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Brandon Lee, vivere in eterno e morire per sempre

Moriva 30 anni fa l’attore figlio di Bruce Lee diventato mito grazie a un solo film: ‘Il corvo’. Maledetto come la sua (brevissima) vita

Foto: Miramax Films

“Believe in the Afterlife”. È stata la tragica e infelice frase di lancio del film Il corvo di Alex Proyas (1994, dal fumetto omonimo di James O’Barr), nonostante il protagonista Brandon Lee fosse già deceduto sul set e riportato in vita – sullo schermo – grazie al CGI. Gli effetti visivi (Dream Quest Images e Industrial Light & Magic) come “bacchette magiche” per completare il film, perché the show must go on.

“Credi nell’aldilà”. Pura antifrasi del reale (a meno che non intendiamo il cinema come aldilà): l’interprete principale era già stato ucciso durante le riprese di una scena. Un colpo di pistola che doveva sparare a salve partì davvero uccidendo l’attore, morto troppo presto come il padre Bruce.

Sono passati trent’anni dalla morte di quel ragazzo che ai “suoi” trent’anni non è mai arrivato. Brandon Bruce Lee (1965-1993), figlio della superstar delle arti marziali Bruce e della scrittrice Linda Lee Cadwell, è ancora vivo nella memoria di molti. In particolare, sopravvive nel ricordo di chi era ragazzo allora. Di chi all’epoca non si identificava con un Sistema, un modus vivendi, ingiustizie, istituzioni, conformismo, o con il “cinema di papà”. Icona-simbolo del dropout, del non integrato, del maledetto ribelle e romantico. Grazie a un solo film.

Esistono opere “maledette”? Qualcuno ci crede. Il corvo è tratto da un fumetto cult (inizialmente solo nel giro underground), cioè The Crow di O’Barr (ora dedicato proprio a Brandon), una storia ispirata all’autore dalla morte della fidanzata in seguito a un incidente. Racconta di un uomo, Eric Draven (nel film Lee), musicista rock, aggredito insieme alla ragazza e ucciso violentemente da un gruppo di malviventi. Eric viene riportato in vita grazie a un corvo psicopompo. L’uomo cercherà vendetta e “giustizia”.

Purtroppo, nel mondo reale e fuori dagli schermi, la “giustizia” ricevuta da Lee è stata soprattutto una fama postuma. Prima del Corvo, Brandon era sempre e solo “il figlio di Bruce Lee”. A sua volta, Lee Jr. era noto soprattutto per le arti marziali (imparate a casa, fin da quando aveva 8 anni), nonostante avesse studiato recitazione alla Strasberg Academy di Los Angeles e poi a New York. Nel cinema pareva ormai destinato ai soli B-movie animati da botte, umorismo da fumetto e girandole di arti marziali. Dal film tv La legge del kung fu con David Carradine (1986) a Laser Mission (1989, primo film da protagonista), fino a Resa dei conti a Little Tokyo contro il roccioso Dolph “ti spiezzo in due” Lundgren (1991).

Poi, finalmente, l’occasione per dimostrare tutto il proprio valore, ovvero Il corvo di Proyas (e O’Barr). Non avrebbe dovuto sfoggiare le mere doti atletiche da martial artist o sferrare soltanto calci e cazzotti. Brandon definì il progetto come “una storia sulla giustizia per chi ha subìto ingiustizia”.

Su quel set maledetto, Lee Jr. è poi morto violentemente e giovanissimo (28 anni) proprio come certe vere rockstar (solo di un soffio anagrafico non fa parte del cosiddetto “club 27”, i rocker morti a ventisette anni). Fra l’altro Brandon, rocker (per finzione) nel Corvo, aveva imparato a suonare la chitarra per il film e in una scena suona e poi fracassa la chitarra elettrica, sotto lo sguardo impassibile e nerissimo del corvo.

Il volto bistrato dal trucco di scena (trucco eccessivo, che non amava), il corpo scolpito, i capelli fradici di pioggia, lo sguardo tormentato… è bastato quel ruolo dark, gotico e maudit a farne un vero divo planetario del cinema. Mito di celluloide. Un ruolo in cui ri-muore e ri-sorge ogni volta, portando all’estremo (in chiave cinica hollywoodiana?) l’idea del cinema e della fotografia come “complesso della mummia” teorizzato da André Bazin. Ovvero: contrastare con le immagini l’ineluttabilità della caducità umana.

Brandon ha detto più volte: “Non voglio essere ricordato come il figlio di Bruce Lee”. Almeno in questa impresa è riuscito. Che possa riposare davvero in pace, anche se ogni nostra singola visione del Corvo lo riporta in vita in un mondo di sangue, violenza e brutalità. All’infinito.

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