È difficile vendere una bambola vecchia di decenni e farci chiedere perché dovremmo comprare un giocattolo che si porta dietro un bagaglio tanto pesante (metaforicamente parlando, ovviamente: il bagaglio in senso letterale viene venduto separatamente). I creatori di Barbie (nelle sale dal 20 luglio) lo sanno. Sanno che noi sappiamo che si tratta di un tentativo della Mattel di trasformare la sua bomba bionda, il suo fiore all’occhiello, in una vera e propria proprietà intellettuale, che troverete in un multisala vicino a voi per gentile concessione della Warner Bros. E sono anche ben consapevoli che l’annuncio che Greta Gerwig avrebbe co-sceneggiato e diretto questo film sulla bambola dalle gambe lunghissime adorata da tutti, che ha imposto standard di bellezza ultraterreni, lo ha improvvisamente trasformato da “doppio incasso aziendale” a “doppio incasso aziendale con un’altissima percentuale di arguzia, ironia e qualcuno che cita Betty Friedan e/o Rebecca Walker”.
Da un giorno all’altro l’entusiasmo dei fan, dei critici cinematografici e dei fan dei critici cinematografici è stato travolgente, ed è cresciuto esponenzialmente una volta che le foto di Margot Robbie e Ryan Gosling, aka Barbie e Ken che pattinavano di rosa fluo vestiti (e abbinati), sono trapelate online. Non si tratta di un grossolano tentativo di spacciarci dei giocattoli. Sì, ok, c’è pure quello, perché in fondo è un film su Barbie. Ma la regista di Lady Bird non si è limitata a seguire la linea. Aveva il suo messaggio da lanciare, contrabbandato sotto una patina di nostalgia del marchio dai toni pastello. La quarta ondata di femminismo sta arrivando dentro la Malibu Dreamhouse!
In altre parole, c’era una sorta di promessa intrinseca sul fatto che non avremmo rischiato di vedere un spot pubblicitario di due ore. E Barbie sicuramente mantiene quella promessa, che però non ci ha preparato del tutto a quello che, ad oggi, sembra essere il blockbuster più sovversivo del XXI secolo. È una storia di autorealizzazione filtrata attraverso uno spirito giocoso e la sensazione che nel mondo reale non ci sia solo divertimento: la storia di una bambola che si sposta continuamente nel territorio di Ibsen. Barbie è ancora una calamita per le polemiche su cosa sia l’ideale femminile, così come una madeleine proustiana per più generazioni, la cui infanzia consisteva nel vestirla come l’ideale di donna adulta. Gerwig vuole onorare tutti quei ricordi, ma al tempo stesso cerca di esplorare messaggi contrastanti. Vuole consegnarci qualcosa in cui le parole “madeleine proustiana” siano pronunciate con sincerità proprio da quell’oggetto. Ed è un compito difficilissimo per un’icona alta nemmeno 30 centimetri.
Ogni mattina Barbie (Robbie) si sveglia nella sua bellissima villa “aperta”, saluta la legione di altre Barbie nelle loro bellissime ville “aperte” di Barbieland e inizia la giornata con un sorriso. Nel primo pomeriggio ascolta la Barbie presidente (Issa Rae) prendere importanti decisioni governative, guarda Barbie giornalista vincere un Barbie Pulitzer, sostiene Barbie giudice della Corte Suprema che detta legge per il bene di tutte le Barbie. Poi è tempo di andare in spiaggia, dove Ken (Gosling) compete all’infinito per l’attenzione di Barbie contro altri Ken (Simu Liu e Kingsley Ben-Adir). La notte invece è sinonimo di feste disco-dance con coreografie stravaganti, in cui a mettere la musica c’è ovviamente la Barbie DJ che schiaccia play sul pezzo di Dua Lipa (nota a parte merita la colonna sonora sonora fatta da big name: Sam Smith, Billie Elish, Nicki Minaj, Lizzo e molti altri) e – con grande disappunto di Ken – pigiama party per sole ragazze. Alla fine lo sfondo di cartone ruoterà dalla luna al sole, ed è tempo di un altro giorno nell’utopia di Barbieland.
Una sera però, nel bel mezzo di uno dei loro fantastici sing-along quotidiani, Barbie sbotta: “Ragazzi, avete mai pensato di morire?”. Nessuno, men che meno il soggetto radioso e felice che ha pronunciato quelle parole, ha idea da dove venga quella domanda guastafeste. La mattina dopo la doccia immaginaria di Barbie è fredda. Il suo latte immaginario è cagliato. La vivacità collettiva dei suoi amici e vicini sembra solo evidenziare il suo inspiegabile cattivo umore. I suoi piedi, sempre perfettamente arcuati e pronti per i tacchi a stiletto, improvvisamente cadono piatti sul pavimento. E poi si trova faccia a faccia con quello che può essere descritto solo come il Thanos del Barbie Cinematic Universe: la cellulite.
Così la Barbie Alpha decide di chiedere consiglio a Weird Barbie (Kate McKinnon), una bambola solitaria che vive nel castello cubista sulla collina e non è più la stessa da quando la sua proprietaria “ha giocato un po’ troppo con lei”. Dice alla nostra che deve lasciare Barbieland per avventurarsi nel mondo reale tramite una barca, un camper, un razzo e una motoslitta, vestita naturalmente con abiti adatti a ogni diverso mezzo di trasporto. Una volta arrivata nell’altrettanto “plastificata” città di Los Angeles, deve trovare la ragazzina che gioca con lei. Inaspettatamente, e sperando di impressionare l’amore della sua vita, anche Ken si unisce al viaggio.
Una volta arrivata nel nostro mondo, Barbie si imbatterà in molestie sessuali e disparità di genere, conoscerà i vantaggi del pianto, il CEO di Mattel (Will Ferrell) e la madre (America Ferrara) e la figlia (Ariana Greenblatt) che hanno introdotto tutti quei pensieri malsani nel suo cervello. Ken scoprirà i cavalli, i SUV e la mascolinità tossica. Lei torna con i suoi nuovi amici umani a Barbieland in uno stato di frastornata illuminazione. Lui invece, come un Ken incel in piena regola, per diffondere il vangelo della machitudine.
Greta Gerwig è una fuoriclasse che non ha mai perso il contatto con il suo essere bambina, motivo per cui il suo capolavoro coming-of-age, Lady Bird (2017), appariva così schietto, nella sua rabbia adolescenziale, e il suo singolare adattamento di Piccole donne (2019) era una lettera emozionata di una fan a Jo March quanto un period piece ai livelli del teatro più prestigioso. Possiamo sentirla che si riconnette alla bimba che passava i pomeriggi a vestire le bambole, all’adolescente che liquidava la cosa come infantile e alla ventenne che iniziava a vedere le Barbie come figure potenzialmente problematiche. Sotto tutto quello scintillio e quella meraviglia (e fidatevi quando scrivo che il direttore della fotografia Rodrigo Prieto e l’intero team di scenografi hanno superato se stessi nel creare l’equivalente visivo di un set di Barbie che prende vita), sullo schermo si tiene una sorta di summit tra tutte quelle versioni più giovani della regista, mediato da una Greta più adulta e saggia. Per non parlare dell’equilibrio tra kitsch, meta-narrazione e apprezzamento genuino che Gerwig riesce a creare. Ci sono abbastanza riferimenti per ricordare al pubblico la storia della Barbie-cultura e i suoi personaggi secondari, vedi Allan, il maschio beta del Barbieverse interpretato da Michael Cera – e in più, qualcuno forse ricorderà, un po’ curiosità sulle decisioni più imbarazzanti della Mattel (parliamo di te, Skipper Diventata Grande).
Probabilmente questo sarebbe stato sufficiente per far quadrare i conti dello Studio e dell’azienda di giocattoli; aggiungete un po’ di chicche da nerd del cinema come quell’ingegnoso preambolo con la parodia di 2001: Odissea nello spazio, assicuratevi che Margot Robbie e Ryan Gosling centrino quella solarità senza preoccupazioni e indossino couture delle varie epoche, e boom! Il tintinnio dei soldi che si accumulano sovrasterà gli hater. E invece Barbie aggiunge livelli di intelligenza e domande non solo rispetto alla sceneggiatura, co-firmata da Noah Baumbach, ma anche alla narrazione stessa. Anziché voltare le spalle al bagaglio di cui parlavamo, il film lo disfa. Cosa c’era in queste bambole che amavamo e cosa c’è in loro che ora provoca reazioni così divisive? Non buttiamo semplicemente Barbie e Ken nel mondo reale del 2023, lasciamo che mettano in dubbio cosa significhi essere esempi plastici che si scontrano con la mentalità moderna sulla femminilità e con i concetti di mascolinità neanderthaliana. Avrete ancora la Barbiemania, ma dovrete vedervela anche con i buchi lasciati nella cultura pop al suo passaggio. Questo è un film che vuole avere la sua Dreamhouse, ma pure raderla al suolo.
Per fortuna Robbie e Gosling sono entusiasti di tutto questo, che si tratti di fare un occhiolino al pubblico, esibirsi in un numero musicale old school o piazzare un sacrosanto “vaffanculo” al patriarcato, sempre graziosamente fasciati in un outfit rosa. Entrambi centrano perfettamente il loro compito e ne comprendono tutti i livelli. Il che aiuta, perché c’è più di un film dentro questo racconto epico di Doll Revolution, tanto da diventare quasi una trilogia. La maggior parte del mix-and-match funziona: la commedia “alta” (un po’ meno le scene di Will Ferrell, che sorprendentemente sono piatte), il dramma madre-figlia, il viaggio dell’eroina e le spassose frecciatine a Push dei Matchbox Twenty (considerata controversa per il testo, che secondo molti critici esaltava la violenza domestica, ndt). A volte vuole includere così tanti elementi da non riuscire a valorizzarli tutti. Quando, di tanto in tanto, il sottotesto diventa testo – c’è un discorso sui paradossi dell’essere donna che America Ferrera ci “vende” alla grande, ma che sembra comunque un monologo un po’ programmatico – è difficile non pensare di assistere a una lezione universitaria, anche se vi troverà di sicuro d’accordo. Potete già sentire i troll digitare sulle tastiere, pronti ad accusare il film di usare Barbie per corrompere giovani menti.
Il pensiero critico, ovviamente, non è corruzione della mente. E non lo è nemmeno sottolineare che si può amare qualcosa e riconoscere che ha dei difetti o che è diventato problematico nel tempo, e quindi poi sforzarsi di sistemarlo. Non è sicuramente una brutta cosa trasformare un potenziale franchising, costruito o meno su una linea di bambole, in qualcosa che rifiuta di zittirsi o assecondare il minimo comune denominatore. E la vittoria sta nel vedere Gerwig, Robbie e Gosling – insieme a un cast di supporting e a una troupe che si divertono all’idea di partecipare a una festa pro Barbie – affrontare i temi di sessualizzazione, capitalismo, involuzione sociale, diritti umani e auto-empowerment con la scusa di un viaggio nella memoria che riattualizza il marchio? È abbastanza per farci venire le vertigini. Non stavamo scherzando quando abbiamo scritto “sovversivo”. E lo stesso vale per “blockbuster”. Un grande film può ancora avere grandi idee, anche nel 2023. E anche un film su Barbie. Anzi: soprattutto un film di Barbie.