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Da ‘Biancaneve’ a ‘La sirenetta’, il rapporto di Disney con il politically correct

I nani sostituiti dalle “creature magiche”, i gatti siamesi eliminati da 'Lilli e il vagabondo' e quel bacio queer in 'Lightyear': ripercorriamo alcuni remake della House of Mouse che, negli ultimi anni, hanno fatto storcere il naso a progressisti e conservatori. Rainbow washing, rispetto per le nuove sensibilità o ultra,moralismo?

Foto: Walt Disney Studios

Potremmo considerare le critiche alle produzioni Disney come una specie di genere giornalistico a parte. Lo schema lo conosciamo: ogni volta in cui la House of Mouse lavora al remake di uno dei suoi classiconi, il sottobosco conservatore e turbo-indignato del mondo fiabesco alza gli scudi e urla allo scandalo, come accaduto recentemente con il live action di Biancaneve e i sette nani, che uscirà nel 2024.

Per chi fosse poco avvezzo alla questione (beati voi): i puristi dei cartoni hanno messo in stato di accusa la multinazionale per alcune scelte che andrebbero a minare le fondamenta dell’opera. La prima aberrazione inaccettabile e contestata dallo stuolo dei fondamentalisti disneyani riguarda i nani – nani che, in effetti, non sono nani, ma “creature magiche” scelte in modo eterogeneo tra diverse etnie.

Il secondo aspetto finito nel mirino dei passatisti è la caratterizzazione della “nuova” Biancaneve, che sarà sprovvista di Principe Azzurro e che, di conseguenza, dovrà cavarsela da sola. L’ultima polemica, simile a quella riservata a La sirenetta in tempi non sospetti, riguarda la scelta dell’attrice, Rachel Zegler, che a detta dei bacchettoni animati non rispecchierebbe la tradizionale principessa di carnagione bianchissima narrata dai fratelli Grimm.

I remake Disney, però, non sono soltanto materiale utile per scatenare l’acredine degli ultra-repubblicani del caso. L’iper progressismo prescrittivo con cui la House of Mouse pretende di catechizzare lo spettatore riceve biasimi e contestazioni anche “da sinistra”. In questi casi, l’accusa più frequente è quella rainbow washing – ossia la tendenza a “dipingere d’arcobaleno” i propri contenuti solo perché la mossa risulta più conveniente a livello di mercato o di pubblico, e non per reale convinzione.

Insomma: se in tanti si fanno sostenitori di questa forma estrema di politicamente corretto, per altri si tratterebbe di una deriva moralistica che, in nome di una correttezza più formale che sostanziale, farebbe perdere di vista il reale valore di battaglie quali l’inclusione o la parità di genere.

Ripercorriamo i casi relativi ad alcuni remake della House of Mouse che, negli ultimi anni, hanno diviso il pubblico.

Dumbo

Partiamo dal live action di Dumbo diretto da Tim Burton: un adattamento che presenta diverse differenze rispetto all’originale, come l’assenza della cicogna che consegna l’elefantino a mamma Jumbo e, soprattutto, la rimozione dei corvi, che nel cartone originale regalano al piccolo pachiderma la celebre “piuma magica”. Questi ultimi, infatti, sono personaggi molto controversi negli Stati Uniti, dato che rappresentano delle caricature di persone afroamericane. Non a caso il loro leader si chiama Jim Crow, proprio come la caricatura dello schiavo nero che veniva interpretato da attori bianchi dipingendosi la faccia.

La sirenetta

La polemichetta disneyana più chiacchierata degli ultimi tempi è senza dubbio quella che ha travolto la giovanissima attrice Halle Bailey, che interpreta Ariel nel live action della Sirenetta. Prima dell’uscita del film diverse persone si sono sentite depredate del proprio immaginario nostalgico quando hanno visto apparire nei trailer una sirenetta nera e non dalla pelle diafana come la ricordavano nel cartone Disney. Secondo questo schieramento, la decisione della compagnia non sarebbe stata rispettosa nei confronti del personaggio e dei fan, legati a un’immagine ben precisa della protagonista; per gli altri la polemica non ha senso di esistere, dato che la sirenetta è un personaggio di fantasia e, quindi, ha davvero poco senso interrogarsi sui suoi caratteri etnici. In ogni caso, il momento più alto della querelle è stato quello della crisi d’identità: diversi commentatori da social hanno scambiato Halle Bailey con Halle Berry.

Lilli e il vagabondo

Quattro anni fa, il live action del classico Disney del 1955 è stato distribuito direttamente sulla piattaforma Disney+. Nella versione “in carne e ossa”, però, è stata epurata la canzone dei gatti siamesi. La House of Mouse ha ritenuto che i due perfidi felini che nel cartone animato originale danno parecchio filo da torcere a Lilli, vale a dire Si e Am, potessero infastidire il pubblico orientale, restituendo una versione eccessivamente stereotipata delle persone asiatiche.

Quel bacio queer in Lightyear

Anche Lightyear – La vera storia di Buzz, sfortunato spin-off del franchise di Toy Story uscito lo scorso anno, ha suscitato qualche biasimo. Il problema, se così vogliamo chiamarlo, è che in molti Paesi l’opera non ha superato il vaglio della censura perché in una scena si vede un bacio tra due donne, ossia la space ranger Alisha e la sua partner. La polemica è arrivata anche in Italia: l’associazione Pro Vita e Famiglia, ad esempio, ha invitato i genitori a disertare i cinema nel tentativo di boicottare il film. A loro detta infatti «la Disney sta usando i suoi cartoni per fare propaganda gender e LGBTQIA+ davanti a milioni di bambini in tutto il mondo, e questo è intollerabile». Al fine di sedare sul nascere le velleità inclusive del ranger, Pro Vita e Famiglia ha lanciato anche un’apposita petizione per chiedere alla House of Mouse di «fermare questo bombardamento ideologico e politico ai danni dei bambini».

I disclaimer su Disney+

Nel 2019 Disney ha inserito alcuni disclaimer nella sezione dedicata ai più piccoli della propria piattaforma, nell’ottica di mettere in guardia il pubblico da alcuni classici dell’animazione ritenuti offensivi a causa di “rappresentazioni negative” e “denigrazioni di popolazioni o culture”. Per farlo, ha scelto di inserire all’inizio di alcuni suoi lungometraggi come Gli Aristogatti e Le avventure di Peter Pan una dicitura ben precisa: “Può contenere antiquate rappresentazioni culturali”. Una scelta che la multinazionale ha preso per dimostrare di essere consapevole che alcune sue opere, oggi, non sarebbero più tollerate da determinate tipologie di spettatori. Andando nel dettaglio: Gli Aristogatti presenterebbero un personaggio ritenuto offensivo, ossia il gatto siamese Shun Gon. Il micio è disegnato con tratti orientaleggianti tali da farne una vera e propria caricatura: dalla colorazione gialla al taglio degli occhi, dai denti sporgenti fino al dettaglio delle bacchette che utilizza pure per suonare il pianoforte; le sue caratteristiche, insomma, sarebbero eccessivamente caricaturali e irrispettose nei confronti degli spettatori orientali. In Peter Pan, invece, non ci sarebbe il dovuto rispetto per i nativi americani. Il protagonista, infatti, definisce i membri della tribù di Giglio Tigrato con l’appellativo offensivo di “pellirosse”, mentre il nome corretto con cui riferirsi alle popolazioni che abitavano il continente americano prima della scoperta di Colombo e dei conquistatori europei è per l’appunto “nativi americani”.

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