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Addio Gena Rowlands, musa delle muse

Di John Cassavetes, che le ha dato i ruoli di una vita (ma è stata anche lei a “inventare” il cinema di lui, e tutto il cinema americano moderno). Delle attrici da allora ad oggi. E degli spettatori, che forse ultimamente l’avevano colpevolmente dimenticata

Foto: Bettmann/Getty Images

È morta a 94 anni Gena Rowlands, e il primo titolo che cita l’obituary di Variety è The Notebook, cioè Le pagine della nostra vita, perché è andata così, hanno vinto i millennial (o chi per loro: ho perso il conto delle generazioni), bisogna ricordargli il film che conoscono loro, altrimenti pensano “e chissenefrega di ’sta vecchia”.

E invece, lo dico ai millennial ma anche un po’ a tutti gli altri che hanno ormai perso la memoria, Gena Rowlands è stata forse la più importante attrice del cinema americano moderno, una che il cinema l’ha cambiato, l’ha inventato, una che senza di lei il cinema di oggi non esisterebbe – o forse non sarebbe esistito il cinema fino, che so, agli anni ’90; ora è di nuovo cambiato tutto, e non di certo in meglio.

Gena Rowlands è la più citata, dalle attrici (anche italiane), come ispiratrice, riferimento, Olimpiade a cui prepararsi per poter partecipare in futuro (poi diciamo che non tutte si sono allenate a dovere, o forse era semplicemente impossibile battere una primatista come lei). Come musa.

Leggevo di recente una vecchia intervista di Rolling Stone US a Quentin Tarantino e Uma Thurman, e lei diceva – vado a memoria – “dite che sono la sua musa, ma che vuol dire musa: mi leggo giusto i copioni, do qualche idea, ma non faccio niente, sto lì”. Senza John Cassavetes, marito amante regista, non sarebbe esistita Gena Rowlands, ma forse, per tornare al discorso di prima, senza di lei non sarebbe esistito lui, e il suo cinema che ha cambiato il cinema. Non sarebbe esistito senza Gena, musa – o forse no – che stava lì, non faceva niente, e faceva tutto. Non so se si può dare una definizione di “recitazione cinematografica”, ma io, se fossi un treccanista, semplicemente in quel lemma scriverei: “Gena Rowlands”.

Devo dire davvero i film di Cassavetes-Rowlands? Serve? Forse sì, perché nessuno li conosce più? Perché le recensioni (o quel che ne resta) son piene di “è molto cassavetesiano”, ma poi va’ a sapere chi e quando ha visto cosa? Comunque: Ombre, Gli esclusi, Volti, Minnie and Moskowitz, Una moglie (cioè A Woman Under the Influence: provate a immaginare tradurre oggi “woman” con “moglie”) , La sera della prima, Love Streams – tutti capolavori e anche di più, ma per quest’ultimo, forse perché da molti è considerato il figlio zoppo, ho una particolare predilezione.

Ma Gena è stata anche ragazza vibrante nella Strada a spirale di Robert Mulligan, oggi più dimenticato ancora, e poi l’Altra donna di Woody Allen, e la prima cliente dei Taxisti di notte di Jarmusch; e ancora, poco prima o più avanti, s’è vista nella Tempesta scespiriana di Mazursky, nella Luce del giorno di Paul Schrader, in un pimpante e sottovalutato Hallström (Qualcosa di cui… sparlare), e in tanti film del figlio Nick, non certo erede filmico del padre (Una donna molto speciale, She’s So Lovely e, appunto, Le pagine della nostra vita).

L’altro giorno, con un’amica, discutevo di cosa stabilisce l’essere una movie star: tutto partiva da quel passaggio dell’intervista di GQ a Clooney e Pitt in cui il primo rispondeva via terzi a Tarantino, reo – sintetizzo – di non includerlo più tra le grandi stelle di Hollywood, quantomeno non quelle del XXI secolo, cioè quando s’è consumato il 90% della carriera di George. Il motivo principale? Non porta la gente al cinema. Gena Rowlands era una movie star? No, secondo gli stupidi criteri di oggi secondo cui essere una movie star vuol dire: incassi, incassi, incassi, e poi un certo glamour hollywoodiano. Lei non aveva gli uni e forse neanche l’altro, anche se era la più bella di tutte: ma possiamo sostenere davvero che Gena Rowlands non sia stata una movie star?

È sempre l’industria che mangia sé stessa. Angelina Jolie, che, giovane promessa, incontrò Rowlands, venerata maestra, sul set di Playing by Heart (Scherzi del cuore), ricevette per mano di Gena l’Oscar cosiddetto umanitario, e qui possiamo fare il solito discorso sull’Academy, che ha avuto quasi cinquant’anni per premiare come attrice la più grande di tutte (due le candidature) e non l’ha fatto mai (se non dare, anche a lei, un premio alla carriera riparatore nel 2016). E Rowlands intanto, generosamente, sosteneva le altre, quelle che la lezione l’avevano appresa. Forse all’industria faceva paura la sua furia, la libertà, l’amore. Forse era inclassificabile, come lo sarebbe rimasta per sempre, quella woman under the influence – del cinema – che il cinema lo aveva cambiato, o forse lei era il cinema, e basta.

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