Una nuova Monica Vitti?
Facendo le debite proporzioni, c’è una nuova Monica Vitti in town. Pilar Fogliati la conosciamo già: la radio, la tv, il cinema, le serie (ultima in ordine di tempo: Odio il Natale su Netflix). Ora svela il suo nuovo talento, o forse la sua nuova vita: Romantiche (al cinema dal 23 febbraio) è il suo debutto da regista. Un esordio che, appunto, mette in piena luce il suo talento multiforme, che ricorda la nostra diva sempre compianta. Pilar è tenera, sensuale, struggente, malinconica, tutto insieme, anzi “sdoppiata in 4”, come recitava il titolo di un vecchio film. Pilar è, di volta in volta, Eugenia Praticò, wannabe sceneggiatrice scappata da Palermo per inseguire il sogno del “scìnema” (al Pigneto); Uvetta Budini di Raso, l’aristocratica svanita che scopre il lavoro (da panettiera); Michela Trezza, provinciale tutta casa e chiesa che capisce – anche grazie a un amico d’infanzia ritrovato – che forse un’altra vita è possibile; e Tazia De Tiberis, la tipica rappresentante di Roma Nord che regola i conti col fidanzato fedifrago. Tutte idealmente unite dalla stessa psicologa (Barbora Bobulova) e alle prese con uomini, amiche, vita che non è quella che vorrebbero. O che, semplicemente, provano a riprendersi. E tutte irresistibili.
Viva il film a episodi (se fatto bene)
Il film a episodi? Per una volta, un’ottima idea. Romantiche segue dichiaratamente la formula fortunatissima e (ab)usatissima nel nostro cinema dagli anni ’50 ai ’70. Dietro il copione c’è anche la mano esperta di Giovanni Veronesi, che aveva fatto la stessa cosa nel suo Manuale d’amore; ma si vede che le idee sono principalmente farina del sacco della regista/protagonista. C’è un registro insieme bonario e cattivo che ricorda la mano dei Dino Risi che furono (sempre fatte le debite proporzioni). In particolare, nel primo e nel terzo episodio: l’aspirante sceneggiatrice che, nel finale, urla che dal Pigneto non se ne andrà mai è una puntualissima rappresentazione di una certa romanità cinematografara; la ragazza “de li Castelli” che incontra la mondanità capitolina sembra invece strappata a pagine di capolavori come Una vita difficile. E, nello scenario di una commedia – la nostra – che non diverte (e non vede) più nessuno, Romantiche fa ridere dall’inizio alla fine: miracolo!
Lo sguardo femminile (non) irriverente
In Call My Agent – Italia si fa ironia su quello che oggi “l’algoritmo” chiede: «Una commedia irriverente femminile alla Fleabag». Il rischio del “copia-e-incolla” dal cult di Phoebe Waller-Bridge c’era eccome. Soprattutto perché, qui come in Odio il Natale, Fogliati non rinuncia allo sguardo in macchina che ammicca direttamente allo spettatore. Ma il taglio riesce ad essere diverso, e più “nostro”. E sa aggiungere un tocco femminile al panorama sempre molto maschile (se non apertamente misogino) della nostra commedia. Senza voler essere a tutti i costi irriverente, appunto. Il tono della regista, sceneggiatrice e interprete è sincero, umano, spassionato. Vogliamo più Pilar Fogliati, nel panorama italiana. O forse lei è così brava che già ci basta.
Un cast non scontato
Accanto a una protagonista che si prende la scena così tanto, le scelte dei volti di contorno erano cruciali. Romantiche non fallisce neanche in questo senso. La psicologa Barbora Bobulova che unisce involontariamente le quattro storie è accompagnata dalla rediviva Diane Fleri, alias la sceneggiatrice di successo (e “di salotto”) del primo episodio; dal toscano Giovanni Toscano (pardon), nei panni del nobilotto giramondo del secondo episodio; da Giovanni Anzaldo ed Emanuele Propizio nel terzo episodio, col secondo in particolare a ricordare certe maschere struggenti della commedia ’60/’70, appunto; da Edoardo Purgatori, già visto nella serie Le fate ignoranti e, nel quarto episodio, perfetto golfista pariolino. E poi c’è Levante (che firma anche la colonna sonora), che fa… Levante. Oltre a tante altre facce che tornano di episodio in episodio e che ci piace ritrovare nel nostro cinema (vedi il veterano Rodolfo Laganà). Bravi tutti.