Jacques Demy1964
Geneviève vive a Cherbourg con la madre vedova che gestisce un negozio di ombrelli (les parapluies del titolo). Ama Guy, un giovane meccanico. Ma lui viene chiamato al fronte, e lascia lei incinta al paesello… Un mélo, anzi: IL mélo. Uno dei capolavori assoluti del cinema francese (e non solo), e la pellicola che “inventa” Catherine Deneuve, all’epoca neanche ventenne: elegantissima ma mai algida, subito iconica (pardon) nella sua capacità di scrivere un nuovo canone di bellezza (e bravura) per le attrici a venire. Deneuve ritroverà Demy in Josephine (titolo italiano di Les demoiselles de Rochefort, in coppia con la sorella Françoise Dorléac che morirà giovanissima) e nella Favolosa storia di Pelle d’Asino (più il misconosciuto Niente di grave, suo marito è incinto): e sarà sempre cult, come all’inizio di tutto.
Roman Polański1965
Altro giro, altro autore che cambia il cinema degli anni ’60 (e à suivre). Roman Polański la vuole al centro di uno psycho-horror alla sua maniera su una donna, la timida estetista belga residente a Londra di nome Carole, che soffre di androfobia. Nasce il mito della Deneuve glaciale e impossibile che turberà anche Alfred Hitchcock, il quale però non riuscirà mai ad averla in un suo film. Nella Swinging London che si prepara a un mutamento epocale, la nostra è un’eroina suo malgrado e a suo modo anticonformista, percorsa dai brividi che attraversano la società, fino a sconvolgerla. Ghiaccio bollentissimo.
Luis Buñuel1967
Manca ancora un anno al ’68, e Catherine Deneuve è già il simbolo della rivoluzione. Nei panni – pochi, ma subito immortali – di Séverine, moglie borghesissima di un medico che sceglie di prostituirsi tutti i pomeriggi in un bordello parigino d’alto bordo per sfuggire alle sue fobie e alle sue frigidità (aridaje). Luis Buñuel, che sette anni dopo la rivorrà protagonista di un’altra pietra miliare della sua filmografia (Tristana), le regala il ruolo che forse la definisce per sempre. E che, nonostante il Leone d’oro a Venezia, proietta anche lei, insieme al film, nell’Olimpo delle “scandalose”. Francesissima Catherine.
François Truffaut1980
A proposito di mélo, ecco quello forse più amato di tutti, nella sfilza di capisaldi di questo genere firmate Truffaut. Il regista l’aveva già voluta undici anni prima, accanto a Jean-Paul Belmondo nel più “sommerso”, ma splendido, La sirène du Mississippi (da noi tradotto La mia droga si chiama Julie), e la richiama in questa storia d’amore più “matura” in cui Deneuve fa a gara di fascino e bravura con Gérard Depardieu. Alias due attori nella Parigi occupata dai nazisti, fanno sospirare e lacrimare come poche altre volte. Formidable.
Régis Wargnier1983
Abbiamo detto cult? Ecco il titolo forse più “in tema” di tutti, rivalutatissimo negli anni soprattutto per merito del suo terzetto di protagonisti: Catherine Deneuve, Susan Sarandon e… David Bowie. Miriam (Deneuve) è una vampira che ogni due o tre secoli deve cambiare compagno, condannato a perdere la sua eterna (in teoria) giovinezza. Ma sull’ultimo (Bowie) ha messo gli occhi una dottoressa (Sarandon), che, a sue spese, si insospettisce… Esordio alla regia di Tony Scott, e uno dei rarissimi film americani di Catherine.
Mario Monicelli1986
Nel nutrito gruppo di film italiani di Deneuve, complice Marcello Mastroianni, suo compagno per lungo tempo e padre di sua figlia Chiara, ci sono – ma dai – i cult (da Casotto di Sergio Citti a La cagna di Marco Ferreri), le gemme dimenticate (Anima persa di Dino Risi) e i classiconi di altri grandi maestri (Fatti di gente perbene di Mauro Bolognini). Ma il titolo più premiato dal pubblico è questo inno al matriarcato by Mario Monicelli, che riunisce un clamoroso gineceo di dive (ci sono anche Liv Ullmann e Stefania Sandrelli) e regala alla nostra una parte bellissima: quella di Claudia, famosa attrice che si è trovata a vivere a Roma. Più Deneuve di così…
Lars von Trier2000
Dopo un decennio contrappuntato dalla sua prima e unica nomination all’Oscar come miglior attrice protagonista (per Indocina di Régis Wargnier, 1992) e da una Coppa Volpi a Venezia (per Place Vendôme di Nicole Garcia, 1998), il nuovo millennio per la diva di Francia si apre con un film che ribalta il nostro sguardo su di lei. L’eterno enfant terrible Lars von Trier le regala il ruolo di una tenera operaia, e la fa addirittura cantare in fabbrica, nella Via Crucis che vede protagonista Björk. Un triplo carpiato nello stracult cinematografico, di cui non poteva non fare parte un volto-simbolo come il suo.
François Ozon2002
Altro musical, ma stavolta “in casa”. François Ozon, che poi la rivorrà nel delizioso Potiche – La bella statuina (2010), le fa vestire i panni della fredda e venale Gaby nel giallo alla Agatha Christie che diventa uno standard del cinema al femminile degli ultimi vent’anni (tanto che è arrivato di recente anche un remake italiano). E la fa anche lui cantare (il classico francese Toi jamais, per la precisione). Gara di divismo (ci sono anche Fanny Ardant, Isabelle Huppert, Emmanuelle Béart e tante altre) in cui Catherine si diverte un mondo. E noi con lei.