Quando si parla di cinema, di ribelli, di icone, i nomi, di solito, solo quattro: Marlon Brando, James Dean, Steve McQueen e Paul Newman. Loro in particolare, perché ognuno, a proprio modo, ha contribuito a (ri)definire il concetto di ribelle, influenzando poi l’immaginario collettivo, sia sullo schermo che nella vita. Tra di loro il più longevo, quello che ha evitato la morte per più tempo, quello che ha avuto una carriera più stabile, che si è fatto ben volere dall’industria cinematografica, è stato proprio Newman: un ribelle con i piedi per terra. Non idealista come Brando. Non tormentato come Dean, né eroe alla McQueen. Newman era un ribelle, sì, ma razionale.
A differenza dei colleghi, Paul Newman ha avuto un’adolescenza abbastanza serena. Mentre Brando passava guai a scuola e all’accademia militare e McQueen si dedicava a delinquere o era al seguito della madre e delle sue brutte abitudini, Newman cresceva in una buona famiglia borghese e proseguiva negli studi. L’unico grande problema è stato il rapporto con la madre, dai modi opprimenti, che lo esponeva come un trofeo a causa del suo aspetto. Situazione da cui ha sempre cercato di scappare, mettendosi in gioco e confrontandosi con sfide che esulassero dalla semplice bellezza.
Perché c’era dell’altro, dietro a quei glaciali occhi azzurri. Newman lo spiega bene nella sua autobiografia (una serie di scritti accumulati nel corso degli anni e solo dopo la sua morte organizzati in volume) la quale ha un titolo azzeccato, che lo descrive senza giri di parole: Vita straordinaria di un uomo ordinario. Newman frequenta il celebre Actors Studio di New York, poi sale sui palchi di Broadway e infine sbarca al cinema. Sposa l’amore della sua vita, l’attrice Joanne Woodward, in seconde nozze, e i due formano una delle più belle coppie di Hollywood. Tanto belli e tanto uniti che è persino celebre la loro alchimia a letto, di cui lo stesso Newman non faceva segreto.
E fuori dal set? Paul Newman era un uomo complesso, molto altruista, capace di smuovere quasi un miliardo di dollari per beneficienza, ma al tempo stesso incapace di salvare il figlio Scott dalla sua spirale autodistruttiva. Quando ricevette la chiamata che lo informava della sua morte suicida continuò negli impegni da regista teatrale, come se nulla fosse, come se si aspettasse da tempo questa triste notizia. Solo dopo alcuni giorni affrontò la perdita e si scosse.
Come Dean e McQueen, anche Newman aveva il vizio delle corse. Fu un ottimo pilota, fondò una sua scuderia e partecipò addirittura alla 24 ore di Le Mans nel 1979, arrivando secondo. La passione iniziò sul set di Indianapolis pista infernale e gli rimase addosso fino a 82 anni, quando vinse l’ultima gara.
Come Brando, invece, Newman fu attivista politico. Saliva sul palco durante i comizi e parlava a nome dei candidati, sempre schierato dalla parte del Partito Democratico. L’idea di essere lui stesso una creatura politica lo ha di sicuro blandito più volte ma a farlo desistere fu la paura degli attacchi alla sua persona, in particolare per il suo alcolismo e per il fatto che forse, in fondo, non credeva davvero in quel mondo con il suo valzer di bugie e segreti.
Altro segno particolare: Paul Newman fu uno dei pochi della vecchia guardia che riuscì a mantenere intatta la sua fama, rinvigorita anche dall’amicizia con Robert Redford, più di una spalla. Nonostante fosse benvoluto nell’ambiente cinematografico, faticò molto per vincere l’Oscar. Le nomination fioccarono fin dall’esordio, le vittorie stentavano, tanto che smise di presentarsi alle cerimonie di premiazione, tanto era convinto di non vincere. Alla fine ne ricevette tre. Il primo non fu per un film, ma alla carriera. Il secondo, l’anno seguente, per Il colore dei soldi, mentre il terzo arrivò per il suo impegno umanitario. Gli insuccessi furono in tutto nove.
Il 26 settembre 2008, un anno dopo la sua ultima vittoria automobilistica sul circuito di Lime Rock, e sei anni dopo il suo ultimo film (Era mio padre), Paul Newman morì a causa di un cancro ai polmoni. Di seguito dieci tra i suoi migliori film, come vuole la tradizione, con qualche sorpresa.
Lassù qualcuno mi ama
1956Film biografico sulla carriera del pugile Rocky Graziano, segna l’inizio del successo di Newman. Il ruolo del protagonista doveva andare a James Dean, morto invece in un incidente stradale prima delle riprese. Al fianco di Newman c’è Anna Maria Pierangeli, ex fiamma proprio di Dean. Per alcuni minuti vediamo anche Steve McQueen, qui al suo esordio.
Lo spaccone
1961Altalena di emozioni che fanno venire voglia di gridare allo schermo per tentare di convincere Eddie, il giovane protagonista, a desistere dal continuare a giocare a biliardo e scommettere non solo i soldi ma anche l’amore. Eddie “lo svelto” è uno dei personaggi più iconici nella filmografia di Newman, tanto da essere poi ripreso anni dopo in un secondo grande capitolo.
Hud il selvaggio
1963Un affascinante cowboy Newman in posa plastica interpreta un texano irrequieto, non più giovanissimo e per niente intenzionato a mettere giudizio. Nel suo passato c’è un tragico incidente, nel suo presente una collezione di notti brave tra alcol e donne. Il futuro? Niente di buono.
Nick mano fredda
1967Escape movie dai toni scanzonati, con Newman nel ruolo di un veterano insofferente ai superiori, terreni e divini. Guardando alla filmografia dell’attore, forse è il titolo che più di ogni altro rappresenta il suo modo di raccontare il ribelle, avvicinandolo al guascone. Rimane iconica la scena delle cinquanta uova sode mangiate per sfida e gli occhiali a specchio della guarda carceraria.
La stangata
1973Visione imprescindibile nella filmografia non solo di Paul Newman ma anche di Robert Redford, proprio per la complicità tra i due, qui meno esclusiva rispetto a Butch Cassidy ma dal risultato ancora più speciale. La colonna sonora e il gesto del tocco del naso sono due elementi entrati nella storia del cinema.
L’inferno di cristallo
1974Dopo aver condiviso brevemente lo schermo in Lassù qualcuno mi ama, Paul Newman e Steve McQueen si ritrovarono in questo colossal incentrato sull’incendio di un grattacielo. La convivenza tra le due star fu travagliata, McQueen fu molto ostico nel corso delle riprese e la tensione si percepisce chiaramente durante la visione. È anche per questa competizione, esagerata ed esasperata, che il risultato fu così significativo.
Colpo secco
1977Forse una sorpresa, ma lo stesso Newman lo ha indicato come il film che preferisce nella sua carriera. Qui ritrova l’amico George Roy Hill, già regista di Butch Cassidy e La stangata. Il film è incentrato su una sgangherata squadra di hockey e sulla proprietà in procinto di fallire e quindi vendere. Newman interpreta un giocatore-allenatore che tenta di tenere unito il gruppo, farli vincere e dargli un futuro. Paul si legò all’idea fin dall’inizio, divertito dal tono scurrile in stile Animal House e dal tornare a giocare a hockey come faceva da giovane.
Il verdetto
1982La migliore interpretazione nella carriera di Paul Newman, anche secondo lui stesso. Il personaggio principale di questo film diretto da Sidney Lumet è un vecchio avvocato alcolista che accetta di difendere una donna in coma, vittima di un errore medico. La battaglia in tribunale è la classica sfida tra Davide e Golia: da una parte un avvocato consumato dalla sua dipendenza e deciso a battersi dopo anni di fallimenti, dall’altra un potente studio legale pronto a tutto per vincere.
Il colore dei soldi
1986Il cerchio che venne aperto con la storia del precedente Lo spaccone è stato poi chiuso con Il colore dei soldi, diretto da Martin Scorsese. Insieme a questo si chiuse un altro cerchio quello dell’Oscar per un’interpretazione, una faccenda aperta 28 anni prima con la prima delusione per la nomination a vuoto di La gatta sul tetto che scotta. Meglio del prequel? Non lo so, questo film è così ben fatto che sta in piedi pure da solo.
La vita a modo mio
1994Un film di Natale sui generis incentrato sulla vecchiaia dello scorbutico Sully. Newman interpreta un uomo disilluso, provocatore, per alcuni antipatico ma sotto sotto anche romantico. Dal suo passato emergono diversi rimpianti, ma lui ha così tanta personalità che del rimpianto non sa proprio che farsene.