Per la storia pruriginosa
La storia (vera) della maîtresse più famosa di Parigi ha la giusta dose di sesso e pettegolezzo capace di irretire qualsivoglia platea. Madame Claude, al secolo Fernande Grudet, è stata davvero la tenutaria dei casini d’alto bordo più celebri della capitale francese tra gli anni ’60 e ’70, nonché colei che ha potuto tenere in scacco per un decennio buono politici e divi affezionati alle sue “ragazze”. Il biopic ne ripercorre le gesta con diligenza e intelligenza, senza svelare troppo della vera protagonista della vicenda. Il che è insieme un bene e un male: ma ci arriveremo poi.
Perché non allunga il brodo come certe serie
Lo stesso giorno in cui “usciva” Madame Claude, su Netflix è arrivata The Serpent, miniserie BBC sulla parabola criminale di Charles Sobhraj (interpretato da Tahar Rahim). Non c’entra niente con la storia dei bordelli parigini, ma un po’ la ricorda: per storia nera e gossippara, personaggio oscuro al centro dell’intrigo, scenario d’antan. La differenza è che, mentre The Serpent si dilunga per otto (lunghissime) puntate, Madame Claude condensa tutto in meno di due ore. Qualcuno ancora pensa che i film possano raccontare una storia meglio di tante serie che spesso servono solo ad allungare il brodo: questa è una buona notizia.
Per la regia e il cast cinéphile
Un film d’autore francese tra i più visti su Netflix? Incredibile ma vero. Fa piacere che la piattaforma più danarosa del momento investa anche su nomi come quello di Sylvie Verheyde, lanciata in Italia dal bellissimo Stella (2008) e poi “smarrita” con le opere successive: solo Confessioni di un figlio del secolo del 2012, starring la strana coppia Charlotte Gainsbourg e Pete Doherty, è da poco disponibile su Prime Video. E anche il cast è zeppo di facce care ai cinéphile: dai bellocci d’auteur Pierre Deladonchamps (Lo sconosciuto del lago) a Paul Hamy (Mon roi – Il mio re), fino alla rivelazione Garance Marillier, nei panni (pochi) di Sidonie, la protégée della protagonista.
Per la ricostruzione Sixties
Impeccabile ricostruzione d’epoca tra hôtel particulier, café in cui “trattare” con politici e picciotti, alberghi di lusso, appartamenti di perfetto design 60s. Ma il dettaglio d’arredamento cult resta quello al centro della scena in cui Madame Claude insegna a una delle sue ragazze come lavarsi le parti intime: basta usare il bidet! Considerato che in Francia non sono così diffusi, è una licenza poetica o corrisponde a verità?
Perché è un film (dis)impegnato
Madame Claude è una storia, a suo modo, impegnata. In particolare sul ruolo delle donne nella società: la protagonista, figlia degli anni ’20, sostiene che saranno sempre gli uomini a governare il mondo; le ragazze più giovani pensano invece di poter sovvertire le regole patriarcali (e, in qualche misura, ci riescono). Ma è raccontata con un certo disimpegno: la protagonista non acquista mai una vera forza simbolica, il che resta una forza (di un cinema che ancora pensa che non debba essere sempre spiegato tutto allo spettatore) e un limite. Di Fernande, morta nel 2015 ormai lontana dal suo “business”, avremmo voluto forse sapere di più, invece il suo ritratto resta orgogliosamente “leggero”: di questi tempi non è un male, ma resta un po’ un peccato.