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Con quel nome, non poteva che diventare una star. Uma, tra le tante cose, in sanscrito vuol dire “nazione”: infatti ha messo d’accordo tutti, da subito. Poi viene Thurman, la diva oggi cinquantenne (incredibile ma vero), prima ragazzina evanescente e poi icona di culto cinefilo e pop, grazie soprattutto a un nome: Quentin Tarantino, che le ha costruito il più grande monumento (anzi, due) che un’attrice possa sognare. Prima e dopo, tanti detour, tra concessioni d’autore e divertissement tamarri (ma non per questo meno cult). Fino a oggi: anche se lascia un’erede che le somiglia in tutti i sensi (la sempre più lanciata Maya Hawke), Uma è ancora pronta a uccidere.
Non è certo quello che si può definire un filmone, ma un discreto successo di pubblico e (soprattutto) uno dei ruoli in cui Uma si prende meno sul serio. Vincendo proprio per questo. Dietro c’è Ivan Reitman (aka Mister Ghostbusters), che le affida il ruolo di una gallerista newyorkese che in realtà è la supereroina G-Girl. Momento cult: il catfight con Anna Faris, che si è meritato una nomination agli MTV Awards come miglior combattimento.
Tra i ruoli più recenti, di certo quello più cult. Uma diventa per Lars von Trier la misteriosa signora H, la moglie di uno degli amanti della protagonista Stacy Martin. Che, di fronte alla rivale, dà di matto. Pochi minuti, ma che bastano a renderla una supporting indimenticabile. Tanto che il danese “terrible” la richiamerà accanto a Matt Dillon nel successivo La casa di Jack. Dove la sua fine sarà ancora peggiore.
Si può tenere testa a Nostra Signora Meryl Streep, alias un’abbottonatissima psicologa ebrea? Sì, se si interpreta la parte della paziente che si innamora del figlio della donna. Segue, ovviamente, patatrac psycho-mélo. Segreti, bugie e molte gag tra due mattatrici a briglia sciolta (pure troppo). A posteriori, un piccolo cult della commedia borghese. E il guardaroba da “human of New York” di Uma sono da manuale.
La Venere del Botticelli (ma reloaded) che ha turbato molti spettatori anni ’80. Thurman aveva già qualche film all’attivo, ma è l’apparizione nella conchiglia “ directed by Terry Gilliam” il vero battesimo tra critici e pubblico. L’attrice aveva solo 18 anni, ma aveva già la stoffa della diva: anzi i veli, portati da ninfe che ne sancivano da subito il sacrale erotismo.
Il Batman forse più “scult” di sempre, nonostante il protagonista George Clooney. Ma Poison Ivy è uno dei villain più camp della storia del cinema: e tanto basta. Tuta verde edera (appunto) e codini a cono rosso fuoco in testa, la sua mise è un instant classic da feste di Halloween (e non solo). E il personaggio è pure uno dei primi cattivi ecologisti dei cinecomic: Uma for Future, anche quando voleva solo cazzeggiare.
Dei tre film girati insieme, l’unico della supercoppia Thurman/Hawke che si ricordi (gli altri sono i dimenticati Chelsea Walls , dello stesso Ethan, e Tape di Richard Linklater). E anche il set galeotto di quell’invidiosissimo ex matrimonio, il che basta a renderlo tuttora rilevante. In più c’è la distopia insieme futuribile e rétro di Andrew Niccol (quando era in forma), confezione extralusso e un Jude Law che non sta solo a reggere il moccolo. A suo modo, un piccolo classico.
In uno dei suoi ruoli più adorabili (e purtroppo sottovalutati, se non proprio dimenticati), Uma riesce a sfoggiare un nome ancora più improbabile del suo: Andera. Cioè la ragazza che fa innamorare qualunque uomo capiti sulla sua strada: non è difficile capire il perché. La rom-com adulta ed esistenzialista di Ted Demme ha il merito di aver messo insieme un cast di vecchie e future glorie dello schermo: da Matt Dillon a Natalie Portman, da Timothy Hutton a Mira Sorvino. Ma Uma brilla più di tutti.
Il triangolo, sì: l’avevamo considerato. E che triangolo: Glenn Close, John Malkovich, Michelle Pfeiffer. Quello che il cinema di allora (e del futuro) non aveva ancora considerato era la presenza di Uma, lì per restare. La giovane verginella Cécile de Volanges, sedotta e abbandonata a piacimento dei nobilotti di Laclos, è meno ingenua di quanto si possa pensare. E la sua interprete non è forse mai stata così eterea, radiosa, perfetta.
È Tarantino a fare di Uma un’icona pop grazie al caschetto di Mia Wallace, la pupa del boss che Vincent Vega/John Travolta deve intrattenere per una sera. E pensare che uno dei personaggi ‘made in Quentin’ più clamorosi di sempre manco viene introdotto subito. Ma quando tocca a lei, con il twist sulle note di You Never Can Tell di Chuck Berry e la famigerata striscia di eroina, il regista la catapulta dritta nella storia del cinema. Per sempre.
Nel Bignami delle ossessioni di Quentin (piedi compresi) c’è il suo personaggio più emotivamente ricco: per tutto il primo film non sappiamo nemmeno come si chiama, la conosciamo come La Sposa e vediamo che ha una lunghissima blacklist di persone da eliminare. E chi se non la musa di Tarantino, perfetto angelo della vendetta con tuta gialla instant cult e katana? Se Uma Thurman è nata per la parte o è la parte che è nata per lei poco importa. Nessuno fa esplodere la nostra come Quentin. E chissà che Beatrix non torni davvero per il famigerato terzo capitolo.
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