Ci sono otto milioni di storie nella città nuda. A meno che, ovviamente, quella metropoli non sia sotto attacco da parte di alieni caduti dal cielo, dotati di un udito straordinario e che non desiderano altro che mangiare umani e seminare il caos. Allora ci sono solo otto milioni di versioni diverse della stessa storia: stai zitto, vai avanti e fai del tuo meglio per rimanere in vita. A Quiet Place (2018) di John Krasinski era riuscito a caratterizzarsi come svolta intrigante al genere watch-the-skies catapultando gli spettatori in un’invasione già in corso e costringendo i suoi eroi sopravvissuti a stare in silenzio per evitare l’estinzione. Il sequel del 2020 ha ripetuto lo stesso copione, non espandendo oltre il concetto. Ma aveva un’aggiunta chiave: una sequenza di apertura riavvolgeva il nastro, permettendoci di vedere com’era stato per la famiglia al centro del franchise sperimentare quell’assalto alieno. Ecco l’inizio di tutto per la loro comunità nello Stato di New York. Immaginate cosa dev’essere stato a Manhattan.
A Quiet Place – Giorno 1, ora al cinema, prende questa idea e la persegue, alzando la posta e concentrandosi sul caos scatenato quando quegli extraterrestri assassini sono atterrati per la prima volta nella Grande Mela. Questo spunto da solo dovrebbe ribaltare la sceneggiatura e differenziare questo terzo capitolo dai suoi predecessori, ma il prequel ha anche qualche altro asso nella manica: le emozioni, l’ansia e i brividi che ci aspettiamo, così come i necessari salti per lo spavento, le creature striscianti della saga che fanno quello che sanno fare meglio (tendere l’orecchio e divorare i più disattenti) e una discreta quantità di CGI. E poi un nuovo personaggio lunatico e volubile, ancorato da un’altra straordinaria performance di Lupita Nyong’o: una donna malata terminale che con il suo gatto vaga in una New York desolata e post-apocalittica per una fetta della sua pizza preferita. Sì, diciamo sul serio. Per favore smettetela di ridere.
L’ossessione per quella specialità della cucina italiana inizia presto, quando Samira (Nyong’o) viene convinta a lasciare il reparto di oncologia dal suo infermiere, Reuben (Alex Wolff), per un’avventura nella grande città: lui sta andando a vedere uno spettacolo di marionette a Chinatown con altri pazienti, ma lei non è interessata, almeno finché sul piatto non c’è la promessa di una pizza per pranzo. Può anche portare il suo gatto, Frodo. Guidando verso la città, né Samira né i suoi compagni di viaggio (né, del resto, il suo gatto) prestano molta attenzione ai jet militari che sorvolano l’isola mentre attraversano il ponte per Manhattan. Sono tutti troppo entusiasti della gita. E lei è troppo assorbita dal pensiero di quel pasto delizioso.
Quando lo spettacolo viene interrotto e Reuben informa Samira che devono andarsene – c’è stato un incidente in città che richiede un’evacuazione – lei è sconvolta: “Avevi detto che avremmo preso la pizza. Possiamo prenderla qui e portarla in reparto. Abbiamo tempo!”. E invece no, non ce l’hanno. Decine di meteoriti sfrecciano nel cielo e uno si schianta a 100 metri da loro. Samira perde i sensi. Quando si sveglia, il centro è un’enorme scena del crimine fatta di cenere, filmata in un modo che ricorda un attacco nella vita reale, il che potrebbe sconvolgere un buon numero di spettatori. Dopo aver trovato rifugio con i compagni sopravvissuti – tra cui l’Henri di Djimon Hounsou, “l’uomo sull’isola” del secondo capitolo – all’interno del teatro, Samira raccoglie il suo ingegno e il suo fedele felino e decide di partire per una missione. È diretta ad Harlem, è lì che si trova Patsy. Quel posto serviva la miglior pizza della città, quand’era bambina.
Da qui Giorno 1 alterna “l’urlo e il furore” in stile blockbuster che ci si aspetta – con il primo che segue sempre la regola del franchise “zitto o muori”– e un ritratto un po’ insolito e sorprendentemente tenero di una donna disposta a rischiare quello che le rimane da vivere per una madeleine proustiana dalla crosta sottile. Lungo la strada, a Samira si unisce Eric (il Joseph Quinn di Stranger Things), un ragazzo britannico in giacca e cravatta che sbuca dall’ingresso della metropolitana allagata e, nonostante le proteste di Samira, decide di andare con lei a nord invece che a sud verso il porto, dove le persone vengono portate in salvo. Molto meglio aiutare Samira quando un branco di alieni li attacca in un grattacielo dalle pareti di vetro, recuperare le sue medicine quando il cancro la debilita, aiutarla a prendersi cura del gatto più intraprendente del mondo (è nata una stella a quattro zampe!) e fare magie con le carte davanti a lei in un jazz club abbandonato dall’altra parte della 110esima strada.
Quel locale possiede lo stesso significato che ha Patsy per Samira, ed è merito sia di Nyong’o che dello sceneggiatore e regista Michael Sarnoski se siamo tanto coinvolti nella sua simbolica ricerca gastronomica quanto nelle coreografatissime scene di carneficina. Da tempo l’attrice premio Oscar (per 12 anni schiavo) ha dimostrato di avere un’espressività che non ha bisogno di lunghi monologhi per emozionare: molti dei suoi momenti migliori e più snervanti in Noi – Us di Jordan Peele si basano a malapena sul dialogo. Il che la rende l’eroina perfetta per un capitolo di A Quiet Place, ovviamente, ma riesce anche a farci capire perché questa donna che sta per morire è così determinata ad avere un ultimo momento di felicità. Per quanto riguarda Sarnoski, il suo film precedente Pig (2021) si presentava come un revenge movie starring Nicolas Cage, ma poi si rivelava come qualcosa di molto più doloroso e avvincente di un semplice thriller. E qui il regista cerca di fare la stessa cosa, introducendo di nascosto una riflessione su dolore, accettazione e strazio per un lungo addio in un film su mostri alieni che devastano l’umanità.
È una mossa sovversiva per chi lavora dentro i confini di un franchise di genere ancora basato su modalità da blockbuster e sul bang-boom-crash? Sì. Giorno 1 è un’incursione più interessante in uno scenario horror/fantascientifico rispetto al capitolo 2, che ripeteva semplicemente il copione precedente? Sicuramente, anche se già sentiamo alcuni fan lamentarsi di essere andati al cinema per vedere il caos per poi ritrovarsi con una bella dose di melodramma. Noi qui ammiriamo il coraggio di prendere la strada meno battuta nei film con gli alieni, anche se nel complesso il lungometraggio potrebbe essere ancora più audace. Molti di questi infiniti sequel, prequel e spin-off sembrano intercambiabili, ripetitivi, da usare e gettare dopo il fine settimana di apertura. Non si può accusare Giorno 1 di giocare sul sicuro rigurgitando le solite idee ormai vecchie. E anche se potrebbe non soddisfare pienamente quell’impulso primordiale che ci spinge ad andare a vedere i film estivi, dà comunque nuova linfa a una serie che rischia di diventare meccanica e stantia. Senza parlare del fatto che potrebbe fare miracoli per il settore delle pizzerie.