Romeo e Giulietta, Amleto, Otello. La trilogia può essere considerata il podio dell’infinita opera di Shakespeare. I primi due titoli sono già stati raccontati in questa sede. È legittimo che l’Otello chiuda la trilogia. Anche in virtù dell’impegno e della qualità profusi da Franco Zeffirelli.
William Shakespeare scrisse l’Otello nel 1604. Si tratta di una tragedia in cinque atti in versi e prosa. Desdemona, figlia di Brabanzio, sposa in segreto il Moro Otello, famoso generale al servizio della Repubblica di Venezia. Il padre accusa Otello di aver sedotto sua figlia, e il Moro deve difendersi davanti al tribunale del doge. Il processo è interrotto da una notizia drammatica, i turchi si apprestano ad assediare Cipro, e Otello è chiamato a difendere l’isola. Desdemona è autorizzata a seguire il marito. Al loro seguito c’è l’alfiere Iago, geloso di Cassio, che il generale ha promosso a proprio luogotenente. Iago trama la vendetta. Indurrà il Moro a credere che Cassio sia l’amante di Desdemona. La prova è un fazzoletto, trovato in possesso del luogotenente, che Otello aveva regalato alla moglie. Otello, impazzito per la gelosia, uccide la moglie e ordina a Iago di uccidere Cassio. Ma ad essere ucciso da Iago è Roderigo, sul corpo del quale vengono trovate lettere che provano l’innocenza di Desdemona e le trame di Iago. Travolto dal rimorso Otello, si trafigge con la spada.
Giuseppe Verdi riprese il dramma di Shakespeare, affidò il libretto ad Arrigo Boito e compose l’opera, la sua penultima, che venne rappresentata alla Scala di Milano il 5 febbraio del 1887. Otello fu affidato al grande Francesco Tamagno, Desdemona era Romilda Pantaleoni. Anche Rossini aveva composto un Otello, nel 1816, col libretto di Francesco Berio di Salsa. Ma la vicenda era molto lontana dalla trama shakespeariana. Zeffirelli rappresentò l’opera di Verdi.
Franco Zeffirelli, grande artista anche da melodramma, colse l’occasione che gli offriva il grande tenore Placido Domingo, che aveva ottenuto la disponibilità da parte di due produttori ebrei americani, Menachem Golam e Yoran Globus, di investire su un film tratto da un’opera. Il regista pensò a Tosca, che aveva già montato in teatro, ma Domingo suggerì Otello. E c’era una ragione forte: Domingo è stato considerato forse il più grande Otello di sempre. Il ruolo di Desdemona venne attribuito a Katia Ricciarelli, ritenuta perfetta per voce e appeal.
Domingo indicò per la musica il maestro Carlos Kleiber, che lo aveva diretto in una grande edizione dell’Otello alla Scala. Ma il maestro tedesco non parve disposto ad accettare le regole del cinema, molto diverse da quelle dell’opera. Lorin Maazel si dimostrò più duttile e aderì alla mediazione. Si rese conto delle necessità del regista di apportare modifiche al testo musicale. Inoltre occorreva magari tagliare con decisione certe azioni e dilatarne altre. Del resto Zeffirelli, nato regista di teatro, quelle regole le conosceva alla perfezione. Disse: «Sapevamo che i puristi avrebbero ululato con furore, ma Verdi e Boito si erano comportati con Shakespeare come io avrei dovuto fare con loro: rielaborare il testo poetico e musicale per adattarlo alle regole che governano il cinema, che è una forma d’arte con le sue leggi e le sue diverse possibilità narrative».
Alla scenografia venne chiamato Gianni Quaranta, alla fotografia Ennio Guarnieri. Fedele al proprio sincretismo culturale, Zeffirelli intese la leva di eccellenza di due maestri come Shakespeare e Verdi per rilevare, magari sublimare, il momento storico, alto e nobile, della Repubblica marinara di Venezia. Otello non era dunque solo un militare, ma un uomo culturalmente inserito nel suo tempo. Così come gli altri protagonisti. L’ambiente del Moro è pieno di strumenti scientifici rinascimentali, astrolabi e grandi lenti per la navigazione. Insomma l’Occidente cristiano, il Rinascimento. Era l’attitudine, un po’ barocca, spettacolare, del regista abituato al teatro, appunto.
Gli scenari sono, come sempre per Zeffirelli, diversi e lontani. Ci si sposta molto nei film del regista toscano. Il castello di Barletta offrì l’architettura nuda e semplice; Heraclion, sull’isola di Creta, divenne il porto di Venezia. Il resto fu ricostruito a Cinecittà. La critica, soprattutto quella italiana, non si innamorò della trasposizione verdiana, la definì troppo movimentata, salvò i cantanti (bravi attori) e la fotografia. Come spesso accade, Zeffirelli ottenne maggiori riconoscimenti all’estero. Il critico americano Leonard Maltin, uno di quelli che fanno testo, giudicò il film “quasi perfetto”.