Se non avessi visto le foto e non li avessero inquadrati, non mi sarei nemmeno accorto della loro presenza. Ma il duca e la duchessa, non ricordo di cosa e non ho voglia di controllare, insomma i parenti di Harry e Meghan, se restavano a casa a bersi una birra guardando la cerimonia in mutande, nessuno li avrebbe rimpianti. Ma essendo i presidenti onorari dei BAFTA hanno dovuto presiedere e perdersi pure Aston Villa-Arsenal (gran partita, 4 a 2 per i Gunners, che staccano nuovamente il ManCity in vetta alla classifica). Detto ciò, tocca ammetterlo: è stata proprio una bella serata in riva al Tamigi, quella della cerimonia di premiazione dei BAFTA. E non chiamateli Oscar britannici, altrimenti trasformiamo i premi di Hollywood nei David di Donatello californiani.
Quelli dell’accademia del cinema e della televisione di Sua Maestà sono arrivati alla 66esima edizione, quindi non sono esattamente una cosa inventata l’altro ieri, e scorrendo i palmarès precedenti troviamo il fior fiore del talento dell’arte cinematografica mondiale. Era quindi giunto il momento di essere testimoni oculari di una cerimonia di premiazione così importante. E naturalmente anche così lunga. La mia giornata è iniziata nella zona del National Theatre e della Royal Festival Hall at 1 PM, come direbbero gli inglesi, diligentemente ritirando l’accredito per poi andarmi a posizionare nel mio spot sul red carpet. Circa un metro quadrato condiviso con altre otto giornaliste, devo dire ben più preparate di me nell’aggredire le decine di talent che ci sono passati davanti nelle oltre due ore di passerella. Come sempre vestiti bellissimi, acconciature degne di Renzo Piano, ettolitri di collagene posizionati nei punti più diversi di uomini e donne. Al netto del mal di schiena, vedersi sfilare davanti Michelle Yeoh, Julianne Moore, Jamie Lee Curtis, Jodie Turner-Smith, Anya Taylor-Joy (queste ultime due veleggianti nell’iperuranio, assolutamente divine), Brendan Fraser, Bill Nighy e chi più ne ha più ne metta non è una brutta maniera di passare una domenica.
Finito il passeggio, si entra nella Royal Festival Hall, dove si è svolta la cerimonia. La stampa vien divisa in due postazioni, il vostro valoroso reporter è stato fortunatamente spedito nella sala per le conferenze stampa dei vincitori. Ottimo, come i deliziosi sandwich con prosciutto, cetriolini, uovo e pomodoro con cui siamo stati rifocillati. La cerimonia di premiazione è in realtà un evento intimo. La diretta sulla BBC era infatti prevista solo per le ultime quattro categorie, le più importanti, quelle della Rising Star britannica (la Emma Mackey di Sex Education: la ragazza diventerà una stella brillante di prima grandezza), attori protagonisti e miglior film dell’anno. Ma nonostante la relativa riservatezza, la serata non ha avuto niente da invidiare a quelle che organizzano in riva al Pacifico. Anzi. Poco più di tre ore (Sanremo, prendi esempio), grande ritmo, asciuttezza, eleganza, specialmente quella dell’host, Richard E. Grant (la sua battuta su Daniel Day-Lewis che gli ha spianato la carriera rifiutando Shakespeare a colazione è stata gustosissima), che ha aperto lo show con una clip in cui chiede consiglio a Steve Martin su cosa un presentatore deve fare e non fare. E Steve lo educa con i suoi comodi mille trucchi (nel vero senso della parola) per non mandare tutto in vacca. Cosa che non è successa, naturalmente. A dire il vero, c’è stato un piccolo intoppo legato a un premio, ma lo racconto più avanti.
Andiamo con gli highlight della serata. Bella performance di Ariana DeBose in apertura dello show. Toccante omaggio da parte di Dame Helen Mirren alla defunta regina, col ricordo del sempiterno supporto di Elisabetta alle arti e in particolare a quella cinematografica. Il momento dedicato a chi non c’è più è stato come sempre tra i più toccanti, soprattutto in un anno che ha visto salutare tanti grandi del cinema. E assolutamente meraviglioso è stato l’omaggio a Sandy Powell, una delle più grandi costumiste viventi, vincitrice di tre Oscar, icona di stile e di gran lunga il personaggio più rock della serata. Insomma, un gran bello spettacolo, visto naturalmente attraverso un televisore da noi poveri giornalisti: ma questa è la stampa, bellezza.
E quindi passiamo alla cronaca e al commento. L’ha fatta da padrone Niente di nuovo sul fronte occidentale, che si è portato a casa ben sette BAFTA, tra cui quelli per il miglior film, la migliore regia e il miglior film internazionale. Record assoluto per un film in lingua non inglese, ha battuto Nuovo Cinema Paradiso. Sbaragliata la concorrenza, quella di Everything Everywhere All at Once prima di tutto. La banda del multiverso se ne torna a casa con un misero premio, quello per il miglior montaggio (notevole, ma forse un po’ scippato a Top Gun: Maverick), sperando in una serata migliore tra tre settimane. Dopo la vittoria dei The Daniels, i registi del film, ai Directors Guild Awards appena 24 ore prima, le quotazioni per l’Oscar si stanno alzando ulteriormente. Però è utile non dimenticare che molti votanti dell’Academy non fanno parte dei BAFTA, ma non viceversa. Quindi quanto accaduto a Londra avrà sicuramente delle importanti ripercussioni a Los Angeles.
Tra queste, anche il fatto che un bel film come Gli spiriti dell’isola potrebbe recuperare terreno alla luce dei quattro premi vinti in terra d’Albione. E se quelli per la sceneggiatura originale (con Martin McDonagh che ha scherzato dicendo che ha vinto perché la Searchlight non ha fatto neanche una nota sullo script…) e miglior film britannico erano quasi scontati, molto meno lo erano i due per i non protagonisti. Ma d’altronde Kerry Condon (sì, lei, non Carey Mulligan come erroneamente annunciato dall’interprete LIS che coadiuvava Troy Kotsur, il vincitore dell’anno scorso per CODA che presentava il premio; la correzione è arrivata immediatamente e la crisi è rientrata in un secondo) è assolutamente magnifica, così come Barry Keoghan, che, non pago di averci fatto piangere nel film, ha replicato in conferenza stampa. “Metterò il premio proprio sotto la foto di mia madre”. Morta a 31 anni per un’overdose quando Barry ne aveva 12. E ha pure continuato. “Festeggio andando da mio figlio, chiamiamo il room service e ordiniamo tutto quello che c’è”. Ti amiamo, Barry.
Parlando di attori, se da una parte la vittoria di Cate Blanchett la aspettavano tutti, così non era per quella di Austin Butler. Eppure il ragazzo (che vedremo presto in Dune 2) è stato davvero eccezionale in Elvis (altro film piaciuto molto, con tre premi portati a casa, compreso quello, guarda un po’, per il miglior casting, categoria che si dovrebbe istituire in tutti i premi del mondo). E anche qui, Brendan Fraser e Colin Farrell dovrebbero iniziare a preoccuparsi seriamente, dopo essersi per mesi divisi tutti i riconoscimenti più importanti della Awards Season. Austin è stato l’ultimo a raggiungerci per condividere con la stampa la sua felicità e anche il suo dolore per la morte di Lisa Marie Presley. Sotto di noi era già iniziata da una mezz’ora la cena di gala, con effluvi vari che ci stordivano e bicchieri che tintinnavano in infiniti brindisi. Tanto glamour a pochi metri, ma il mestiere del cronista è infame, siamo nati per soffrire. Prima di andare via c’era giusto da fare una capatina alla toilette. Dove incontro Austin. Ci guardiamo. “Sei stato grande, ragazzo”. “Grazie. Anche tu”. E dai BAFTA è tutto. Ci rivediamo l’anno prossimo.