6Australia (2008)
Il progetto più personale, ambizioso, colossale di Luhrmann diventa la montagna (meglio: l’Ayers Rock) che partorisce un topolino. O quasi. L’affresco wannabe-Via col vento che l’autore dedica alla sua terra natale ha un indubbio fascino, ma resta schiacciato dalla sua stessa grandeur. E non si discute nemmeno l’alchimia tra Nicole Kidman (nella fase però più critica della sua carriera) e Hugh Jackman (che però si è trovato a rimpiazzare la prima scelta Russell Crowe), ma il mélo non s’infiamma mai. I cultori del regista lo difendono in ogni caso: col tempo, riesce a fare simpatia pure a noi.
5Il grande Gatsby (2013)
Giù le mani da Francis Scott Fitzgerald! Anzi, no. Se il capolavoro letterario resta inarrivabile e intraducibile sullo schermo (vedi la patinata versione del 1974, starring Robert Redford e Mia Farrow), Luhrmann riesce in un’operazione impossibile: renderlo übercool anche per le platee di oggi. Il risultato non è forse all’altezza della pagina, ma i pezzi sono tutti al loro posto: Leo DiCaprio nel debordante ruolo del titolo, la regia come sempre indiavolatissima, i costumi by Miuccia Prada, i numeri musicali da antologia (anche grazie alla presenza di “amici” come Beyoncé, Jay-Z, Lana Del Rey, Florence and the Machine). Contestiamo solo la scelta di Carey Mulligan nei panni di Daisy Buchanan: lei davvero non può competere con l’eroina di carta.
4Elvis (2022)
Elvis e Baz: una combo che, fin sulla carta, prometteva scintille. E così è stato. I fuochi d’artificio, nel ripensare l’icona del rock’n’roll USA, esplodono per davvero. Soprattutto nella prima parte, vera e propria origin story del leggendario Pelvis, dalle contaminazioni con la musica black (alla faccia delle accuse di razzismo) alla iper-sessualizzazione che ha accompagnato i suoi esordi (memorabili le sequenze con le fan urlanti). Luhrmann strafà, per poi – complice la presenza evidente della famiglia Presley – asciugare. Il secondo atto è più in linea con le biografie musicali classiche, e frena sul lato più maledetto del Re del Rock. Ma sono dettagli, a fronte di un’opera monstre che intende la rivoluzione di Elvis come il cambiamento (culturale, sociale, politico) di un’intera nazione. L’altro merito, non da poco, è quello di aver tenuto a battesimo una stella: il fino ad allora semisconosciuto Austin Butler è Elvis. Punto.
3Ballroom – Gara di ballo (1992)
Al primo film, nasce subito un autore. È il 1992, e il giovane regista che viene dagli antipodi mette subito la sua firma sul musical moderno: nessuno prima di lui aveva saputo girare una storia di balli (e d’amore) in questo modo. Ci sono ancora certe ingenuità (soprattutto narrative), ma la poetica è già chiarissima: Baz vuol fare sognare il suo pubblico. E lo fa attraverso performance musicali pirotecniche, colori vivissimi e la ricostruzione di un mondo immaginario e immaginato che però pare incredibilmente reale. Ed è solo l’inizio.
2Romeo + Giulietta di William Shakespeare (1996)
Prima dell’iceberg che affondò il Titanic ma lanciò DiCaprio verso l’infinito e oltre della stardom, Leo era già considerato un talento dal circuito indie. Ma è grazie a Baz che, a 21 anni, diventa idolo della generazione MTV con il ruolo dell’amante sfortunato per eccellenza, rivisto e corretto in camicia hawaiana. L’audace versione by Luhrmann del mito scespiriano prevedeva il mantenimento dei versi originali del Bardo, ma calati in un contesto pop-anarchico, psichedelico e ipercamp, con tanto di ambientazione postmoderna (siamo a Verona Beach, tamarrissimo sobborgo losangelino, negli anni ’90). Nei panni di Giulietta doveva esserci Natalie Portman, che però aveva solo 14 anni ed era troppo giovane per le scene d’amore: venne così scritturata Claire Danes. Il resto lo fanno la chimica purissima tra i due, la regia agitata e fulminea e la colonna sonora pop-rock-soul con pezzi di Garbage, Cardigans, Radiohead, Des’ree. La sequenza del corteggiamento davanti all’acquario è storia del cinema teen. Spregiudicatissimo Baz.
1Moulin Rouge! (2001)
Provate a trovare qualcosa che sia più bazluhrmanniano di Moulin Rouge! Variety lo ha definito “un abbagliante pastiche di elementi musicali e visivi”. Un musical “jukebox”, che mescola spettacolo e surrealismo, proprio come da spirito della Parigi di fine ’800 e del suo locale più celebre ed eccentrico. Attorno alla versione romanzata (ma nemmeno troppo) delle vicende legate al club, ruota la sfortunata love story (ispirata alla Traviata) tra uno scrittore bohémien (Ewan McGregor) e la stella del Moulin Rouge, la divina Satine (Nicole Kidman, who else?). Ma la vera star del film, che resuscita col botto il genere musicale al cinema e lo reinventa, è proprio la colonna sonora (certificata doppio disco di platino con oltre 3 milioni di copie solo in America), tra mash up di classici e hit contemporanee, vedi la cover super hot di Lady Marmalade, diventata pezzo irrinunciabile della cultura pop. Oscar (dovuti) per scenografia e costumi. Peccato invece per i protagonisti, clamorosamente credibili anche come cantanti. Soprattutto Kidman, alla quale Luhrmann regala il ruolo della vita. Menzione speciale per Kylie Minogue, nei panni della Fatina verde dell’assenzio.
Bonus: The Get Down (2016)
Diciamolo: la prima (e al momento unica) serie firmata Baz Luhrmann avrebbe meritato più fortuna. Invece è stata chiusa dopo una sola stagione. Forse il pubblico non era ancora pronto per un affresco musical-social così denso, capace di tenere insieme il discorso sui cambiamenti etnico-culturali degli anni ’70 e la nascita di nuovi generi come l’hip hop, il funk, la disco e il rap. Resta una cavalcata che oggi vale come un unico lungo film. Capace di lanciare volti che avrebbero pure loro meritato di più: da Justice Smith (di recente visto accanto a Elle Fanning nel teen drama Raccontami di un giorno perfetto) a Shameik Moore (poi finito nel cast dell’ultimo Spider-Man), fino a Jaden Smith, il “figlio di” qui consacrato ad attore vero.