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‘Bad Boys: Ride or Die’ non è un sequel, ma il tentativo di Will Smith di farsi amare ancora

A quattro anni dall’ultimo episodio torna la saga buddy-action starring i poliziotti di Miami. Che però diventa una sorta di riabilitazione della carriera fu principe di Bel-Air finita… a schiaffi. E ora è lui a prenderseli sullo schermo. La recensione

Foto: Frank Masi/Columbia Pictures

Will Smith non era ancora una vera e propria star del cinema quando il mega-produttore Jerry Bruckheimer lo scritturò nel 1995 per un buddy movie d’azione a sfondo poliziesco. Era ancora più noto come “principe di Bel-Air” come il re dei blockbuster estivi; rispetto alla sua controparte Martin Lawrence, che aveva iniziato da pochi anni a condurre Def Comedy Jam e stava spopolando nella sua sitcom Martin, Smith era probabilmente la vera scommessa. Mancava più di un anno all’Independence Day. Ma la gente ha capito subito che quel ragazzo di Philadelphia poteva reggere il confronto con il mondo del regista Michael Bay fatto di auto veloci, pistole pronte a sparare, montaggio rapidissimo ed enormi esplosioni. Aveva una grande personalità, e in più lui e Lawrence avevano un’incredibile chimica sullo schermo. Naturalmente Bad Boys fu un grande successo. Ed era solo un’anticipazione di quello che sarebbe successo in seguito.

Quando Bay ha messo in piedi un sequel nel 2003, Smith aveva già il franchise di Men in Black in corso, una nomination all’Oscar per l’interpretazione di Muhammad Ali, una carriera musicale da record, diversi film al primo posto del botteghino, un noto flop (RIP all’universo cinematografico Wild Wild West, nato morto) e una popolarità globale. Lawrence veniva invece da anni decisamente meno fortunati. I loro ruoli in pubblico si erano invertiti, ma il legame sullo schermo era rimasto. Idem per la formula del film. Il Mike Lowrey di Smith era un playboy con il gusto della bella vita; il Marcus Burnett di Lawrence un padre di famiglia timorato di Dio. I cattivi ragazzi della polizia di Miami arrestavano i cattivi veri. La città era bella e tutto filava liscio.

Quando il duo di registi Adil El Arbi e Bilall Fallah ha ripreso in mano la serie per un terzo film quasi due decenni dopo, sapeva di non dover rovinare una cosa buona. Battute, spari, primi piani, neon, tutto così replicato all’infinito. I film di Bad Boys sono pensati per essere discreti come uno strip club di Miami il sabato sera, e questi ragazzi avevano stile – seppur tamarrissimo – da vendere. Smith e Lawrence erano più vecchi, ma “non troppo vecchi per queste stronzate”. Le battute e le sequenze davano ancora la sensazione di stare assistendo a un incrocio tra una commedia della serie Road to… con Bing Crosby e Bob Hope e un episodio di Arma letale. Bad Boys for Life è arrivato nelle sale nella zona morta di gennaio invece che in piena estate, il che non era esattamente un segno di fiducia nel progetto. Ma visto che eravamo nel 2020 e che la stagione cinematografica estiva e l’industria del cinema stavano per crollare, si potrebbe giurare che avessero una sfera di cristallo a portata di mano.

Il che ci porta al giugno del 2024, e nella fattispecie all’uscita del quarto team-up – nelle sale italiane dal 13 giugno – tra i detective Lowery e Burnett… e caspita, da dove cominciamo? Lawrence è ora considerato come un anziano “statista” della stand-up comedy e come l’uomo dietro un’amata sitcom degli anni Novanta, dunque ammantato da un alone di nostalgia. Smith… be’, diciamo che ha un passato – anche recente – piuttosto noto. Lui lo sa, e sa che tu lo sai, e tu sai che lui sa che tu lo sai, eccetera. È successo qualcosa. I registi, le comparse, i vostri amici e vicini di casa e forse anche gli alieni in visita dallo spazio sono ben consapevoli del fatto che un certo elefante si aggira in questa stanza che ospita le sparatorie, gli inseguimenti in auto, le scene ambientate nei locali notturni e le battute sagaci. Smith decide quindi di dare una nocciolina a questo metaforico pachiderma.

Succede verso la fine di Bad Boys: Ride or Die, molto tempo dopo che la posta in gioco è stata stabilita, i personaggi sono stati messi in gioco e la trama, tipicamente strampalata, ha assestato i suoi colpi di scena. Il perennemente single Mike Lowery si è sposato. Il suo partner Mike Burnett ha avuto un infarto e l’esperienza di pre-morte lo ha cambiato. Per non parlare della scelta di “riportare in vita” personaggi precedentemente uccisi come il capitano Howard di Joe Pantoliano. Il loro defunto boss è stato trascinato nel fango quando il cattivo di questa “puntata”, interpretato dall’Eric Dane di Euphoria, ha fatto credere che il capo fosse sul libro paga del cartello. I bad boys devono ora dimostrare la sua innocenza. Quando un agente dell’FBI – una totale caricatura dell’arroganza caucasica – deride Lowery, il poliziotto inizia a urlargli contro con una voce che fa venire in mente un controverso bisticcio avvenuto al Dolby Theatre di Los Angeles qualche anno fa.

Ma non è questa la nocciolina. Tutto ciò avviene dopo che il duo protagonista e l’Armando interpretato da Jacob Scipio – l’ex rampollo del cartello che ha cercato di uccidere Mike in Bad Boys for Life ma che è anche il figlio di Mike stesso, nel caso in cui abbiate dimenticato questo particolare punto della trama da soap-opera – sono sopravvissuti a un incidente in elicottero, sono diventati fuggitivi inseguiti da un U.S. Marshal che è anche la figlia del capitano Howard (Rhea Seehorn) e hanno ingannato dei bifolchi di provincia cantando la loro versione immaginaria di una canzone di Reba McEntire e si sono riuniti con gli MVP di AMMO interpretati da Vanessa Hudgens e Alexander Ludwig. Tiffany Haddish ha già fatto il suo cameo. E anche DJ Khaled, che è ancora arrabbiato per quello che gli è successo nel terzo film. Le persone che sapevate sarebbero state prese in ostaggio sono state prese in ostaggio. Siamo riusciti ad assistere a un’inquadratura che dura ben 12 secondi, battendo di quattro secondi il precedente record della serie per il frame più lungo. L’equivalente della pistola di Čechov è stato già messo in qualche punto della trama, e per “pistola” intendiamo naturalmente un alligatore albino di cinque metri di nome Duke.

I due protagonisti stanno per avere una resa dei conti finale con tutte le fazioni che hanno reso la loro vita un inferno. Lowery ha già sofferto di un attacco di panico una volta, e ora sente che sta per arrivare di nuovo. Tutte le persone che ama sono in pericolo, tutto ciò che gli è caro è in pericolo, e per una frazione di secondo sembra che la metà più sfacciata della coppia stia per cedere in un momento chiave.

Martin Lawrence e Will Smith in una scena del film. Foto: Frank Masi/Columbia Pictures

Poi – e scusate se è uno spoiler – un personaggio dà uno schiaffo a Mike. Lo schiaffeggia con violenza. E poi lo fa di nuovo. E ancora. E un’altra volta ancora. Will Smith viene schiaffeggiato quattro volte sullo schermo. Il pubblico alla nostra proiezione ha sussultato. Poi hanno riso, forte quasi quanto quegli schiaffi, e hanno esultato urlando quando Smith, Lawrence e il resto dei buoni hanno fregato i cattivi.

E improvvisamente capisci che Bad Boys: Ride or Die non è solo il sequel di una popolare serie di film, ma anche un tentativo di reset della carriera del suo protagonista. È un promemoria del fatto che Will Smith è ancora una star del cinema che non chiederà il vostro perdono, né si farà in quattro per farvi dimenticare quello che è successo a una cerimonia di premiazione non molto tempo fa. Tuttavia, lo vedrete fare le cose da film d’azione che sa fare meglio. Vi farà ridere vedere lui e Lawrence che si prendono in giro a vicenda, anche quando le battute non sono così divertenti. E non potrete non riconoscere che, come gli altri film di Bad Boys, questo è l’equivalente cinematografico di un fast food squisitamente preparato, un intrattenimento ipocalorico che la gente ama mangiare perché è a suo modo gustosissimo.

Ricorderete che l’uomo che ha dato quello schiaffo in pubblico si è poi preso uno schiaffo a sua volta, ma ora quell’uomo vuole dirvi che è tornato, in una action comedy e estiva di grana grossa, piena di pallottole, Porsche, gesti eroici e quel tipo di risate da matinée-idol che si associano ai film con la F maiuscola. È un primo, efficace passo sulla strada della riabilitazione professionale. Probabilmente Bad Boys: Ride or Die andrete a vederlo anche voi, non tanto per curiosità quanto perché cosa farete quando un divo che vi chiede di amarlo di nuovo, senza sembrare che vi stia chiedendo di amarlo di nuovo, verrà a cercarvi?

Da Rolling Stone US

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