‘Decision to Leave’, il capolavoro noir di Park Chan-wook che svela la crisi del cinema | Rolling Stone Italia
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‘Decision to Leave’, il capolavoro noir di Park Chan-wook che svela la crisi del cinema

E degli Oscar. L’Academy si è dimenticata di uno dei titoli migliori dell’annata. Prova del fatto che oggi nessuno capisce più niente. Neanche davanti a un autore che usa i codici del noir classico per proiettare il (suo) cinema nel futuro

‘Decision to Leave’, il capolavoro noir di Park Chan-wook che svela la crisi del cinema

‘Decision to Leave’ di Park Chan-wook

Foto: Lucky Red

Dicono sempre tutti degli Oscar non me ne frega niente, gli Oscar non servono a niente, sono solo premi aziendali, mica l’espressione dell’arte del cinema dei cazzi e dei mazzi, e sarà anche vero, e però poi esultano quando agli Oscar “c’è un po’ d’Italia” (cit. da un amico mio), quando Alice Rohrwacher viene candidata per Le pupille (bellissimo!), quando semplicemente le cose che piacciono a loro vengono candidate, riconosciute, premiate. Gli Oscar saranno l’asilo di Hollywood, ma l’asilo piace a tutti. E quindi, contatti che vi lamentate sul feed (e che a poco a poco oscurerò del tutto), datevi pace: gli Oscar saranno pure una sciagura (ma non starete esagerando?), ma anche un giochino che a tutti piace fare, voi compresi. A me di sicuro.

Dunque sul solito feed vedo gente (le solite due persone e mezza, vabbè) che dice degli Oscar non me ne frega niente ma che si dice però indignatissima perché Decision to Leave di Park Chan-wook – premio per la miglior regia a Cannes scorso, nelle sale italiane dal 2 febbraio – non è stato nominato tra i film internazionali. È uno scandalo che anima due persone e mezza, appunto, ma a quelle due persone e mezza tocca oggi dar ragione.

Decision To Leave, il nuovo film di Park Chan-wook | Trailer ITA HD

Decision to Leave è bellissimo, e la recensione potrebbe finire qui. Mi sforzo un po’ di più. Park Chan-wook è uno dei pochissimi registi capaci di portare il classico (Fritz Lang, Hitchcock, i romanzi di Matsumoto Seichō) dentro la contemporaneità. Decision to Leave è un film modernissimo, quasi avanguardista per come immagina un’evoluzione del mezzo ormai digitalizzato (stupefacente il lavoro del direttore della fotografia Kim Ji-yong), ma anche un noir classicissimo, appunto: il detective che indaga sulla morte di un riccone caduto da una scogliera s’innamora della di lui vedova, ovviamente prima sospettata del caso.

Tutto classico, anche rispetto a sé stesso: Park asciuga e insieme esagera come suo solito, ci mette quel gusto per il melodramma che già c’era nei film della vendetta ma lo rende ancora più classico (l’ho già detto?), e lo stesso vale per l’ironia (i pranzi a base di sushi tra investigatore e interrogata), i lampi sociopolitici (siamo un popolazione, globale, che fa di tutto per rimuovere il dolore), l’esibizione muscolare di regia. È tutto classico, e tutto nuovo. Fino al finale, il più bello e struggente dell’annata.

Tang Wei è la protagonista femminile del film. Foto: Lucky Red

E dunque il giochino degli Oscar, che interessi o no, pone un problema. L’effetto Parasite ovviamente si è fatto sentire, negli ultimi anni. L’Academy e i suoi membri sono sempre più interessati – sinceramente o furbescamente – a includere il cinema cosiddetto internazionale dentro l’agone più americanocentrico che ci sia (e che resta tale). E son ben contenti di far vedere che i film in lingua non inglese sono candidati nelle massime categorie: il Parasite pigliatutto, appunto, e l’anno scorso il sommo Drive My Car, e quest’anno Triangle of Sadness e Niente di nuovo sul fronte occidentale.

Con un paradosso: nell’ansia di mostrare che il cinema è sempre più globale, che nella categoria best picture può concorrere chiunque, si sono dimenticati della cinquina “miglior film internazionale”, diventata davvero una riserva indiana, un concetto antistorico, un mischione pasticciatissimo. Quest’anno se la giocano, accanto al citato favorito (e sopravvalutato) Niente di nuovo sul fronte occidentale di Edward Berger, un’opera seconda che riconferma senza sorprese il talento di un giovane belga (Close di Lukas Dhont), la compatta dramedy legale pensata per un pubblico largo e ingiustamente snobbata dalla stampa cinéphile (Argentina, 1985 di Santiago Mitre), l’opera senile di un maestro (?) polacco (EO, il twist on Bresson di Jerzy Skolimowski), il dark horse gaelico finito dentro si direbbe per caso (The Quiet Girl di Colm Bairéad).

Il vero miglior film internazionale (qualunque cosa significhi) dell’anno è finito stritolato da logiche incomprensibili, miopie incrociate, epoca del TooMuchTutto (film, serie, contenuti che dir si voglia) che non aiuta più nessuno, non distingue più niente. Per quel che valgono gli Oscar (e per me continuano ad essere un giochino delizioso), è la prova che il cinema, oggi, forse davvero non lo capisce più nessuno.

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Guarda la clip di Decision to Leave in esclusiva per Rolling Stone: