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Siamo un Paese che non riesce a dare a Gabriele Muccino quello che è di Gabriele Muccino. O meglio: è uno dei pochi autori contemporanei diventato aggettivo (“mucciniano”), il pubblico lo ama, ma la critica ha raramente il coraggio di certificarne davvero il talento, forse proprio per quel respiro popolare che è una delle chiavi di lettura delle sue opere. Però trovatelo uno che gira in quel modo, che fa i conti con la storia del cinema italiano, tra omaggi e citazioni (da Scola a Fellini) sulla carta spericolati, sullo schermo affettuosi e intelligenti. Che ogni volta con un film ci restituisce l’affresco di una generazione. Gli anni più belli è una meravigliosa cavalcata dagli anni ’80 a oggi che ci riguarda tutti, nessuno escluso. E le nomination Micaela Ramazzotti e a Claudio Baglioni ci sembrano decisamente poco per il film-summa di Gabriele Muccino.
Che bello vedere Renato Pozzetto nella cinquina dei migliori attori. Grazie al ruolo dello “smemorato” Nino Sgarbi regalatogli da Pupi Avati in Lei mi parla ancora, mette a segno la prima (!) candidatura ai David della sua carriera: finora c’era stato solo un David speciale nel 1975. La nomination quando arriva arriva, ma finalmente giustizia è fatta.
Parlare di “snub” davanti alle 11 nomination per L’incredibile storia dell’Isola delle Rose potrebbe sembrare un’esagerazione: per noi invece non lo è. Il nuovo film di Sydney Sibilia sarebbe stato benissimo anche della cinquina dei migliori lungometraggi. Perché quella al centro del film è una storia italianissima, pazzescamente anarchica, poco conosciuta e con una vocazione internazionale naturale. Perché Sibilia è un autore che la nuova commedia all’italiana l’ha saputa plasmare a propria immagine e humor e la continua a girare a meraviglia. Evviva Matilda De Angelis, Fabrizio Bentivoglio (Elio Germano è, giustamente, nominato per Volevo nascondermi), il produttore Matteo Rovere e le maestranze. Ma si poteva dare di più.
Foto: Simone Florena/Netflix
18 regali è stato (a sorpresa) uno degli ultimi successi in sala prima che il Covid chiudesse tutto. Il che forse giustifica la sua presenza tra le candidature dei David 2021. Ma il risultato non è all’altezza delle ambizioni di questo fantasy-mélo. E ok Vittoria Puccini tra le protagoniste, ma forse avremmo visto meglio qualche volto dimenticato. Però bene la candidatura di Benedetta Porcaroli. Il nuovo star system sta arrivando.
Luca Medici è candidato tra i registi esordienti e per la miglior canzone originale (la stracultissima Immigrato). Ma il suo Checco Zalone, in quanto rappresentante della commedia all’italiana come non la sa fare più nessuno, resta al palo. Ciò che più sorprende è l’assenza di Toto Tolo dalla cinquina delle sceneggiature originali: grazie alla collaborazione di Paolo Virzì, il nostro era riuscito a traghettare definitivamente la sua satira sociale nei territori scomodi della politica (in senso lato). Vincendo comunque. Non averlo riconosciuto è un errore gravissimo.
Accolto da “mixed reviews”, come dicono altrove, all’ultima Mostra di Venezia (e rimasto, non a caso, escluso dal palmarès), l’opera seconda di Emma Dante non era il titolo che tutti si sarebbero aspettati tra i migliori film. La mano della “teatrante” palermitana è indiscutibile, ma il sospetto è che il progetto tutto al femminile abbia giocato a favore delle 6 candidature complessive. Se restasse anche stavolta senza premi, non sarebbe una sorpresa: anzi.
Intendiamoci: L’amore a domicilio è un piccolo film. Ma noi l’abbiamo trovato adorabile, soprattutto perché ha saputo renderci più lieve il primo lockdown. Quanto ai David, avrebbe rappresentato la via per dare a Miriam Leone la prima (meritata) candidatura della sua carriera. Il ruolo, leggero anche lui, è bello e inaspettato. Basterebbe anche solo quel «Ciao, Dante!»: chi ha visto sa.
Lasciami andare è una sorta di thriller paranormale che non è mai all’altezza di esserlo, un storia di fantasmi senza suspense che sfocia in un dramma prevedibile. Che non sfrutta appieno nemmeno la forza visiva e suggestiva di Venezia, dove è ambientato. Peccato, perché il cast ovviamente c’era (da Stefano Accorsi a Maya Sansa e Valeria Golino), ma la scrittura, ecco, quello è uno dei problemi. E vedere il film nominato proprio per la sceneggiatura non originale (è ispirato al romanzo di Christopher Coake del 2012 Sei tornato) pare quantomeno senza senso.
L’avevamo già vista in un assolo (Antonia.), poi in un passo a due (Ricordi, con Luca Marinelli). Ora con Lacci è arrivata la coreografia corale, a fianco di Alba Rohrwacher, Luigi Lo Cascio, Silvio Orlando, Laura Morante, Adriano Giannini, Giovanna Mezzogiorno. E Linda Caridi non sfigura, anzi. Conferma di essere un’attrice (pure teatrale) di razza che, anche in un ruolo da supporting, illumina il film. Considerato che Alba è candidata come protagonista proprio per Lacci, il posto occupato anche da non protagonista per Magari poteva essere di Linda. Peccato.
Foto: Gianni Fiorito
I predatori, l’esordio-bomba di Pietro Castellitto (già premio per la sceneggiatura in orizzonti a Venezia 77), viene riconosciuto anche dall’Academy italiana. E oltre alle sacrosante nomination per il regista esordiente, la sceneggiatura e il produttore, ne arriva anche un’altra graditissima: quella di Niccolò Contessa come miglior compositore. L’idea di creare una melodia che ritornasse e che desse la sensazione di qualcosa che sta per esplodere e non esplode mai, se non sui titoli di coda, rispecchia alla grande la tensione crescente del film. E un po’ di indie al nostro cinema non può fare che bene.
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