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Cate Blanchett è la più grande attrice vivente?

Ma anche attore. C’è qualcuno come lei? Da ‘Blue Jasmine’ a ‘Carol’, passando per ‘Io non sono qui’ e icone fantasy come Galadriel, ha già dimostrato di poter fare tutto meglio di chiunque. E ora arriva ‘TÁR’…

Immagine da Rolling Stone USA

Avrete di sicuro una performance di Cate Blanchett preferita: se avete seguito la star australiana nei suoi trent’anni di carriera, ci sono sicuramente dei punti più alti di altri, secondo il vostro personalissimo metro. Forse sceglierete una delle sue grandi prove drammatiche: penso a Blue Jasmine, l’instabile eroina al centro del character study di Woody Allen che le ha dato il suo secondo Oscar; o al personaggio che dà il titolo a Carol, l’estatico adattamento firmato Todd Haynes del romanzo di Patricia Highsmith che le permette di regalarci una lezione di recitazione in quanto a repressione e passione. O forse siete stati abbastanza fortunati da assistere in prima persona al lavoro di Blanchett a teatro, che le ha dato l’occasione di misurarsi con autori come Shakespeare, Čechov e Tennessee Williams. O magari preferite uno dei suoi eccentrici ruoli da spalla, come il ritratto perfettamente calibrato che ha dato di Katharine Hepburn in The Aviator (primo Oscar) o la scapigliatissima personificazione del Bob Dylan di metà anni ’60 in Io non sono qui.

Detour da doppiatrice (la minacciosa Kaa di Mowgli – Il figlio della giungla), icone fantasy (Galadriel nella trilogia del Signore degli anelli), villain ultracamp (Hela in Thor: Ragnarok, la matrigna cattiva di Cenerentola o la nazista con un caschetto alla Louise Brooks di Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo), indimenticabili parti in commedie corali deliziose (La vita acquatica di Steve Zissou) o irritanti (Don’t Look Up): potreste scegliere una performance di primissimo livello prendendola da ciascuna di queste categorie. Quando qualcuno mi ha fatto questa domanda qualche mese fa, io personalmente ho scelto l’episodio della terza stagione di Documentary Now! in cui regalava una parodia dell’installazione di Marina Abramović The Artist Is Present. La Izabella Barta di Blanchett è, come il suo modello nella vita reale, una performance artist che mette in scena quadri concettuali pieni di urla, autolesionismi, sguardi fissi e camminate in stanze piene di ostacoli con un cestino sulla testa. La scenetta si conclude con un’elaborata vendetta di Izabella ai danni del suo ex, che fa sempre parte del mondo dell’arte. Non potrete trovare esempio migliore di ridicolo e sublime insieme. Il sorriso enigmatico di Blanchett nel finale farebbe impallidire persino quello della Gioconda.

Ma poi è arrivato TÁR (nelle sale italiane dal 9 febbraio, ndt). Il primo film di Todd Field dopo 16 anni segue la vita di Lydia Tár, la cosa più vicina a una rockstar nel mondo della musica classica contemporanea. Ex pianista prodigio diventata direttrice d’orchestra, ha sfondato il famoso soffitto di cristallo e conquistato qualsiasi riconoscimento possibile, arrivando all’apice della sua professione. Non vediamo la sua scalata al successo, ma certamente siamo testimoni della sua caduta: quando lasciamo Lydia dopo due ore e mezza di film, le sue ali di cera si sono sciolte e lei è precipitata da quelle vette altissime. Come ha dichiarato in molte interviste, Field non ha scritto il ruolo pensando a Blanchett: l’ha scritto espressamente per lei, e ha incrociato le dita sperando che la star accettasse la parte. Vedere quello che questi due hanno realizzato, raccontando la storia di questo genio della musica sinfonica, ci permette di assistere a un’altra artista al massimo della sua espressione. TÁR è un film che ti lascia con più di una domanda. La prima: è possibile separare la bellezza dell’arte dalla dubbia morale di chi la crea o la interpreta? Ma la seconda è ancora più cruciale: Cate Blanchett è la più grande attrice vivente?

Il modo in cui Blanchett ritrae questa donna complessissima come se stesse suonando un’intera sinfonia interiore dimostra che sta lavorando a livelli che la pongono su un pianeta totalmente alieno rispetto alle sue colleghe. Lydia Tár le dà la possibilità di salire sul palco come un gigante tra i comuni mortali, e di trovare un modo assolutamente personale di mettere in scena il suo esaurimento nervoso. Un direttore d’orchestra è colui o colei che sa controllare il tempo, come dice la stessa Tár ad Adam Gopnik del New Yorker durante l’intervista che si vede all’inizio del film. Eppure lei non sa controllare i suoi istinti, i suoi desideri, il significato del suo ruolo o le conseguenze delle sue azioni. È al tempo stesso il ritratto di un talento divino e di una donna che va in mille pezzi.

E anche se Blanchett si è sottoposta a un regime severissimo prima delle riprese – ha imparato il tedesco, l’arte della direzione d’orchestra e anche come suonare dei pezzi al pianoforte in modo convincente: e tutto questo nelle ore di pausa dai suoi altri innumerevoli progetti – non hai mai la sensazione di stare assistendo all’esito di quella fatica. Moltissime performance, soprattutto nel cinema recente, vogliono dimostrarti il processo che c’è stato dietro: “Guardate quanto ho scavato dentro il personaggio! Come mi sono immerso in questo ruolo!”. Non c’è niente di tutto questo, in Blanchett. Qualsiasi suo gesto viene dalla teatralità della stessa Tár, che sia sul podio d’orchestra o che stia esercitando il suo potere su chiunque le si trovi di fronte. Continui a dimenticarti che stai guardando un’attrice, anche se ovviamente riconosci costantemente che dietro il personaggio c’è una delle star più riconoscibili su scala globale.

C’è un’autentica fluidità in quello che fa Blanchett nel dare vita a questo delicatissimo personaggio, il che è allo stesso tempo l’esempio di un’attrice totalmente in sintonia con la parte ma anche non una sorpresa, almeno se conoscete la sua filmografia. Blanchett può essere grandiosa ma anche fare cose “piccolissime”, essere remissiva o femme fatale; ha interpretato grandi archetipi e la loro stessa decostruzione, ha recitato contro sé stessa (Coffee & Cigarettes) e regalato la sua personale versione del “leggere l’elenco del telefono sul palcoscenico” facendolo addirittura attraverso 13 personaggi diversi (Manifesto). Quello che accomuna tutti questi ruoli è il senso della sfida e un flusso che pare scioltissimo. TÁR si inserisce in entrambe le sfere del suo processo creativo: non è un caso che Field abbia pensato che Cate potesse essere l’unica persona in grado di imbarcarsi in questo progetto.

Molto di quello che rende il lavoro di Blanchett in TÁR così dinamico era già messo in atto nel film che l’ha consacrata: Elizabeth. Questo ritratto datato 1998 di Elisabetta I, che lottava contro i cospirazionisti e i contendenti al trono, cominciava con una giovanissima principessa che non voleva nient’altro che spassarsela nei campi con un Joseph Fiennes all’apice della sua sexytudine anni ’90. Il lavoro di Blanchett è stato prendere un melodrammone che comincia con un semplice “Ragazzina, presto diventerai una sovrana” e trasformarlo in un thriller in costume pieno di intrighi ma non privo di profondità. La sua capacità è stata esattamente questa: mostrarci come Elisabetta si trovi progressivamente a suo agio nel suo ruolo di potere. Quando alla fine del film vediamo una carneficina in stile Padrino e la monarca che si definisce “Regina Vergine”, capiamo che il bozzolo di farfalla è diventato un calabrone.

Facciamo un salto in avanti di 25 anni – con un paio di Oscar lungo la strada – e troviamo l’altra faccia di quella performance: una regina moderna che perde il suo impero e il suo potere su tutto ciò che la circonda. Provate a guardare prima Elizabeth e poi TÁR: scoprirete la capacità di Blanchett di entrare nella pelle di donne che contengono moltitudini. E noterete anche quanto in là si sia spinta nel perfezionare il suo talento. “L’arte non deve darci conforto”, dice la sua performance artist in Documentary Now!, “deve essere radicale!”. Potrebbe essere il mantra dell’attrice stessa.

Il che ci riporta alla suddetta domanda: Cate Blanchett è il miglior interprete su piazza? In termini di spettro interpretativo e capacità di trasformarsi senza mai perdere quel je ne sais quoi che siamo soliti associare alle star del cinema, oggi pochissimi sono in grado di eguagliarla. Ma quando si tratta di mostrarti l’intera condizione umana e tutti i suoi stati possibili senza darti l’impressione che sia pura recitazione, be’, in quel caso il nostro sospetto è confermato: la risposta non può essere che “sì”. Lydia Tár è una grande artista che si ritrova al tramonto del suo regno. Blanchett ti fa sentire che stai guardando una grande artista che ogni volta regna davanti ai tuoi occhi.

Da Rolling Stone USA

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