Assomigliava a mio nonno, ma chi se ne importa. Assomigliava a mio nonno ma mio nonno non aveva quegli occhi da pazzo, ma chi se ne importa. Che poi non erano occhi da pazzo, non erano gli occhi di Jack Nicholson, per capirci. Erano gli occhi dell’uomo che conosci – che pensi di conoscere – e che però a un certo punto devia, prende l’uscita sbagliata, e però guarda che bella questa strada, quasi quasi vado avanti per di qua. Era l’americano che, per dire, si ritrovava a Venezia (nel Casanova di Federico Fellini, e poi in quel dicembre rosso shocking), e però mica andava a prendersi il bellini al Florian. Chi se ne importa di quello, se sei – se eri – Donald Sutherland.
Muoiono tutti, muoiono di più, o forse ce ne accorgiamo noi di più perché invecchiamo e non accettiamo il fatto che i vecchi di prima adesso sono vecchissimi, e poi non ci sono più e basta. Muoiono tutti quelli che hanno troppa storia, e come si fa a sintetizzarla. La breaking news di Variety che annunciava quest’ultima morte titolava: “Donald Sutherland, star di M*A*S*H, Una squillo per l’ispettore Klute e Hunger Games, è morto a 88 anni”. Se avessero chiesto a me, così a bruciapelo, tre film suoi, avrei detto i due veneziani di prima – il Casanova e Don’t Look Now (cioè A Venezia… un dicembre rosso shocking) – e poi forse sì, M*A*S*H, o il sottovalutatissimo 6 gradi di separazione, o ovviamente Novecento, o perfino Gente comune, o il delizioso e dimenticato Il mondo di Alex di Mazursky. (Personalmente, ho un debole anche per il suo Gesù Cristo di E Johnny prese il fucile, ma capisco che così entriamo nel campo delle perversioni.)
Era abbastanza inclassificabile, Donald Sutherland, un po’ perché era uno di quelli che sembravano vecchi da sempre, e non solo perché assomigliava a mio nonno (il corrispettivo femminile è Maggie Smith: non farci scherzi, per favore). Aveva l’aria del buon padre di famiglia (su tutti Gente comune, appunto), ma anche il tipo imprendibile, sempre spavaldo, a volte diabolico, molto sexy probabilmente a sua insaputa. Don’t Look Now passa per uno dei film più erotici di sempre, leggenda vuole che gli amplessi fra lui e Julie Christie fossero veri (è naturalmente una bufala), ma è un eros pieno di morte e di paranoia, la discesa agli inferi dell’ordinary man che ordinary non lo è mai stato.
Altra leggenda nella leggenda è la genesi del Casanova felliniano. Dino De Laurentiis, che ci metteva i soldi, voleva Robert Redford, ma si andava fuori budget. Furono opzionati Michael Caine già casanovissimo Alfie, e Nicholson, e Michel Piccoli, pure il nostro Volonté (anche Sordi voleva farlo, ma non aveva evidentemente il physique du rôle). Alla fine Fellini scelse Sutherland per quella sua “faccia cancellata, vaga, acquatica, che fa venire in mente Venezia. Con quegli occhi celestini da neonato, esprime bene l’idea di un Casanova incapace di riconoscere il valore delle cose e che esiste soltanto nelle immagini di sé riflesse nelle varie circostanze”. Fellini aveva compreso, ovviamente, tutto.
Sutherland era l’americano in vacanza (in realtà era canadese, e pure in quello stava la differenza), ma non di quelli che seguono l’ombrellino della guida. Era quello che avrebbe voluto vivere l’avventura senza mai riuscirci fino in fondo, o in fondo riuscendoci proprio per questo suo continuo ma vano tentativo di sfuggirle. Era l’Hemingway che non aveva il coraggio di esserlo, come in Ella & John – The Leisure Seeker di Paolo Virzì, che con l’occhio dell’europeo in America – esattamente come Sutherland era stato americano in Europa – a suo modo l’aveva capito benissimo.
Era partito da comico, e poi però quel suo lato debordante – anche se sempre più elegante rispetto agli altri: vedi la scena del martini senza l’oliva in M*A*S*H, accanto al ben più incontenibile Elliott Gould – era tornato fuori di rado, forse giusto con il professore di Animal House, o nel brutto remake dei Soliti ignoti (!) diretto da Louis Malle (!!) a Hollywood (!!!), per fortuna collettivamente rimosso.
Era inclassificabile e forse per questo non è mai stato candidato all’Oscar (vergogna!), per quel che valgono gli Oscar. Ne ha vinto uno alla carriera nel 2018, uno di quei risarcimenti tardivi che dicono quanto sono stupidi gli americani, alle volte. E allora s’è messo a fare il nonno, mandando avanti il figlio Kiefer che, forse per smania di essere prim’attore, vero divo non lo è diventato mai, a differenza del padre che invece nel suo divismo scompariva. E anche da nonno è di nuovo scomparso senza scomparire mai, e per tutti, negli ultimi vent’anni, è stato un po’ quello, anche per coloro i cui nonni non gli assomigliavano per niente.
Il nonno di Space Cowboys, e di Italian Job, e di Cold Mountain, e poi nonno ultrapop nella saga degli Hunger Games, lì almeno nazi-stronzo con gli occhi da pazzo come solo i suoi nonni avrebbero potuto essere. Fino a quella ciofeca però irresistibile di The Undoing, anche lì riccastro bastardo animato da una malvagità talmente fumettistica che però, in mano sua, riusciva per magia a sventare qualsiasi cliché.
Era un nonno, elegantemente svogliato, anche nel suo ultimo film, Mr. Harrigan’s Phone. È su Netflix, è uno di quei mille adattamenti di Stephen King in cui c’è un vecchio stronzo che muore e si porta via un mistero, e tutto quello che è, imprendibilmente, è stato. “Mi ricordo solo quello che ricordo”, diceva il suo John nel film di Virzì. Noi lo ricorderemo così, nonno, casanova, pazzo, signore.