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‘Blink Twice’: tra ‘Scappa – Get Out’ e MeToo, è nata una regista (e si chiama Zoë Kravitz)

L’attrice, all’esordio dietro la macchina da presa, fa sua la lezione dell’instant classic di Jordan Peele, e confeziona una satira horror piena di sorprese. A cominciare dalla performance di Channing Tatum

Foto: Metro-Goldwyn-Mayer

Ci sono alcune regole fondamentali che ogni personaggio cinematografico dovrebbe rispettare: non andare in cantina; non scendere mai dalla barca; non mettersi mai contro la famiglia. E, per l’amor del cielo, mai e poi mai andare su un’isola privata dove un milionario tech e i suoi amici tossici amano rilassarsi, anche se c’è tanta psilocibina in microdosi e il proprietario assomiglia a Channing Tatum. Anzi: soprattutto se assomiglia a Channing Tatum.

Chiariamo il perché tra un attimo, ma meno si sa di Blink Twice all’inizio, meglio è. Il debutto alla regia di Zoë Kravitz è estremamente attento a quante informazioni vengono fornite e quando, per rendere ancora più efficace la crescente paranoia e l’escalation di orrori. Questo modus operandi è uno dei tanti motivi per cui il thriller intelligente e ben confezionato di Kravitz sarà probabilmente paragonato a Scappa – Get Out, e se l’instant classic di Jordan Peele ha avuto un’influenza pazzesca sugli horror “a sfondo sociale”, ha lasciato un’impronta particolarmente profonda su questo racconto satirico e altamente inquietante di spazi “sicuri” che si dimostrano tutt’altro. Pochi film hanno sfruttato così bene la struttura di quel film precedente – e, cosa più importante, si sono ispirati alle sue atmosfere in modo così astuto – come questo vero e proprio smantellamento della mascolinità tossica. E si prova la stessa sensazione guardando un attrice-regista che si cimenta in un territorio difficile con tale sicurezza e brio fin dal suo esorido. Kravitz sa esattamente come organizzare il tutto. Ed esattamente come buttarlo giù.

Torniamo a Tatum. Nel film interpreta Slater King, un pezzo grosso della Silicon Valley che è un po’ Jack Dorsey, un po’ Elon Musk e un bel po’ Magic Mike. Qualche tempo fa, King è stato accusato, tra le altre cose, di comportamenti non appropriati per un amministratore delegato e di aver creato ambienti di lavoro ostili. Ha girato un video di scuse di rito e ha fatto tutta la Via Crucis della redenzione prima di sparire. Quando il magnate dell’industria tech è tornato, ha dichiarato di essere un uomo completamente nuovo. La terapia e l’esame di coscienza sono stati d’aiuto. Così come l’acquisto di un’isola privata dove King potesse rilassarsi.

Ha anche creato una fondazione e il gala annuale dell’organizzazione è il posto in cui Frida (Naomi Ackie) intende fare la sua mossa. È un po’… ossessionata da King. Quando lavorava come cameriera durante l’evento dell’anno precedente, Frida ha chiacchierato un po’ con l’uomo in questione – ha detto che gli piacevano le sue unghie! – e il suo capo l’ha avvertita di non essere così informale. Ma Frida ha comprato degli abiti da sera per lei e per la sua compagna di stanza, Jess (Alia Shawkat), e dopo essersi cambiate le due si intrufolano nella sezione V.I.P. Tutto va bene finché il tacco di Frida non si rompe. Cenerentola cade a terra. E il Principe Azzurro in persona la prende in braccio.

I due parlano fino a notte fonda, e a quel punto King chiede: “Tu e Jess vorreste venire con noi sull’isola?”. Il “noi” in questione sono il braccio destro di King, Vic (Christian Slater), uno chef professionista (Simon Rex), un amico attore (Haley Joel Osment), un ragazzo prodigio della tecnologia (Levon Hawke), la guardia del corpo di King (Chris Costa) e l’assistente di King, Stacy (Geena Davis). A questi si aggiungono anche Sarah (la Adria Arjona di Hit Man – Killer per caso), una star dei reality grazie a una lunga partecipazione a Hot Survivor Babes; Camilla (Liz Caribel), una sviluppatrice di app che ha appena sfondato; e Heather (Trew Mullen), l’autoproclamata “regina delle canne”.

Una volta che tutti arrivano in questo paradiso perduto, che tutti i dispositivi di comunicazione sono stati confiscati (“È meglio senza telefoni”, dice King) e che le giovani donne hanno indossato i loro abiti estivi, iniziano i festeggiamenti. I pomeriggi sono dedicati al relax a bordo piscina sorseggiando cocktail. La sera si mangiano piatti da ristorante stellato. Le ore piccole comportano l’uso di allucinogeni e altri stupefacenti. Le mattine sono dedicate a sontuosi brunch post-sbornia. E avanti così, giorno dopo giorno. Vic continua a girare con una macchina fotografica Polaroid, documentando il weekend. “Tutti dicono: mettete da parte i ricordi!”, grida, mentre la banda si mette in posa per una foto di gruppo.

È in quell’esatto momento che Kravitz fa cadere la carta del titolo in un flash quasi subliminale: il fatto che il film prenda il nome da una battuta che Frida scambia con il terapeuta di King (Kyle MacLachlan) sul battere due volte le palpebre per mostrare che è in pericolo è solo il primo indizio che qualcosa di sinistro potrebbe accadere in quel paradiso. Ce ne sono altri. Lo staff di servizio sembra riconoscere Frida. Una cameriera (María Elena Olivares) che si occupa dei serpenti dell’isola – perché ogni giardino dell’Eden è infestato da serpenti – continua a chiamarla “Coniglietto Rosso”. Una macchia sul vestito di Frida scompare magicamente prima che lei vada a letto. Nessuno sembra sapere da quanto tempo sono lì, né quando se ne andranno. Ben presto Jess dichiara di voler tornare a casa. La mattina dopo, Jess è misteriosamente scomparsa. Ancora più strano: nessuno ricorda che qualcuno di nome Jess sia mai stato lì.

Da questo momento in poi, Blink Twice inizia ad aumentare il fattore paranoia, passando da una leggera ebollizione a un’ebollizione completa, e quelli che sembrano dettagli insignificanti o commenti fuori luogo si rivelano indizi nascosti in bella vista. Tutto ciò che abbiamo menzionato finora viene rivelato nei trailer del film, ma anche i punti salienti della campagna di marketing risultano estremamente diversi a una seconda visione. Alcune cose sono comunque ovvie fin dall’inizio, come il fatto che Kravitz ha un senso incredibile di come giocare con il pubblico e mantenere la tensione. È una realizzatrice di thriller nata, sa quando appoggiarsi alle convenzioni del genere e quando modificarle, come muovere la macchina da presa per creare suspense e come creare un’inquadratura in un modo che fa saltare i nervi. Il modo in cui lei e il montatore “tagliano” continuamente a metà canzone, a metà sequenza o a metà battuta per disorientare gli spettatori aggiunge una buona dose di terrore. (Il fatto che Kravitz abbia scritto il film insieme a E.T. Feginbaum prima che il #MeToo fosse un tormentone rende l’uso di elementi horror ancora più profondo. È una reazione personale profondamente indignata concepita prima della reazione pubblicamente riconosciuta.)

Lo stesso vale per Ackie, che grazie a Blink Twice può sperare in una riconsacrazione. Già vista nei panni di Whitney Houston nel biopic Whitney – Una voce diventata leggenda, l’attrice britannica è stata afflitta dalla maledizione che colpisce la maggior parte delle star dei biopic musicali, in quanto è stata giudicata non tanto per il modo in cui ha realizzato una performance quanto per l’accuratezza: quanto era Whitney? Qui, ad Ackie viene semplicemente permesso di mettersi al centro dell’attenzione creando una donna complessa bloccata in… be’, diciamo qualcosa di diverso da una tipica vacanza da sogno. E liberata dalla costrizione di dover resuscitare l’amata leggenda defunta, ha la possibilità di mostrare quanto sia veramente un’attrice sorprendente. La sua Frida parte come fangirl impacciata e svenevole. Dopo aver capito cosa sta realmente accadendo, la nostra eroina deve nascondere il fatto che lo sa, mentre cerca di pianificare una strategia di fuga. Poi Ackie scatena la guerriera che è in lei, e a quel punto… state attenti.

Si può menzionare ogni singolo membro dell’ensemble per il suo lavoro, dall’amica interpretata da Shawkat al bro di Slater; personalmente, nomineremmo Arjona come most valuable player, per l’uso che fa sia delle capacità comiche che dell’attitudine a non farsi fregare che ha mostrato in Hit Man. La vera sorpresa, però, è Channing Tatum, una star del cinema che ha sempre avuto l’aspetto dell’atleta del liceo da evitare, ma che ha studiato un personaggio che è la maschera del ragazzo sensibile. Porta con sé un’intrinseca simpatia che, non diversamente dai Mr. Nice Guys che fanno la parte dei coglioni mascherati in Una donna promettente, ha lo scopo di disarmare le difese: quelle di Frida e le vostre. Non è uno spoiler dire che il suo Slater King ha dei segreti, ma solo quali sono. E quando li scoprirete, sarete già caduti volontariamente nella trappola del film, soprattutto grazie al suo bel pifferaio magico, in perfetta sintonia con il suo lato femminile.

Alcuni non crederanno del tutto al terzo atto di Blink Twice, che si basa su alcune delle precedenti lacune logico-narrative e mette a dura prova alcune nozioni chiave di sospensione dell’incredulità. Una volta che tutte le carte sono state scoperte, Kravitz opta per un attacco che privilegia il trauma da corpo contundente, con una forte enfasi su quest’ultima parola. È sicuramente catartico, anche se il messaggio che sta dietro a tutto questo diventa leggermente confuso prima della coda diciamo più “felice”. Ma ci sono così tante battute taglienti, così tanta tecnica hitchcockiana in mostra, che non si può liquidare questo “esercizio dell’orrore” come un urlo di rabbia troppo edulcorato. Anche per gli standard dei recenti film sul tema (vedi Glass Onion – Knives Out, Saltburn, The Menu), colpisce dove fa male. Tuttavia, potrebbe essere necessario vederlo più di una volta.

Da Rolling Stone US

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