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Richard Gere fa il suo debutto in una serie tv: già questa è una notizia. Da stasera è protagonista su Sky Atlantic di MotherFatherSon, la nuova serie Made in BBC del genere “ricchi e stronzi” in cui interpreta Max Finch, magnate dell’editoria nonché ex marito di un’ereditiera inglese (Helen McCrory, fu Cherie Blair in The Queen) che vuole passare la mano al figlio Caden (Billy Howle). Peccato che il ragazzo non abbia un rapporto proprio sereno col padre. Tra Dynasty e Succession, Richard non perde né il pelo (ormai candido) né il vizio (di fare il fascinoso bastardo). Cosa che al cinema succede da sempre: sfogliare la nostra (parzialissima) classifica per confermare la tesi.
Un grande film? No di certo. Ma il Lancillotto di Richard è il più figo che si sia mai seduto alla Tavola Rotonda. Tanto da tenere testa al Re Artù di Sean Connery, per amore di Ginevra/Julia Ormond (che all’epoca era ovunque). I polpettoni storico-mélo come non li fanno più, e ci sarà un motivo. Ma un po’ ci mancano.
Dal sommo Stéphane, una moglie infedele di Claude Chabrol (ebbene sì), uno scult che, a suo modo, ha fatto scuola. E che riconferma una grande verità: anche se gli metti contro il sexyssimo Olivier Martinez, Richard Gere resta poco credibile come marito sfigato. Tra le dramedy (Shall We Dance?) e i romance (Come un uragano, sempre con Diane Lane) dei primi 2000 starring Gere, questo almeno è hot.
La scena gliela ruba (quasi) sempre il chierichetto pazzo Edward Norton, che infatti strappò una nomination agli Oscar tra i best supporting. Ma l’avvocato Richard Gere, che lo difende dalla accusa di omicidio, è perfettamente calato nella parte (e negli abiti sartoriali). Quasi un pre-Chicago (vedi più avanti), anche se i toni processuali là saranno ben diversi.
L’educazione sentimentale (e sessuale) di una donna (e che donna: Diane Keaton) non poteva che passare anche da uno degli instant divi dell’epoca: Richard, e chi se no. Che, al terzo film, conquista definitivamente Hollywood. Grazie anche alle chiappe esibite in bella mostra: il nostro usava il già ben prima di American Gigolò...
Uno degli Altman meno memorabili. Ma il maestro di Nashville e America oggi chi avrebbe potuto chiamare se non Gere, per consegnargli il camice del ginecologo che piace a tutte? E tutte vuol dire tutte: Helen Hunt, Farrah Fawcett, Laura Dern, Kate Hudson, Liv Tyler. All’epoca, nonostante tutto, ci divertimmo. Oggi arriverebbero le accuse di sessismo.
Uno degli ultimi successi di Richard al botteghino, ma soprattutto il titolo che gli è valso l’amore incondizionato dei “canari”: il che conta anche di più. “Melassa” Hallström trasporta dal Giappone agli States la parabola dell’akita fedelissimo al suo padrone: fino alla morte, e oltre. Nel genere fazzoletti facili, un caposaldo.
Nasce in questo immaginifico locale newyorkese anni ’20 “directed by Francis Ford Coppola” il sodalizio artistico-amicale tra Richard Gere e Diane Lane, coppia di belli e possibili dagli Eighties a oggi. Non sarà un nuovo Padrino, ma l’affresco jazz, pur nella sua non sempre centrata ambizione, è all’altezza. E i protagonisti ruggenti, per davvero.
Le doti canore non saranno eccelse, come hanno riconosciuto in molti. Ma il Billy Flynn di Gere è uno degli avvocati più irresistibili dello schermo. E il nostro, tra Renée Zellweger e Catherine Zeta-Jones, gigioneggia che è un piacere: vedi il numero All I Care About con basco, bretelle e stuolo di ballerine. Nonostante i 6 Oscar (troppi) al film, a Richard nemmeno una candidatura: non ne ha mai ricevuta una, stavolta ci stava.
Quando Malick faceva Malick senza perdersi nei suoi deliri di onnipotenza filosofici, e i suoi film era ossessivamente poetici e visivamente sbalorditivi. Nel 1916 un carpentiere di Chicago fugge in Texas con la sua ragazza (Brooke Adams) dopo aver accidentalmente ucciso il suo capo, e finisce in un triangolo amoroso con un ricco contadino (Sam Shepard). Una parte che avrebbe potuto essere scritta per James Dean e che in realtà era stata offerta a John Travolta. Richard insomma, era la seconda scelta. Eppure in questo melodrammone malickiano girato praticamente tutto al tramonto, Gere è l’incarnazione della gelosia e della mascolinità insicura. Era nata una stella.
In questa educazione militar-sentimentale di un neo-laureato (anche se di anni Gere ne aveva 33) che vuole diventare pilota di jet, il nostro dimostra di essere il protagonista romantico per eccellenza. È roba popolarissima, ma non per questo meno efficace. E Gere che entra nella fabbrica e prende in braccio l’operaia Debra Winger sulle note di Up Where We Belong (Oscar alla miglior canzone originale), fa ancora sospirare nonne, mamme e figlie. Trovatene uno che in uniforme stia meglio di Richard.
Re della commedia romantica una volta, re della commedia romantica per sempre. Pretty Woman è uno dei film più amati, trasmessi e visti di sempre. E il merito, oltre che di mister Garry Marshall, è della premiata (qui per nulla, a dire la verità) coppia Richard Gere-Julia Roberts, protagonisti di questo moderno take sulla storia di Cenerentola. Di certo è il film di Julia, che inizia la sua scalata alla conquista di Hollywood e del titolo di fidanzata d’America. Ma Richard è perfetto nei panni del “principe” della situazione che, molto cavallerescamente, lavora per far brillare lei. La chimica e le giocose improvvisazioni tra i due sono storia del cinema. Marshall proverà a rimettere insieme la golden couple della rom-com una decina di anni dopo per Se scappi, ti sposo: la magia non era più la stessa.
Tra i film che hanno consacrato Gere, questo forse non sarà il più raffinato, ma è senz’altro il più cult. Impossibile immaginare qualcun altro nei panni del gigolò narciso di Beverly Hills che vive nel lusso (e indossa solo Armani) grazie alle sue abilità romantiche, diventando improvvisamente sospettato in un caso di omicidio. Eppure anche qui John Travolta era la prima scelta e Christopher Reeve la seconda. Ma questo tuffo della cultura materialista ed egoriferita degli anni ’80, terzo titolo diretto da Paul Schrader, trova in Richard il suo interprete coraggioso e ideale. Il resto lo fanno i nudi maschili frontali e la colonna sonora ammiccante di Giorgio Moroder. Immediata la consacrazione a nuovo (ed eterno) sex-symbol.
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