Regola numero uno dell’action movie fatto come dio comanda: l’action movie non deve insegnare nulla, non deve avere una morale, non deve avere particolari velleità se non quelle di tenere il pubblico col fiato sospeso, essere spettacolare, possibilmente divertente. Regola numero due dell’action movie fatto come dio comanda: il (o la) protagonista principale dev’essere un figo pazzesco. Regola numero tre dell’action movie fatto come dio comanda: contare su un press-tour a corredo che quasi surclassa il film stesso, creando un’attesa che più trepidante non si può. E Bullet Train – il nuovo film di David Leitch (già regista di Atomica bionda, Deadpool 2 e dello spin-off della serie di Fast & Furious, Fast & Furious – Hobbs & Shaw) in uscita oggi nelle sale – mette a segno un triplete che ricorda tanto la mitica stagione 2009-2010 dell’Inter di Mourinho.
Punto uno, la trama: Ladybug (un Brad Pitt più Brad Pitt che mai) è un assassino un po’ sfigato in preda a una mezza crisi di coscienza, parecchio determinato a portare a termine l’ultimo compito assegnatogli dal suo boss senza troppi intoppi dopo l’ennesimo ingaggio finito male. Il destino, che gioca tantissimi scherzi durante le due ore e passa di peripezie, sembra però avere altri piani, e porta la missione di Ladybug in rotta di collisione con un manipolo di sicari che viaggia su un treno che pare un luna park. Ci sono echi di Tarantino, di Park Chan-wook, di Guy Ritchie e di Bong Joon-ho: citazioni non eccessivamente smaccate, quasi omaggi, che ruotano attorno a un tema piuttosto universale che puntualmente ritorna, ossia la sorte. Quanto ne siamo condizionati? Quanto possiamo cambiarla? Quanto determina chi siamo, cosa facciamo e il nostro futuro?
Punto due: Brad Pitt. Anzi no, non solo Brad Pitt: Joey King, Aaron Taylor-Johnson, Brian Tyree Henry, Andrew Koji, Hiroyuki Sanada, Michael Shannon, Bad Bunny, più altre tre comparsate a sorpresa che rivelare sarebbe veramente un gran peccato. Un cast incredibile di gente fighissima che innegabilmente si diverte un sacco: Brad è in forma splendida, rifila una battuta dietro l’altra insieme a calci e pugni ben assestati, e se la intende alla grande con i suoi compagni d’avventura (fun fact: Leitch in passato aveva lavorato come controfigura di Brad Pitt in Fight Club, The Mexican – Amore senza la sicura, Spy Game, Troy e Ocean’s Eleven).
Punto tre: il press-tour di Bullet Train, uno dei motivi per i quali l’estate 2022 verrà ricordata. Il gruppetto composto da Brad, Joey, Aaron e Brian s’è girato mezzo mondo sfoggiando outfit fotonici (i tailleur pastello di Brad! Il kilt! I completi di Aaron! La camicia a pois!) e stuzzicando le fantasie erotiche di noi comuni mortali, che da casa sfogliavamo i caroselli su Instagram commentandoli in modi e forme non ripetibili. Il press-tour è diventato in un certo senso Bullet Train, o, meglio, l’ha superato: che ce ne importava di sapere perché i quattro erano a Parigi, Seoul, Londra o vattelappesca? Chiedevamo esclusivamente di averne ancora e di continuare vederli cazzeggiare in giro, belli, sorridenti, affiatati, vestiti divinamente. Siete lì per promuovere un film? Davvero? Chi se ne frega, noi vogliamo solo che non smettiate mai di fare quello che state facendo.
La storia – tratta dal romanzo I sette killer dello Shinkansen del giapponese Kōtarō Isaka (edito in Italia da Einaudi) – non è nuova, esattamente come il mix di dialoghi surreali, ammazzamenti splatter, scenografie in stile manga e coreografie da film di kung fu. Nessuna novità, insomma, ma nemmeno nessuna presunzione didattica di prendersi sul serio o di fare la paternale rispetto a tematiche che non competono: Bullet Train è il classico giocattolone felice di esserlo, lo si guarda per staccare il cervello per centoventi minuti, si ride, ci si stupisce, non di rado ci s’imbambola (vedi alla voce Brad e Aaron), ed è giustissimo così.
Cosa racconta il film di Leitch sul nostro bisogno di venire intrattenuti? Per gli standard hollywoodiani, in un’epoca di sequel, prequel e reboot, Bullet Train vale come una ventata d’aria fresca, nonostante la sceneggiatura non originale e l’ampio utilizzo di meccanismi rodati. Eppure, la familiarità dei tropi, delle immagini e il ritmo della trama non possono non far pensare all’ultima volta che abbiamo visto un super blockbuster d’azione con una sensibilità davvero originale. Quand’è successo? Quando siamo riusciti a evadere e a baloccarci davanti allo schermo senza pensare a nulla se non a divertirci con ciò che stavamo guardando? Quand’è stata l’ultima volta che non ci è stata impartita una lezione?
Con tutta probabilità non concederemo a Bullet Train una seconda visione, né questo finirà nella lista dei dieci film della vita, ma Leitch non ha sicuramente chiamato Brad e soci per riempire le pagine di un manuale di critica cinematografica. Se esiste «L’arte per l’arte», non è d’altronde sacrosanto che debba pure esistere «Il divertimento per il divertimento»? (Nota a margine: Bullet Train in realtà un grande interrogativo lo pone, e manco lo risolve sul finale. Come accidenti è possibile che un treno supersonico impieghi tutto quel tempo per compiere la tratta Tokyo-Kyoto? Ok la sospensione dell’incredulità, ma almeno fatelo arrivare fino a Shin-Aomori).