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Dal libro al film: da Sherlock a Gatsby, i corsi e ricorsi dalla pagina allo schermo

Ma anche Robin Hood e Zorro. Per non dire delle tragedie di Shakespeare e di opere come ‘I miserabili’. Ecco i titoli più rifatti nel corso delle epoche, testimoni del fatto che certe storie sanno sopravvivere a tutto. Anche ai peggiori adattamenti

Foto: Warner Bros.

Ci sono dei titoli che il cinema ha acquisito, che nutre, sostiene e ripropone a oltranza. Quasi sempre è cinema tratto dalla letteratura, più o meno classica o nobile. Perché sono i libri il primo motore, il contenitore assoluto di cultura e sentimenti. Oppure è la tradizione popolare: Robin Hood per esempio, una figura leggendaria, mitologica, che, se non deriva dalla letteratura, certo le si avvicina molto. Ho citato Robin Hood perché è un titolo che il cinema ha rifatto almeno una volta ogni decennio. Dal primo con Douglas Fairbanks, e siamo ancora nel muto, all’ultimo di Ridley Scott con Russell Crowe. Sono almeno una quindicina i Robin Hood, con grandi attori che si sono calati in quei panni.

Da Kevin Costner a Sean Connery, abbiamo anche un italiano, Giuliano Gemma. Ma il più bel Robin di tutti, insuperato, è Errol Flynn. Il peggiore è Costner. Il suo film, Il principe dei ladri, è esemplare per contaminazione. Nel tempo gli autori si sono sforzati di aderire al loro tempo, con inserti attuali, chiamiamoli così. Costner si porta dietro dalla Terra Santa addirittura un amico musulmano, Morgan Freeman. Davvero improbabile un’amicizia del genere durante la crudelissima terza Crociata. Una licenza che è un eccesso persino per il cinema.

Arthur Conan Doyle, nel tempo, si sarebbe molto arrabbiato nell’assistere alle evoluzioni del suo Sherlock Holmes. Un tempo c’era il modello perfetto di Basil Rathbone. Alla fine della parabola, passando attraverso attori come Roger Moore, Christopher Lee, Peter O’Toole, Charlton Heston, siamo approdati a Robert Downey Jr., che non ha davvero niente del carattere originale, a cominciare dalla pratica delle varie arti marziali, dal karate al kung fu, al Thai boxing. Più un Norris o un Segal che uno Sherlock.

Restando nel paese dell’avventura, un altro eroe “reiterato” è Zorro. Il grande classico è naturalmente Tyrone Power, poi il personaggio creato da Johnston McCulley si è aggiudicato, fra i tanti, Alain Delon, e di recente Antonio Banderas, che però non bastava al regista Martin Campbell, che gli ha messo vicino uno Zorro senior, Anthony Hopkins. È già in produzione uno Zorro da fantascienza. Tutte contaminazioni superflue e improprie. Ma quest’ultimo aggettivo poco si addice al cinema.

Fra i grandi romanzi continuamente rivisitati ed “evoluti” c’è I miserabili di Victor Hugo, e poi Shakespeare con tante sue tragedie. In questo senso il Bardo è imbattibile. I film ci hanno proposto Amleto in costumi da corte viennese, Riccardo III fra i nazisti, Romeo e Giulietta a Los Angeles e Tito Andronico nel palazzo dell’Eur. Tutti segnali di un momento, ormai lungo, di mancanza di creatività e di ispirazione della narrativa, sullo schermo o sulla carta. Poi naturalmente il cineasta adatterà i contenuti secondo l’epoca e il mercato. Adesso comandano fantasy, effetti speciali, computer, paradosso storico. Modello ideale e storicizzato, Jack Sparrow.

Altro titolo esemplare è Il grande Gatsby, romanzo di Francis Scott Fitzgerald. La cadenza dei rifacimenti di Gatsby presenta quattro film a partire dagli anni Venti. Il primo, Fitzgerald fece in tempo a vederlo. Nel 1926 Hollywood acquistò i diritti del romanzo uscito l’anno prima. L’edizione era firmata da tale Herbert Brenon. Quel film non esiste più: la pellicola è andata perduta. Ma nel ’49 la Paramount riacquisì i diritti e organizzò una produzione all’altezza. Affidò la regia a Elliott Nugent, buon artigiano, e il ruolo di protagonista ad Alan Ladd. Ladd era perfetto. Non lo conobbe, ma a Fitzgerald l’attore sarebbe piaciuto. Entrambi non alti di statura, biondi, occhi azzurri, tristi e tormentati il giusto. Un quarto di secolo dopo, ancora la Paramount decise per il remake, diede la regia a Jack Clayton e il ruolo a Robert Redford. I personaggi principali del romanzo, oltre a Gatsby, sono Tom Buchanan, il ricco marito di Daisy, e Nick Carraway, il narratore che diventerà amico di Gatsby. Redford è un californiano nato bene, non nasconde il mistero scuro del protagonista, però… è Redford, funziona comunque.

L’ultimo Gatsby è notorio: è Leonardo DiCaprio. La scelta è buona. Anche il Leonardo è californiano, ma possiede quella cifra opportuna di ansia che lo rende perfetto per il “febbrile” arrampicatore Gatsby. E non dà la sensazione, come Redford, di aver ottenuto tutto troppo facilmente dalla vita. Carey Mulligan dà corpo e volto alla viziatissima Daisy della quale Gatsby si è innamorato. Tobey Maguire, il narratore, è un altro carattere al posto giusto, è la spalla perfetta di Gatsby. Il regista Baz Luhrmann è autore dal linguaggio visibile e aggressivo. Ama ridurre le storie a propria immagine e somiglianza. Ma Il grande Gatsby è un testo che sa resistere a tutte le licenze e contaminazioni, sa benissimo tutelarsi da solo.

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