C’è una buona notizia: Emma balla. E quando Emma balla in un film di Lanthimos voi lo sapete, l’avete sempre saputo: va a finire bene . È quella combo che, se non porta lontano, ci fa capire comunque capire che siamo nel posto giusto. Sì, Emma balla, e come balla: deve essere proprio in quel preciso momento che capisci che nulla in quella sala potrà andare storto. Tranne che per i personaggi sullo schermo, ovviamente.
Yorgos Lanthimos ha girato Kinds of Kindness (in concorso a Cannes e nelle sale dal 6 giugno) mentre montava Povere creature!, il film che finalmente, grazie al Leone d’oro di Venezia e a quattro meritati Oscar (tra cui quello per la miglior attrice protagonista, Emma Stone appunto), lo ha consacrato definitivamente nell’Olimpo degli dei. Qui stessa squadra, che vince e quindi non si cambia, ma pure un amico di ritorno, lo sceneggiatore greco Efthimis Filippou (che per lui ha scritto Dogtooth e Il sacrificio del cervo sacro, che qui fa davvero tutta la differenza del mondo. Sì, perché il genio (del male?) Yorgos Lanthimos, pur restando sempre nel business che conta, tra Hollywood e dintorni, stavolta, dopo “i grandi film barocchi, magniloquenti e in costume” (leggi La favorita e il citato Povere creature!), torna in un certo senso sui suoi passi, al cinema dissonante, malato e perfido (alla The Lobster, per intenderci) che lo aveva imposto all’attenzione del mondo.
Non è una scelta in difesa, anche se la costruzione a episodi – tre, come i ruoli diversi che attori e attrici sono chiamati a interpretare – disinnesca in parte la forza inquieta e disturbante che anima l’universo psicotico – e sempre colpevole – dell’autore greco. La cui vena grottesca e spiazzante centra però il bersaglio quando cavalca il momento classicissimo (e inevitabilmente “tragico”) del “ti draso”, del “che fare?”, per chiedersi (ma soprattutto chiederci) cosa siamo disposti a fare per l’altro. Se, magari, arriveremmo anche ad uccidere. O, perlomeno, a morire.
Una domanda che Lanthimos, con la solita sottile ma ghignante crudeltà, sviluppa e scioglie come veleno nell’acqua (dopo avere sparato a tutto volume Sweet Dreams scatenando un tifo da stadio e un nugolo di aspettative solo parzialmente soddisfatte) in un trittico ai confini della realtà: nel primo episodio un uomo deve decidere se causare o meno un incidente automobilistico così da accontentare il suo capo; nel secondo un poliziotto si convince che la donna che vive con lui non è la sua vera moglie; nel terzo una coppia di adepti di una setta cerca una ragazza in grado di resuscitare i morti.
Bizzarro, inquieto, autolesionista, sempre disturbante, psicologicamente e (al limite anche dello splatter) fisicamente, Kinds of Kindness è un film traumatico che, tra l’amato grandangolo, primissimi piani spesso impietosi e lenti, calibratissimi movimenti di macchina da fuori a dentro, si muove in tutti i segmenti in non luoghi di asettica freddezza (uffici, ospedali, motel, ma anche case di lusso sempre “troppo” in ordine): Lanthimos ne fa una riflessione straniante sulla violenza e sul potere, ma sopratutto, sulla dipendenza, tema a lui da sempre molto caro.
È vero, prevale il divertissement (ma la racchetta rotta da McEnroe in regalo è davvero la firma del genio) sull’epifania, la beffa sul tormento. Ma il regista di Atene, che dà finalmente all’underdog Jesse Plemons l’occasione di far vedere che razza di attore è, non si cura di nulla e va avanti (giustamente) per la sua strada. Lasciando che Emma Stone, la sua “favorita”, faccia quello per cui è nata: recitare. E, una volta libera, ballare.