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‘Ant-Man and The Wasp: Quantumania’: pure la Marvel sembra stanca di fare ’sti film

O forse il nuovo, deludente capitolo è solo un'ulteriore prova che questa saga in continua espansione non ha più niente di interessante da dire?

Foto: Marvel Studios/ Disney

Ricordate il Regno Quantico, vero? Sì, dai. È l’universo proprio sotto al nostro, a cui si può accedere solo diventando “subatomici” e rimpicciolendosi fino a dimensioni microscopiche. Lo stesso dove Scott Lang (Paul Rudd), meglio noto come Ant-Man, si è ritrovato a fluttuare dopo aver combattuto contro il cattivo Darren Cross, subito dopo che quest’ultimo aveva rubato la tuta “Yellowjacket”. Hank Pym, l’originale Ant-Man, ci aveva avvertito che è “una realtà in cui il tempo e lo spazio diventano irrilevanti… ciò che conosci e ami se n’è andato per sempre”. A dirla tutta, parla per esperienza, perché ha perso laggiù per trent’anni sua moglie, Janet Pym (anche lei supereroina). L’ha riavuta indietro, poi Scott è rimasto bloccato lì sotto (di nuovo), poi è riuscito a uscirne (ancora), poi gli Avengers hanno usato il baraccone per viaggiare nel tempo, poi un tizio che si chiama “Colui che rimane” ne ha parlato a Loki (il dio dell’inganno asgardiano ha una serie tutta sua, storia lunga), poi…

A questo punto nel tempo – pardon per il gioco di parole, assolutamente intenzionale – ci si aspetta (anzi, è obbligatorio) che chiunque entri nell’universo cinematografico Marvel abbia memorizzato ogni minimo dettaglio dell’intero franchise. Ci sono 30 film e 20 serie che affermano di svolgersi all’interno e intorno a un MCU interconnesso. E qualsiasi spettatore che non ricordi istantaneamente ogni punto della trama, ogni riferimento, ogni sviluppo anche solo accennato, e Easter egg, e la storia del personaggio di turno, e la postilla di grandi eventi che alterano il mondo (la battaglia di New York, lo schiocco delle dita di Thanos) può ritrovarsi rapidamente nel caos. La cultura MCU potrebbe essere la cosa più vicina che abbiamo a una cultura pop in questo momento. Ma richiede una conoscenza accademica di una saga in costante aggiornamento e in perenne mutazione che si svolge su troppe linee temporali e multiversi di cui tenere traccia.

Parlando di Ant-Man and the Wasp: Quantumania (il film numero 31, se li state contando), bisogna tenere bene a mente TUTTO. Inoltre, chi ricorda cosa è successo al cattivo interpretato da Corey Stoll (o addirittura che l’attore abbia interpretato un villain del MCU) nel film originale di Ant-Man – e che l’azienda di gelati Baskin-Robbins abbia una connessione di lunga data (vedi alla voce: product placement) con l’eroe di Paul Rudd – può avanzare di tre caselle e vincere 500 dollari. Lang, come tutti sappiamo, è stato fondamentale nel risolvere il casino scatenato da Thanos e, quando lo incontriamo di nuovo, il supereroe sta ancora banchettando grazie a quel trionfo. Letteralmente: non ha dovuto pagare per un pasto o un caffè a San Francisco per mesi grazie alla sua audacia. Inoltre, ha pubblicato un memoir di successo, Look Out for the Little Guy! E, sebbene la sua dolce metà Hope (Evangeline Lilly) abbia successo nel settore della filantropia aziendale, ha ancora tempo di volare con lui a godersi birra e cibo cinese in cima al Golden Gate Bridge. “È un bel mondo”, esclama Scott. “Sono contento di averlo salvato!”.

Solo che il nostro mondo non è l’unico che ha bisogno di essere salvato. L’ormai ventenne figlia di Scott, Cassie (Kathryn Newton), e suo nonno Hank (Michael Douglas) si sono divertiti con una tecnologia all’avanguardia e, per farla breve, hanno inviato segnali nel Regno Quantico. Qualcosa o qualcuno risponde e risucchia Scott, Hope e Janet (Michelle Pfeiffer) nelle profondità di quel mondo sotterraneo e submolecolare. I due Lang atterrano in un posto; i tre Pym finiscono a diverse nano-leghe di distanza.

Ovviamente tutti sono preoccupati, ma Janet è pietrificata. Durante i suoi tre decenni di permanenza in quell’universo, ha guidato un movimento di resistenza contro un tiranno. Quando suo marito l’ha salvata diversi film fa, si scopre che si è lasciata dietro degli affari in sospeso. Molte persone sono morte. E il despota, che è solo diventato più distruttivo, sembra avere un legame personale con Janet.

Michelle Pfeiffer (Janet van Dyne) e Michael Douglas (Hank Pym). Foto: Marvel Studios/ Disney

Quel tiranno è “Colui che rimane”, o meglio, è una variante di Kang il Conquistatore. I lettori di fumetti sanno che questo scienziato del XXXI secolo ha in realtà un certo numero di “se stessi” che corrono su infinite linee temporali sotto nomi diversi, causando parecchi problemi ai supereroi. La buona notizia è che è interpretato da Jonathan Majors, che dà a questo personaggio un senso di orgoglio ferito, un’aura di potere assoluto che lo ha corrotto e una megalomania sfrenata. Questo è il cattivo su cui la Marvel sta puntando tutte le sue carte per i prossimi anni (Avengers: The Kang Dynasty arriverà a maggio 2025), e l’attore di Lovecraft Country sa come comunicare gravitas e orrore, un “mostro che pensa di essere un Dio”.

Majors ha usato a lungo un tono baritonale un po’ ammaccato per dare ai suoi ruoli ordinari e straordinari (The Last Black Man in San Francisco, Da 5 Bloods, The Harder They Fall, l’imminente Magazine Dreams) un senso di diffidenza, stanchezza e vulnerabilità. Con Kang aggiunge uno strato di compassione: verso se stesso (la sua storia suggerisce che non fosse esattamente bloccato nel Regno Quantico) e verso questi umani che, supereroi o no, non possono competere con lui. Anche i suoi attacchi di rabbia sembrano intrisi di una profonda tristezza. È una performance decisamente stratificata, e di gran lunga la cosa migliore del film. E pure l’unica davvero buona.

Paul Rudd (Scott Lang/Ant-Man) e Jonathan Majors (Kang the Conqueror). Foto: Jay Maidment/Marvel Studios/ Disney

Perché, anche con tutta questa confusione nella trama e il sovraccarico visivo, Quantumania è piuttosto debole in quasi tutti gli altri aspetti. Da dove iniziare? C’è la dipendenza da effetti digitali (non meno di una dozzina di società di VFX vengono nominate nei titoli di coda), che provano a mescolare e abbinare vari pezzi di immagini di fantascienza e ti fanno sentire come se stessi esaminando attentamente un scroll senza fine di copertine generiche di libri e cliché di genere. L’aspetto generale del Regno Quantico potrebbe essere meglio descritto come Mitochondria Chic – un sacco di globi, sfere e lampade di lava, tanta sbobba cosmica – ma, dopo essere passati attraverso un certo numero di abitanti del deserto di Dune e emarginati nelle cantine di Mos Eisley e finestre panoramiche di astronavi, ci si chiede se la metodologia di progettazione fosse semplicemente: “Lancialo contro il muro, vedi se si attacca e usalo a prescindere”. I debiti con Star Wars sono parecchi. Troppi, direbbe qualcuno.

Il fatto che questo diventi lo sfondo di quella che alla fine è una storia di ribellione dal basso, che pesa sulle spalle di Lang & Co., per impedire a Kang di scappare nel nostro mondo non aiuta le cose. E quello che ci gira intorno non ravviva la trama (sto per scrivere una frase che non avrei mai pensato di dover scrivere: c’è un cameo di Bill Murray che è completamente inutile). Nemmeno il fan service spinto è utile, ma se “organismo meccanizzato progettato solo per uccidere” significa qualcosa per voi, potreste essere entusiasti. O forse no, visto come un personaggio di peso viene sorprendentemente sprecato in tutto questo avanti e indietro.

I membri veterani del cast fanno quello che possono: Paul Rudd fa Paul Rudd e Pfeiffer ha abbastanza scene e si fa carico della narrazione tanto da essere effettivamente una co-protagonista. E ci si può compiacere (ehm, diciamo così) del fatto che il regista Peyton Reed abbandoni l’atmosfera squillante dei primi due film di Ant-Man per un tono più cupo, quasi funebre. Quei film si erano distinti non solo per l’autoironia impassibile di Rudd e per qualche sciocchezza marginale (qui ci è mancato molto il Luis dalla parlantina irrefrenabile di Michael Peña), ma anche per un’abile miscela di eroismo e colpi di scena, oltre alla colonna sonora in stile Lalo Schifrin. Quantumania è in qualche modo pesante senza essere significativo, quasi disperato nella sua austerità. Pur se disseminato di battute qua e là, al confronto fa sembrare Eternals vivace e sbarazzino.

Una scena spicca per la sua follia e insieme per il suo essere da incubo. Lang ha il compito di recuperare qualcosa che metterà in moto un pezzo della trama: è metà MacGuffin e metà ricompensa di una missione secondaria. Ma il nostro uomo deve entrare in una “tempesta di probabilità” per averlo. “Sei nella scatola di Schrödinger”, gli viene detto, “e tu sei il gatto”. Per farla breve, incontra milioni di altri Ant-Men da ogni possibile linea temporale, e questo gli consente di scalare una torre virtuale di Scott per avvicinarsi all’obiettivo. Quasi si consuma mentre quella legione di Lang lo tira giù nel tentativo di andare su. Sentitevi liberi di scrivere qui la vostra metafora.

Paul Rudd (Scott Lang/Ant-Man), Kathryn Newton (Cassandra “Cassie” Lang) ed Evangeline Lilly (Hope Van Dyne/Wasp). Foto: Marvel Studios/ Disney

Una formica può trasportare 10-15 volte il suo peso corporeo, eppure, come film pensato per preparare il prossimo arco multi-film/tv in due fasi, Quantumania è ancora schiacciato dal dover sopportare troppi oneri del franchise. L’accumulo di incidenti precedenti nel MCU che devi conoscere per capire ciò che sta accadendo è superato solo dall’enorme quantità di impalcature che questo threequel ha il compito di mettere insieme per il futuro. Il suo scopo è quello di aiutare a inaugurare una nuova coraggiosa era. Allora perché sembra che sia semplicemente un altro prodotto che esce da una catena di montaggio, un’altra prova del fatto che – dopo tutte le riprese e i saluti allo scadere dei contratti – questo universo probabilmente non abbia più niente di interessante da dire?

Un cinico citerebbe semplicemente una mentalità “troppo grande per fallire”, dicendo che qualunque cosa Marvel e Disney mettano in campo dominerà il box office a prescindere. Ma il problema qui sembra più profondo, come se la sindrome da affaticamento da supereroi da parte del pubblico avesse contagiato anche quelli che stanno dietro la macchina da presa. I poteri che diversi anni di narrativa hanno tracciato e, date le ultime new entry nella loro soap opera sui supereroi, pure loro sembrano un po’ stanchi. Fino a quando non arriverà un nuovo vento creativo, gli spettatori occasionali e i fanatici potrebbero dover semplicemente continuare a sopportare capitoli filler eccessivamente familiari e frustranti come questo. Quantumania ruota attorno a un potente cattivo che vuole controllare il tempo. Ma il film stesso il tempo lo sta semplicemente ammazzando.

Da Rolling Stone USA

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