C’è un solo unicorno in ‘Death of a Unicorn’, ed è Jenna Ortega | Rolling Stone Italia
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C’è un solo unicorno in ‘Death of a Unicorn’, ed è Jenna Ortega

Sarebbe stato un buon momento per questa satira dei "peggio ricchissimi" con tanto di star (c'è anche Paul Rudd), creature mitiche, sangue e un certo rancore verso le società farmaceutiche. Peccato che il film non abbia mordente

C’è un solo unicorno in ‘Death of a Unicorn’, ed è Jenna Ortega

Paul Rudd e Jenna Ortega in 'Death of a Unicorn'

Foto: BALAZS GOLDI/A24

I ricchi non sono come noi, vedono il mondo attraverso la lente ingiallita dell’estremo privilegio, considerano tutto, dagli articoli di lusso alle relazioni, come usa e getta (e facilmente sostituibile), non ci pensano due volte a cacciare animali fantastici per sport e/o come chiave per l’immortalità. Death of a Unicorn parte dall’idea di voler blastare i membri più ripugnanti di quel pessimo 1%, e se mai ci fosse un momento per abbracciare una commedia horror consapevole delle differenze sociali con tanto di risate, rabbia e sangue, è proprio adesso. Vuoi far saltare in aria l’élite americana? Vai!

Per colpire un bersaglio però serve una buona mira, e questo mix di satira e splatter non riesce a smettere di agitarsi abbastanza a lungo da avere la mano ferma. Modificando la mitologia secolare di una creatura che ha abbellito passaggi biblici, dipinti rinascimentali e molti zaini di adolescenti, il debutto del regista Alex Scharfman riesce a ripensare l’unicorno ben oltre l’immaginazione dei bambini. Se avete mai fantasticato di vedere non solo la morte di un unicorno, ma anche più morti a causa di un unicorno, questo film farà avverare i vostri sogni. Togliete gli effetti visivi scadenti, le budella finte e persino un senso di indignazione ancora più finto per quello che i ricchi possono fare senza conseguenze, e vi ritroverete con l’equivalente di una pecora travestita da lupo. Ci sono creature fantasy assassine, un sacco di corna appuntite, ma assolutamente nessun mordente.

Elliott (Paul Rudd), un avvocato rimasto vedovo da poco, ama la figlia adolescente, Ridley (Jenna Ortega). Non quanto il suo lavoro però, o le opportunità di carriera che si presentano quando lavori per l’oligarca di una corporation, intendiamoci; la sua area di competenza è tecnicamente l’etica aziendale, che è di per sé un ossimoro, ma la sua vera specialità è leccare il culo. Ridley non vuole accompagnare il padre in un viaggio di lavoro. La loro destinazione è la tenuta del datore di lavoro malato terminale di Elliott, Odell Leopold (Richard E. Grant). Sono presenti anche: la “metà” migliore di Odell, Belinda (Téa Leoni), che sembra vedere la sua vita come un’audizione continua per entrare nel franchise Real Housewives, e il figlio tossico e arrogante, Shepard (Will Poulter). Considerando che hanno fatto fortuna nel settore farmaceutico, i Leopold sembrano essere modellati sui Sackler, che Scharfman ha citato come fonte d’ispirazione, ma potrebbero essere qualsiasi dinastia americana di ricchi sfondati, dagli Astor ai Rockefeller. Il punto è che sono il tipo di ricchi sfondati che hanno bisogno di una villa piena di servitori e di guardie di sicurezza paramilitari, e pagano per non avere mai la responsabilità di nulla.

Mentre guidano sulla lunga e tortuosa strada per arrivare a casa Leopold, Elliott e Ridley investono quello che credono sia un cervo. A uno sguardo più attento, si rendono conto che è un vero unicorno. Ridley afferra il corno luminoso dell’animale (non è un eufemismo, per la cronaca) e all’improvviso vede l’intero cosmo aprirsi davanti ai suoi occhi, in tutta la sua gloria nebulosa e divina. Poi Elliott fracassa il cervello dell’animale che continua a lamentarsi. “L’ho ucciso per pietà”, ragiona. Esce sangue viola a litri. L’uomo e la figlia trascinano l’animale morto nel retro della loro auto a noleggio e si dirigono a casa dei Leopold, pensando che seppelliranno il corpo più tardi.

DEATH OF A UNICORN | Trailer italiano ufficiale HD

Per farla breve, l’unicorno non è ancora morto. E quando Ridley si ritrova con un po’ del suo plasma viola sulle dita e poi si sfiora la guancia, la sua pelle diventa meravigliosa. Quanto ai Leopold, intuiscono immediatamente che i poteri curativi della creatura potrebbero guarire i mali di Odell. Ancora meglio, le proprietà mistiche di questa bestia possono essere monetizzate e sfruttate. Gli scienziati assunti dalla famiglia (interpretati da Steve Park e Sunita Mani) iniziano con riluttanza a studiare come questo animale un tempo immaginario potrebbe dare benefici dall’umanità e, in particolare, profitti ai Leopold. Poi due unicorni molto più grandi si presentano fuori nel giardino. Sono i genitori – molto protettivi – di quello che viene punzecchiato e torturato nel laboratorio della tenuta. Mamma e papà unicorno sono disposti a fare qualsiasi cosa per reclamare la loro prole, il che non promette nulla di buono per gli umani che preferirebbero non essere infilzati, calpestati e/o sventrati.

Ci sono parecchi film negli ultimi anni che hanno criticato la classe dei miliardari o che sottolineano il fatto che la bussola morale collettiva di un clan benestante tende a incrinarsi oltre una certa fascia di imposta (e Odell non è nemmeno il primo patriarca aristocratico maledetto che Richard E. Grant interpreta in questo decennio: vedi Saltburn). Ma il livello di egoismo e narcisismo da cartone animato che è concesso a questi veri e propri personaggi da incubo tardo-capitalistici inizia a precipitare a un livello che getta tutto nel caos totale. L’intelligenza e le battute taglienti non hanno residenza da queste parti. Il che è un bene, considerando che l’intera idea di attaccare la mentalità del privilegiare il profitto rispetto alle persone è solo una facciata per quello che Death of a Unicorn vuole davvero essere, ovvero una rivisitazione di Jurassic Park. Solo che una volta che il film passa completamente alla modalità monster-movie, si inizia davvero notare quanto siano sciatti e pensati male anche i momenti di brivido e le emozioni. Cosa ci facciamo qui?

Solo Ortega sembra uscire indenne da questa sorta di incidente automobilistico più che un film di genere, anche se meno male che c’è l’Anthony Carrigan di Barry nei panni di un maggiordomo le cui risposte impassibili a un milione di richieste ridicole sono una delle poche grazie salvifiche del film, e avremmo voluto che più attori del cast fossero stati in grado di sincronizzarsi con il suo mood. La star di Mercoledì deve rappresentare una generazione che ha ereditato un mondo orientato verso la catastrofe, saccheggiato delle sue risorse da coloro che finanziano la politica e governato da ricchi ottusi o subordinati complici che si contendono le briciole. La sua preoccupazione sia per gli animali che per il quadro generale, per non parlare della sua frustrazione e rabbia per quelle che l’eredità di una truffa avida vecchia come il capitalismo ha prodotto, offre un piccolo raggio di sentimento in un film preoccupato di preparare una carneficina francamente poco impressionante. Attori come lei che riescono in qualche modo a trovare un appiglio in disastri pulp come questo sono certamente nella wish-list dei registi, ma sono quasi impossibili da trovare. Crediamo che esista persino un termine del settore per persone come lei. Inizia con la “U”.

Da Rolling Stone US