Non si può dire che a Venezia, prima di Joker, mancasse la vocazione pop: ci aveva già pensato Carlo Lizzani a partire dagli anni ’80 a portare al Lido Star Wars, Indiana Jones ed E.T. Stesso discorso per il lancio di titoli americani destinati a diventare “da Oscar”, di cui l’attuale direttore della Mostra Alberto Barbera è diventato l’alfiere festivaliero: negli ultimi otto anni da Birdman a La La Land dalla Forma dell’acqua a Roma. E poi l’anno scorso sono sbarcati in Laguna Todd Phillips e Joaquin Phoenix a cambiare le regole del gioco con l’origin story del clown principe del crimine. E la risata di Joker ha invaso Venezia, alla faccia di “quelli che non è roba da Mostra”. Un pezzo essenziale della pop culture, dai fumetti della DC Comics alla tv fino al cinema, un futuro preferito dell’Academy, ma soprattutto qualcosa di mai visto prima: un cinecomic (che per definizione è quanto di più mainstream ci sia) in concorso a un festival, regno incontrastato dei cinéphile, accanto a Kore-eda, Polanski, Larraín.
Cinecomic sì, ma d’autore, perché Joker è una rivoluzione all’interno di un genere che non ha (più) niente a che vedere con il canone DC o Marvel. Se ha un debito, semmai, è nei confronti di Martin Scorsese, di Robert De Niro (che infatti compare nel film) di Taxi Driver (con Gotham City che pare quella New York nerissima), di Serpico, di Re per una notte. Todd Phillips – quello di Una notte da leoni – torna alle influenze della New Hollywood per aggiungere sfumature più oscure, per cambiare i connotati al “film tratto dai fumetti”. Che ormai però è diventato molto di più, basti vedere le prime immagini di The Batman di Matt Reeves con Robert Pattinson per capire quanto quell’approccio abbia già fatto scuola.
Non solo: Joker segna anche la prima volta in cui il villain più iconico e maledetto dei fumetti ha i riflettori tutti per sé. Jack Nicholson in Batman e persino Heath Ledger, Oscar come non protagonista per Il Cavaliere Oscuro, avevano dovuto dividere il grande schermo con l’Uomo Pipistrello (su Jared Leto preferiamo sorvolare). Ed è pure la prima volta che ci troviamo ad empatizzare in maniera totale con colui che diventerà il più super cattivo dei cattivi, ma che all’inizio è soltanto un uomo solo, tormentato dalla malattia mentale, spezzato, sullo sfondo una Gotham City cupa che ha perso ogni bagliore di compassione e solidarietà. Merito di Joaquin Phoenix: «Solo se hai un attore come lui puoi fare un approfondimento sul character come questo», aveva detto il regista Todd Philips proprio a Venezia lo scorso anno. Phoenix, che con la sua performance larger than life è riuscito a umanizzare Joker e rendere la sua ilarità maniacale senza modificarne i problemi depressivi e gli scoppi d’ira, catalizzati e triggerati dalla violenza diffusa, al punto da far scattare l’allarme negli USA.
Poi sarebbero arrivati due BAFTA, due Golden Globe e due Oscar (tutti per l’interpretazione di Joaquin e per la colonna sonora firmata da Hildur Guðnadóttir), ma in principio è stato il Leone d’oro come miglior film, courtesy of Guillermo del Toro presidente di giuria barricadero. Perché «alla fine dei conti sono i cattivi a definire gli eroi», diceva Stan Lee. E sono le rivoluzioni che fanno la storia di un festival.