I film sono un mezzo assolutamente impareggiabile, quando si tratta di dare al mondo la possibilità di ammirare donne desiderabili. Ciò in cui però la settima arte è stata notoriamente pessima è esplorare il concetto di desiderio femminile, in tutte le sue complessità e complicazioni segrete e oscure. È qui che entra in gioco Babygirl (dal 30 gennaio nelle sale italiane, ndt). Esplorando la relazione sessuale tra l’amministratrice delegata di una grande azienda e il suo giovane stagista, che finisce per trovare la libertà nelle dinamiche della sottomissione, questo dramma della regista olandese Halina Reijn si appoggia fortemente alle strutture di potere inerenti a quei contesti. La domanda diventa subito: quale parte detiene veramente il potere e quale trae piacere dall’arrendersi e dal cederlo?
Quando facciamo la conoscenza Romy, la dirigente di una società tecnologica interpretata da Nicole Kidman, è nel bel mezzo di un rapporto intimo con il marito, il regista teatrale Jacob (Antonio Banderas). Dopo essersi scambiati le parole più dolci dopo un rapporto sessuale, Romy si allontana silenziosamente nell’altra stanza e si masturba furiosamente davanti a un porno online. Ama suo marito, le sue due figlie adolescenti, la sua azienda che costruisce robot simili a quelli che vediamo nei magazzini di Amazon, il suo elegante appartamento di New York e la casa di campagna di famiglia. Ma la soddisfazione, quella relativa alla conoscenza carnale, le sfugge. Anche le istruzioni specificatamente impartite a letto si risolvono in imbarazzo e frustrazione.
È qui che entra in scena Samuel (Dickinson, che probabilmente causerà turbamenti in molte spettatrici). Prima ancora che si incontrino formalmente, Romy lo nota per strada mentre costringe un cane aggressivo a sedersi. C’è qualcosa nel modo in cui lui piega l’animale selvatico alla sua volontà che la incuriosisce. Più tardi, in ufficio, Samuel fa un commento sfacciato durante la presentazione del gruppo di stagisti e, durante un incontro a tu per tu, fa capire che ciò che lei vuole veramente non è controllare, ma essere controllata. È inappropriato, ma non impreciso. Durante un aperitivo di lavoro in un bar, Samuel le manda un bicchiere di latte. Lei lo trangugia. Ben presto, lui le fa letteralmente leccare quella stessa bevanda da un piattino come un gattino. E i preliminari tra padrone e serva sono appena iniziati.
Il film precedente di Reijn era la commedia horror “millennial” Bodies Bodies Bodies del 2022, ma è il suo film d’esordio Instinct – Desiderio pericoloso (2019), in cui Carice van Houten, volto di Game of Thrones, è una terapista carceraria infatuata di un assistito detenuto per stupro, a creare un precedente per questa visione sovversiva dell’aprire il vaso di Pandora della repressione sessuale. Babygirl tenta di attraversare abilmente questo campo minato senza un senso di giudizio puritano o voler ansimare pesantemente, ma mettendo altrettanta enfasi sul bisogno di Romy di questo trasferimento di potere per arrivare alle sue zone erogene. Di tanto in tanto inciampa sui suoi stessi tacchi a spillo, e a volte si ha la sensazione che sia a un passo dal diventare 9 settimane e ½ – Edizione XXI secolo: potrebbe fare per i piattini di latte quello che il film di Adrian Lyne ha fatto per il ripieno della torta di ciliegie.
Tuttavia, è Kidman – e in particolare la sua volontà di andare fino in fondo nel rappresentare una relazione sessuale che implica umiliazione, vergogna e infine soddisfazione – a impedire che questo dramma si trasformi in un film erotico come tanti. L’attrice non è mai stata timida nel ritrarre personaggi i cui desideri si spingono occasionalmente nel regno del kink. Si tratta dell’attrice che si è tuffata a capofitto in Eyes Wide Shut, Il sacrificio del cervo sacro, Destroyer e The Paperboy, dopotutto. E anche se l’aggettivo “coraggiosa” viene usato con molta disinvoltura relativamente alle performance sullo schermo, Kidman è una dei pochi a potersi guadagnare davvero questa qualifica. È possibile tracciare il percorso del suo personaggio dalla reticenza e dalla confusione per aver ceduto ai suoi bisogni, alla rabbia verso sé stessa anche solo per aver preso in considerazione l’idea, fino al senso di liberazione libidinosa una volta che l’ha fatto, al mix di sollievo e vergogna per averlo fatto, e all’immediata sensazione di volerne ancora. Abbiamo detto che il tutto ci viene mostrato senza una parola, in una sequenza in cui il suo personaggio raggiunge a malincuore l’orgasmo?
Non è solo il fatto che Kidman ci mostri l’appagamento sessuale di questa donna, ma anche il modo in cui ci fa vedere tutto ciò che accade intorno, nel modo più intimo e significativo. Ecco perché questa sembra l’interpretazione più nuda che questa star di prima grandezza ci abbia mai regalato, con l’esposizione fisica che è l’aspetto meno vulnerabile di tutto ciò che vediamo. Il modo in cui riesce a bilanciare il conflitto interiore di questa donna, per non parlare del senso di pericolo che fornisce il vero brivido erotico, non vacilla mai o non è meno che febbrile, anche quando la sceneggiatura non le fa alcun favore.
Sin dal titolo, Babygirl sembra progettato per far discutere piuttosto che sghignazzare. Avvierà conversazioni sul consenso, sulla feticizzazione del controllo e sul brivido proibito di superare i propri limiti, molto più della solita cougarsploitation. Persino il finale, che ci vuole insegnare una lezione, propende per il potere curativo della devianza sotto la supervisione di un “driver” designato. Ma Kidman ti fa sentire come se questa non fosse solo una provocazione, ma anche un allettante “what if“. Come dire: e se un film prendesse sul serio la sessualità femminile al di fuori del vanilla sex? E se la materia prima di un “film per adulti” potesse essere trasformata in qualcosa di unico come un film per veri adulti?