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Cosa dice il successo di ‘Vermiglio’ del nostro cinema (e di chi lo guarda)

Il Leone d’argento a Venezia, la designazione a rappresentare l’Italia agli Oscar, la reazione del pubblico locale e globale. È accaduto qualcosa (e non può che farci bene)

Foto: Lucky Red

Ci sono delle cose che le senti, quando stanno per accadere, e stavolta me ne sono accorto persino io che non capisco mai niente di niente. A Venezia stava per accadere Vermiglio (a una festa il giorno dopo la proiezione ho detto a un produttore, sentendomi Harvey Weinstein quando era il più furbo e potente del bigoncio: “Guardate che questo film va lontano”), e poi Vermiglio è accaduto (ha vinto il Leone d’argento, cioè il Gran premio della giuria).

E poi è accaduto tutto il resto, che saprete. Vermiglio di Maura Delpero, considerata “giovane regista” solo perché chi fa il mio mestiere non sa mai niente di niente (e non parlo di anagrafe, chi se ne importa: parlo del fatto che Delpero ha già girato vari documentari molto belli, e un primo film di finzione altrettanto bello, Maternal, del 2019); dicevo, Vermiglio di Maura Delpero è stato scelto per rappresentare l’Italia nella corsa ai prossimi Oscar, e qui forse sta il bisogno, la richiesta di quel “giovane” che pare più una questione di sguardo, di collocazione nel mercato e pure nella geografia – Delpero ha fatto un film in Trentino pure perché è trentina, non come i romani che inseguono le film commission e ora tutti follow the money a Bolzano anche se le storie erano pensate a Fregene.

Vermiglio, oltre ad essere un film molto bello, non ne sta sbagliando una – e non ne stanno sbagliando una neanche tutti quelli che gli orbitano attorno. Non ha sbagliato la distribuzione (la Lucky Red di Andrea Occhipinti), che ha fatto la scelta giustissima di non far uscire un film pur con un premio importante a Venezia in ottomila copie, ma, almeno all’inizio, in poco più di venti, aumentate solo dopo la notizia dell’Oscar e sull’onda della curiosità che stava generando nei cinema – il passaparola, come si diceva una volta, quando certi film “difficili” non stavano in sala solo per tre giorni come spesso accade oggi.

Non ha sbagliato il pubblico, che per una volta si è fidato di un film italiano – per di più girato sulle montagne, parlato in dialetto, sullo sfondo della guerra; poi, solo dopo, avrà scoperto la levità della scrittura di Delpero, il suo procedere come in un romanzo dove tutti i personaggi, anche i più piccoli, sono benissimo ritratti, e il suo meraviglioso cast dal grande Tommaso Ragno ai bambini, e quegli squarci che sembrano dei Segantini, e la sua mano leggera e profonda insieme. Avrà scoperto, anche qui, un altro sguardo, certamente poco coperto, almeno dal mainstream italiano. Poi non è che tutti escano trasformati da Vermiglio, e in fondo va bene così: si può anche andare al cinema per vedere il film di cui si parla in quel momento, come succedeva una volta, non è che tutto deve essere sempre evento o experience, cerchiamo di ridimensionare anche questa stronzata degli ultimi anni, grazie.

Non ha sbagliato la commissione che designa il film da far correre per gli Oscar. Ho amato immensamente, disperatamente Parthenope di Sorrentino (non siamo in moltissimi, e mi domando: ma che cosa volete dal cinema? Ci tornerò su all’uscita, il 24 ottobre), ma capisco che, anche in funzione della “campaign” futura, il film di Delpero può giocare da dark horse. È già in tutte le liste dei migliori film dai festival dell’autunno stilate da Variety et similia, probabilmente per quella stessa questione dello sguardo, e per il nome poco noto della sua autrice che spariglia un po’ le carte (mi chiedo solo: come pronunceranno il titolo, sulle colline di LA?). Alcuni dicono che è successo anche perché è una specie di Olmi reloaded, e perché ricorda il “ruralismo” rohrwacheriano che tanto piace agli americani; io non lo liquiderei così, ma certo anche lo zeitgeist vuole la sua parte, e se serve un’etichetta per venderlo meglio, in ogni caso male non gli fa.

Non ha sbagliato chi non ha cavalcato troppo la questione femminile, che pure è il cuore – anch’esso leggerissimo e profondissimo – del film e anche il centro del dibattito corrente sul cinema e i suoi mestieri, ma ha lasciato che le cose andassero come, finalmente, dovevano andare. Prima che arrivasse il nuovo Joker a conquistare la vetta, per un momento ci sono state, cosa mai successa prima, due registe italiane in testa al nostro botteghino (l’altra è Francesca Comencini con il bellissimo Il tempo che ci vuole). Certo non con i numeri che farà Lady Gaga questo weekend, ma c’è stata, per un attimo, la sensazione che il cinema può essere anche altro, che certe cose possono accadere persino qui, persino in un paesello fra i monti di nome Vermiglio che di colpo sogna Hollywood.

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