“Ci sono molte storie cavalleresche in cui l’eroico cavaliere salva la damigella in pericolo”, ci informa una voce prima che sullo schermo appaia una singola immagine. “Questa non è una di quelle”. Probabilmente non è necessario preparare e/o avvertire gli spettatori sul fatto che Damsel, il costoso giocattolone in stile Dungeons & Dragons prodotto da Netflix, non è il tipico fantasy di cappa-e-spada prima ancora di iniziare, ma grazie per l’avvertimento. Innanzitutto, non c’è stregoneria, a meno che non si consideri la magia che alcuni interpreti sanno apportare a qualsiasi progetto in cui sono coinvolti. È stato prima di tutto concepito come un veicolo per Millie Bobby Brown, che si è fatta un nome interpretando giovani donne intelligenti, intraprendenti e più che capaci di gestire sé stesse in situazioni straordinarie. Il poster è un primo piano del viso sporco di fuliggine di Brown, con la fronte aggrottata e la spada pronta. Il tema del self empowerment femminile è più o meno scontato. Nessuno si aspetta che, da queste parte, verranno realizzati i desideri di una principessa Disney.
Il suo personaggio, Elodie, viene preparato per diventare una principessa, anche se non per scelta. La sua famiglia e il suo villaggio sono caduti in disgrazia e il padre di Elodie, Lord Bayford (Ray Winstone), l’ha praticamente barattata con una casata reale che ha bisogno di una futura regina. La dote permetterà a tutti di superare un lungo e rigido inverno, così Elodie accetta con riluttanza. Insieme al padre, alla gentile matrigna Lady Bayford (Angela Bassett) e alla sorellina Floria (Brooke Carter), Elodie salpa verso l’isola remota dove sarà venduta per sposarsi. Prima che le nebbie si diradino e rivelino la sua nuova casa, la famiglia scorge due giganteschi draghi di pietra, le cui lanterne nelle fauci spalancate guidano i viaggiatori nella baia. È quello che viene definito solitamente “fottutamente inquietante”.
Quando Elodie incontra il suo futuro marito, il principe Henry (il Nick Robinson di Love, Simon), scopre con sollievo che è bello, gentile e un ottimo cavallerizzo. Tuttavia la suocera, l’attuale regina (Robin Wright), che di spose principesse se ne intende, sembra avere qualcosa di strano. Non si tratta dell’atteggiamento freddo, delle risposte brusche o del palese razzismo che mostra. Sembra piuttosto che nasconda una sorta di segreto dietro quel suo sorriso smagliante. C’è anche quella strana luce che brilla da una grotta nelle profondità delle montagne, e che Elodie coglie per caso una notte. Oh, è solo qualcosa che ha a che fare con un rituale secolare, le dice il principe. Non c’è niente da guardare.
Così Elodie accetta il matrimonio e si accontenta di essere portata via subito dopo la cerimonia in una carrozza dorata verso quello che le viene detto essere una sorta di ricevimento speciale. Non importa che la sua famiglia non sia presente – è stata pagata e liquidata – o che la festa si svolga all’imboccatura di una caverna, o che gli ospiti riuniti e mascherati sembrino essersi presi una pausa da un’orgia in stile Eyes Wide Shut. Il principe le guarda le spalle. Finché smette di farlo. Ed è proprio dopo averla gettata in un profondo baratro che conduce all’interno di una fortezza di pietra che Elodie si rende conto di non essere una sposa, ma la vittima di un sacrificio.
Forse ha a che fare con il drago gigante. Tutto è presto spiegato: questo particolare regno è stato tormentato per secoli da un’enorme creatura alata e sputafuoco che, nel breve ma frenetico prologo del film, ha letteralmente arrostito tutti gli uomini del re. Una volta che Elodie si è raccapezzata, scopre di essere caduta nella sua tana. Doppiato dall’attrice iraniana Shohreh Aghdashloo (candidata all’Oscar nel 2004 per La casa di sabbia e nebbia), questo rettile ciarliero fa le fusa, ringhia e schernisce la sua nuova preda; è il tipo di predatore che ama giocare con quello che diventerà il suo pasto. Inizia così un gioco del gatto e del topo, o meglio, una caccia alla bestia in cui Elodie deve farsi strada come Lara Croft attraverso caverne, laghi e scogliere, mettendo insieme gli indizi lasciati dai suoi nobili predecessori defunti per evitare di diventare lo spuntino di questo giro.
Una volta che la nostra eroina viene letteralmente gettata nel pericolo, Damsel diventa tanto un survival thriller quanto un fantasy in stile Game of Thrones. E anche se sembra che sia stato concesso un mucchio di soldi per dare a questo film il livello di spettacolarità di GoT e il tipo di effetti visivi che solitamente associamo ai blockbuster del grande schermo (anche se le probabilità di vedere un prodotto come questo su uno schermo veramente grande sono altamente improbabili), è un film che funziona molto meglio quando si limita a far correre la sua protagonista, a farla saltare, a schivare colpi e, alla fine, a reagire. È la comfort zone del regista spagnolo Juan Carlos Fresnadillo, specializzato in film horror che prevedono inseguimenti e luoghi angusti (28 settimane dopo, Intruders).
Da volto di contorno in recenti film del “MonsterVerse” Godzilla/Kong, Millie Bobby Brown ha di solito il compito di radunare altre persone per dare una mano o combattere i colossi, quando non fa i dispetti ai cattivi di dimensioni umane. In questo caso, però, la sua eroina deve affrontare la battaglia da sola, e si sente che il film vuole lanciare una sorta di dichiarazione di indipendenza, soprattutto quando la sorellina di Elodie viene coinvolta nella missione. La giovane protagonista non ha bisogno di una combriccola di adolescenti anni ’80, di una figura paterna o di un famoso fratello maggiore detective che la tiri fuori dai guai, né del solito cavaliere dall’armatura scintillante che la salvi.
Come nel caso dei film di Enola Holmes, Brown è la parte migliore di questa rivisitazione in chiave femminista del classico film d’avventura per ragazzi. Si sente che Netflix sta puntando su di lei come eroina d’azione “della casa” utilizzabile all’infinito, nello stesso modo in cui la produttrice-star sta utilizzando la piattaforma di streaming per condurre la sua carriera in una fase più matura. Quando Elodie viene portata all’ingresso della caverna subito dopo il matrimonio, indossa ancora l’abito da sposa e il corsetto costrittivo che le conferisce l’aspetto di una bambola medievale. Quando emerge dalla sua prigione sotterranea in modalità “lady vendetta”, l’abito è stato bruciato, fatto a pezzi ed è macchiato di sangue. L’ex principessa ora assomiglia all’immagine del poster, e si ha la sensazione che questo restyling operi su due livelli. Questa damigella doveva essere carina e stare zitta; ora è la nuova Madre dei Draghi, pronta a fare piazza pulita di chiunque la pensi diversamente. L’unica cosa in pericolo è la cultura che continua a volerla prigioniera.