fonde con tempi comici eccellenti e un commovente understatement nella sua interpretazione di Evelyn, una moglie e madre infelice la cui giornata storta diventa ancora più disastrosa quando scopre di essere la prescelta destinata a sconfiggere le forze del Male. Il multiverso di Everything Everywhere All at Once ha permesso a Yeoh di essere molte Evelyn diverse, ognuna delle quali attingeva a un lato diverso di sé: elegante, impassibile, acrobatica. In un altro universo, Hollywood avrebbe regalato a questa icona del cinema di Hong Kong una carriera costellata di personaggi altrettanto intricati e gratificanti. Ahimè, viviamo in questo: ma l’attesa ne è valsa la pena.
Julia Roberts
Erin Brockovich – Forte come la verità
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Foto: Kevork Djansezian/AP/Shutterstock
Le stelle contano: raramente è stato più vero di quando Julia Roberts ha interpretato Erin Brockovich, una madre single in difficoltà che ha contribuito a lottare per una piccola comunità della California meridionale lentamente avvelenata da una gigantesca società energetica. Questo non significa che il film non sia una storia intelligente e toccante; ma sono la naturale simpatia, la sfacciataggine e il sex appeal di Roberts a renderlo sempre più avvincente (in effetti, questo potrebbe essere l’unico film di Steven Soderbergh che appartiene più alla sua protagonista che al regista). Rimproverare i pezzi grossi dell’azienda, affrontare un possibile interesse amoroso (Aaron Eckhart) e scagliare la sua magnifica attitude contro il capo confuso interpretato da Albert Finney: Roberts non incarna tanto un ruolo, quanto piuttosto perfeziona la sua personalità.
Frances McDormand
Nomadland
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Foto: Todd Wawrychuk/A.M.P.A.S
Quando Nomadland ha vinto come miglior film agli Academy Award del 2021, la regista Chloé Zhao ha concluso il suo discorso di ringraziamento chiamando Frances McDormand al microfono e dicendo: “Ora, vi presento… Fern”. McDormand ha respinto quell’introduzione – “No, non lo sono, sono Fran” – ma si capiva l’intenzione di Zhao. McDormand, che è stata anche produttrice di Nomadland, è il centro emotivo di questa storia. Non si è limitata a interpretare la vedova errante del film, ma ha anche dato alla storia un tocco di amore duro e di sensibilità senza fronzoli. C’è un’immediatezza cruda nella performance che non lascia trapelare alcun sentimentalismo, trasmettendo un personaggio inondato di dolore ma anche di curiosità e resilienza. McDormand non ci mostra tutto di Fern, cosa appropriata per un personaggio così cauto e tosto, ma ne sappiamo abbastanza. Se McDormand non avesse più recitato, sarebbe stato il coronamento straordinario di una carriera unica. Fortunatamente, come il suo personaggio, ha continuato a camminare.
Emma Stone
Povere creature!
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Foto: John Shearer/WireImage via Getty Images
Tra la meravigliosa sognatrice di La La Land e Bella Baxter c’è di mezzo l’incontro dell’attrice con Yorgos Lanthimos. Qui Emma Stone fa pipì sul pavimento, abbaia, lancia piatti e, complice una mela, rischia di far impallidire il Timothée Chalamet di Chiamami col tuo nome e la sua pesca. E più che la versione femminile di Frankenstein, la protagonista di Povere creature! è una Barbie punk sulla via di un’emancipazione estrema, di un “fuck you” al patriarcato ancora più urlato e sì, – letteralmente – goduto. Emma Stone si conferma sempre più musa e partner in crime di Lanthimos, usando corpo, volto, occhi, tra punte comicissime, commedia slapstick, ma anche momenti teneri e tragici: è senza dubbio la miglior interpretazione della sua carriera. E una delle migliori degli ultimi vent’anni. Quando l’Academy ci prende.
Helen Mirren
The Queen – La regina
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Foto: Angello Picco/Shutterstock
La qualità che definisce l’interpretazione di Helen Mirren nel ruolo della regina Elisabetta II è la sua staticità. Ed è in questa pacata aria di comando che l’attrice riassume tutto ciò che è ammirevole e al tempo stesso antiquato nella monarchia britannica: la sua costante e confortante continuità, così come la sua miopia ottusa. È un equilibrio delicato, ma Mirren lo incarna alla perfezione in The Queen, un dramma apparentemente semplice sulla morte della principessa Diana nel 1997, che sbircia dietro le quinte per scoprire l’interiorità di una donna che, all’epoca, regnava già da 45 anni. Non è un semplice facsimile né una rivisitazione nervosa di una delle figure pubbliche più famose al mondo: Mirren preferisce lasciare che Elisabetta rimanga una presenza riservata e contenuta, alludendo alla sua insensibilità disinvolta ma anche suggerendo il ritratto di una sovrana che ha vissuto abbastanza Storia da non essere mai sorpresa. Mirren ha spesso avuto un’aria regale, ma il suo successo più grande è stato senza dubbio The Queen.
Julianne Moore
Still Alice
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Foto: John Shearer/Invision/AP/Shutterstock
Nel 1995, Julianne Moore, all’epoca ancora relativamente sconosciuta, ha interpretato uno dei grandi ruoli del cinema moderno in Safe, nei panni di una casalinga di periferia allergica al mondo, una condizione che la porta praticamente a scomparire davanti ai nostri occhi. Quasi vent’anni dopo, ormai saldamente affermata come una delle nostre migliori attrici, ha offerto un’altra interpretazione sbalorditiva di una donna che perde sé stessa. Still Alice racconta la storia di una professoressa di Linguistica a cui viene diagnosticato un Alzheimer precoce, e l’attrice la interpreta come una cinquantenne brillante ed equilibrata che scopre rapidamente che la sua intelligenza non può salvarla da una malattia che le devasterà la memoria. È una performance potentemente interiore ma espressa con incredibile fisicità: la paura, la rassegnazione e la rabbia emergono negli occhi angosciati e in preda al panico di Moore, ma è ancora più notevole il modo in cui esprime lo svuotamento di una persona un tempo vibrante. Alice è ancora lì, ma allo stesso tempo non c’è più, e la star rende omaggio ai misteri di un corpo che ha perso la sua luce interiore. E che conserva però la sua anima ineffabile.