Lo sciopero di attori e sceneggiatori che sconquassa Hollywood pareva l’atto politico che, di rimbalzo, ha finito per caratterizzare questa nuova Mostra di Venezia. E invece arriva il film d’apertura, Comandante di Edoardo De Angelis, a dirci che il cinema politico, pensa te, lo sappiamo fare ancora anche noi; e a porsi su una strada – tra patriottismo e j’accuse – che qui da noi, in tempi recenti, nessuno aveva tentato in questa arrembante maniera.
Comandante apre Venezia 80 (arriverà poi nelle sale il 1° novembre) al posto dell’inizialmente previsto Challengers di Luca Guadagnino, il triangolo tennistico starring Zendaya rimandato appunto causa sciopero. È il primo dei sei film italiani in concorso, per alcuni troppi, ma forse è il buon numero per fare il punto su quello che sappiamo fare e raccontare – se i prossimi saranno come questo, allora il bilancio sarà ottimo.
Salvatore Todaro (bravissimo al solito Pierfrancesco Favino, che torna all’accento veneto di El Alamein che, nel 2002, fece definitivamente pensare a tutti: ma questo non può restare un caratterista a vita) è il comandante del titolo, una figura controversa alla Oppenheimer che – la faccio breve – guidava il sommergibile Cappellini nelle troubled waters del 1940. Dopo aver affondato, al largo dell’Atlantico, un mercantile belga che aveva aperto il fuoco sugli italiani, decise di salvare i naufraghi di quel Paese che di lì a poco si sarebbe alleato con l’Inghilterra (dunque contro di loro, contro di noi). “È la legge del mare”, sentiremo ripetere più volte.
È il mantra del film, è il messaggio forte e chiaro di un’opera che non rinuncia alla grandeur d’autore ma ha il chiaro scopo della divulgazione storica e sociale, finanche pop. Italiani brava gente, anche se fascisti? No, per fortuna è più sfumato di così, perché la sceneggiatura (del regista e di Sandro Veronesi) al contempo smussa e complica la Storia, la critica e l’accarezza, la rende materia ancora viva di un cinema – il nostro – che per guardare avanti non vuole più andare indietro: si fa troppa fatica, e qua invece la fatica si vuole prenderla tutta.
De Angelis, consacrato autore proprio a Venezia col folgorante Indivisibili (era il 2016), è forse il regista più elegante che abbiamo in Italia. Un’eleganza però mai formale, sempre sostanziale, che non cede all’estetismo ma fa dello sforzo di composizione visiva – sforzo qui anche orgogliosamente muscolare, tra riprese acquatiche, notturne, action persino quando intime – l’etica stessa del suo cinema.
Comandante è un film di profezie, auspici buoni e più spesso cattivi, preghiere, liste (il tocco di Veronesi), vite e destini, uomini e miti. Un film di spazi chiusi e sguardo aperto che, come la rotta che seguirebbe un sommergibile, procede per piccoli spostamenti traghettando per due ore quell’unico mantra, quell’unico messaggio, quell’idea che sia possibile la “grande illusione” (citazione renoiriana non così azzardata) di affratellamento in tempi complicati, ieri e oggi.
Ci sono, in Comandante, i presagi di Sisifo e gli gnocchi quando bisogna festeggiare una cosa bella, Un’ora sola ti vorrei e la lezione di Eduardo (portato egregiamente in tv da De Angelis nella trilogia Rai composta da Natale in casa Cupiello, Sabato, domenica e lunedì e Non ti pago). C’è la meraviglia e c’è il terrore, inteso come The Terror, quell’altra bellissima serie marinara che guardava dentro l’abisso dell’uomo.
Qui però, dentro l’abisso, si vuole scorgere la luce: un piatto di patate fritte da compartire fra tutti, una bambina che si chiamerà Marina, una promessa d’Italia più giusta. In questi tempi di burrasca anche per il cinema, speriamo sia uno degli auspici buoni.