Da avengeriana quale sono, qui lo dico e qui lo confermo: gli Avengers più fighi di tutti hanno i superpoteri. Dopo arcieri in crisi di mezza età (sorry, Occhio di Falco), uomini-piccione che non si sentono all’altezza (sorry, Sam Wilson), spie russe diventate assassine letali (sorry, Yelena Belova), finalmente tornano le supercazzole di universi paralleli, maghi, streghe, stregoni e compagnia cantante. In Doctor Strange nel Multiverso della Follia, nelle sale dal 4 maggio, il Marvel Cinematic Universe compie un triplo carpiato nel Multiverso, accompagnato dai prodi Doctor Strange (Benedict Cumberbatch), Wanda Maximoff (Elizabeth Olsen), Wong (Benedict Wong) e un manipolo di mistici alleati vecchi e nuovi.
Diretta da Sam Raimi e prodotta da Kevin Feige, l’ultima fatica dei Marvel Studios è decisamente più cupa, dark e minacciosa, e ci pone di fronte a un’annosa questione: cosa (e chi) saremmo pronti a sacrificare, pur di far diventare realtà le nostre fantasie? Già in Spider-Man: No Way Home, uscito lo scorso inverno al cinema, e nella serie tv Loki, che ha debuttato su Disney+ a giugno 2021, avevamo capito l’antifona: non esiste più un solo mondo, bensì infinite alternative possibili dove risiedono altrettante infinite versioni di noi stessi. Il che, tradotto, suona un po’ come «Le porte del Multiverso sono state definitivamente sbloccate, che la follia dilaghi in qualsiasi regno».
Mi pare di camminare in una realtà parallela, appunto, pavimentata da gusci d’uova che devo stare attenta a non rompere (leggi: se pecco di spoiler, mi verranno tagliate le mani). Ciò che posso dire è: arriva un nuovo personaggio, America Chavez (Xochitl Gomez), che ha la capacità di attraversare i vari universi nonché due mamme, Elena e Amalia (rispettivamente Ruth Livier e Chess Lopez), ché guai farsi scappare l’opportunità di cavalcare la diversità e l’inclusività. Ritroviamo Wanda Maximoff (una Elizabeth Olsen sempre più strepitosa), che, come suggerito dalla miniserie WandaVision, ora è corretto chiamare Scarlet Witch: strega potentissima, vagamente schizofrenica, incazzata come una pantera, vendicativa e determinata come poche. Due – anzi, tre – cameo pazzeschi che ho sulla punta della lingua ma non rivelerò per timore di ritorsioni: i primi nella seconda metà del film; il secondo nel primo end credit.
Doctor Strange nel Multiverso della Follia è e rimane un gran bel giocattolone, ma cosa sono d’altronde i film del Marvel Cinematic Universe se non dei gran bei giocattoloni con cui baloccarsi per un paio d’ore e sospendere l’incredulità? Centoventisette minuti durante i quali non ci si annoia mai, effetti visivi incredibili, CGI da paura, una manciata di battute riuscite e una trama che – nonostante trastullarsi con i mondi paralleli sia un hobby spesso pericoloso – mantiene una sua logica di fondo, restando comunque avvincente (lo sottoscrive colei che, in Tenet, ha perso il filo al tornello iniziale).
Mi butto schivando le anticipazioni come Alberto Tomba a Calgary nel 1988: Stephen Strange incontra per puro caso America Chavez combattendo un enorme polipo occhiuto per le strade di New York. Il mostro orrendo vuole ammazzare America e, dopo averlo fatto secco, il nostro eroe capisce il motivo: la ragazzina può saltellare allegramente tra i vari universi senza colpo ferire, l’unico problema è che non capisce come riesce a farlo. E, oltre a questo, non capisce chi la voglia vedere morta per assorbirne il potere. Forse qualcuno che avrebbe tutto l’interesse a vivere in una realtà parallela idilliaca creata dalla sua mente?
Lascio a voi la risposta e le elucubrazioni del caso, concludendo con quella che è la morale più inequivocabile del film. Che tu sia Stephen Strange o qualsivoglia supereroe dotato di superpoteri, c’è solo una cosa che non sarai mai e poi mai in grado di gestire: una donna incazzata nera. Se poi questa donna è in grado di sfruttare la magia del caos, di utilizzare l’ipnosi, la telecinesi e di alterare la realtà, be’, lasciatelo dire: ti stai andando a ficcare in un gran brutto affare. Parola di femmina.