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‘Drive-Away Dolls’, la buddy comedy queer di Ethan Coen non va da nessuna parte

Il co-regista del 'Grande Lebowski' offre un mix di sesso, violenza, gangster, idioti e due migliori amiche in viaggio. Senza però nessuno al volante
Drive-Away Dolls

Foto: Wilson Webb/Working Title/Focus Features

Un road trip. Uno scambio di persona. Un eroe dalla parlantina veloce, incline a pronunciare frasi super prolisse. Criminali che spaziano dall’eccentrico allo psicotico sino all’incapacità più assoluta (e a volte hanno tutte e tre queste caratteristiche insieme). Violenza pericolosamente inaspettata. Umorismo pericolosamente dark. Acconciature pericolosamente stravaganti. La sensazione di guardare un film noir vintage con un filtro Looney Tunes. È un film dei fratelli Coen: avete bisogno di un disegnino?

In realtà, una sorta di mappa sarebbe una benedizione sia per gli spettatori che per i creatori di Drive-Away Dolls, uno dei quali è davvero un Coen. Insieme a suo fratello Joel, Ethan Coen ha trascorso quasi quattro decenni come metà di una coppia di registi che è diventata sinonimo di un certo tipo di esperienza cinematografica: folle e comica (Arizona Junior, Il grande Lebowski, Burn After Reading – A prova di spia) o sinistra e causticamente esistenziale (Blood Simple – Sangue facile, Crocevia della morte, Non è un paese per vecchi). Se poi siete fortunati, entrambe (Barton Fink – È successo a Hollywood, Fargo, A Serious Man). Ancor prima che i fratelli decidessero di perseguire progetti in solitaria dietro la macchina da presa, Ethan lavorava anche al di fuori della partnership, scrivendo opere teatrali, poesie e una raccolta di racconti. Jerry Lee Lewis: Trouble in Mind, il doc del 2022 sulla leggenda del rock’n’roll che ha realizzato con la moglie Tricia Cooke, ha dimostrato che, se avesse voluto, avrebbe potuto mettere su un ottimo side business girando ritratti di artisti.

Questa seconda collaborazione tra Coen e Cooke, da una sceneggiatura che i due avevano scritto alla fine degli anni ’90, entra in un territorio estremamente riconoscibile. Siamo a Philadelphia, è il 1999. Un uomo (Pedro Pascal) entra in un bar. Ha con sé una valigetta. Quando la persona che deve incontrare non si presenta, si rifugia in un vicolo e gli viene rubato il pacco. Presto un gangster ben vestito (il grande Colman Domingo) e due delinquenti tonti (C.J. Wilson e Joey Slotnick) si presentano in un’azienda specializzata nell’assumere persone per guidare veicoli fino a una determinata destinazione. Consegneranno la valigetta a un cliente a Tallahassee, in Florida. Il titolare può restituirgli l’oggetto che hanno spedito il giorno prima, per favore?

Pedro Pascal e Matt Damon in ‘Drive-Away Dolls’. Foto: Wilson Webb/Working Title/Focus Features

Il problema è che il proprietario non sveglissimo dell’attività (Bill Camp) pensava che due ragazze arrivate prima, chiedendo un passaggio “in auto” per il Sunshine State, fossero quelle che dovevano consegnare il malloppo. I malviventi quindi ora devono trovare le due che involontariamente sono fuggite con il pacco e recuperarlo. Questa è la parte in cui ti aspetti un’ondata di inseguimenti da uno Stato all’altro, incontri ravvicinati, quell’ah-ah-bang-bang che è diventato una firma della produzione Coen, emozioni, rovesciamenti e/o brividi. Ulteriori elementi in campo possono includere un politico corrotto, una testa mozzata in un cestino e una serie di riferimenti intellettuali – diciamo i romanzi di Henry James – che si scontrano con uno tsumani di battute sui cazzi. L’eredità di Cynthia Plaster Caster gioca un ruolo importante. Beanie Feldstein interpreta una poliziotta perennemente arrabbiata. Matt Damon fa un cameo, grazie a un mandato dell’industry che stabilisce che un film su cinque deve avere un cameo di Matt Damon.

C’è però una cosa che separa Drive-Away Dolls dal solito modello di decostruzione à la Pulp Fiction che i fratelli avevano perfezionato in passato: è la straordinaria quantità di queerness gloriosa e orgogliosa incorporata nella storia, qualcosa che fareste fatica a trovare nei loro lavori precedenti. Cooke si identifica come lesbica (lei ed Ethan hanno una relazione non tradizionale) e in un recente Q&A ha dichiarato di aver iniziato a sviluppare idee proprio su questo, in parte per la frustrazione di non vedere un certo tipo di rappresentazione sullo schermo. Ha anche citato il capolavoro di exploitation di Russ Meyers Faster, Pussycat, Kill! Kill! come pietra di paragone. Il titolo originale, ha detto Cooke, era Drive-Away Dykes, che suggerisce intenzionalmente la seconda metà di un doppio spettacolo grindhouse del Forty-Deuce. Ma avrebbe accettato anche Drive-In Dolls. È ambientato negli anni Novanta e trae vantaggio dalla vibe di positività sessuale del XXI secolo, ma c’è tutta l’invidia per i film di serie B di anni ’60/inizio anni ’70.

Ma sono le due protagoniste lgbtq+, giovani e inavvertitamente in fuga, a fornire quel poco carburante che c’è qui. Marian (Geraldine Viswanathan) è un’introversa appassionata di libri e non ha più avuto rapporti con nessuno dopo la rottura con la sua ragazza diversi anni prima. La sua migliore amica, Jamie (Margaret Qualley), è una fuorisede texana a Philadelphia che vive di incontri improvvisati e body shot al bar locale. La prima cosa che Jamie fa dopo essersi unita al viaggio di Marian verso Sud per andare a trovare sua madre è mappare tutti i punti caldi lgbtq+ lungo il percorso. È determinata ad assicurarsi che la sua amica apprezzi il lato più carnale della vita durante il tragitto, che sia nel ritrovo lesbico di una piccola cittadina o alla festa nel seminterrato di una squadra di calcio femminile. Questo è un film tutt’altro che timido riguardo al sesso, ed è un forte contendente per il premio di maggior numero di battute pro capite sui dildi rispetto a qualsiasi film uscito negli ultimi 75 anni. La tensione tra queste due giovani donne è meno concentrata sul “lo faranno o non lo faranno?” e più su quanto le cose potrebbero diventare piccanti.

E allora perché Drive-Away Dolls sembra costantemente al volante della marca e del modello sbagliati di auto per la destinazione prevista? In parte dipende dal fatto che non c’è nessuno più qualificato di un vero fratello Coen per realizzare un film à la Coen, eppure il mix di cliché del genere noir e la versione saffica di un film vintage di sexcapade producono l’equivalente cinematografico di un brutto appuntamento al buio. Nessuno dei “film dentro al film” si sincronizza, sembra che i bizzarri elementi crime e la trama da buddy comedy stiano lottando ciascuno per il proprio spazio. Solo Qualley sembra rendersi conto di essere in un gioco creato da metà della squadra dietro Fratello, dove sei? e cerca costantemente di amplificare la sua cadenza texana, il volume e la velocità di questa variazione sull’avvincente archetipo della donna con la macchina in panne. Nel frattempo a Viswanathan – una deliziosa dinamo comica dei nostri giorni – viene assegnato un personaggio timido e perennemente teso, che finisce per essere quasi unidimensionale.

La necessaria chimica del fuoco e del ghiaccio non prende mai il volo. Né, del resto, gli intermezzi psichedelici e i faticosissimi tentativi di comicità demenziale spruzzata di sangue. In altre parole, vi ritroverete a dover sopportare un viaggio accidentato su una strada che non porta da nessuna parte. Non stavamo scherzando, quando parlavamo della mappa: Drive-Away Dolls è un mash-up che ha disperatamente bisogno di una direzione.

Da Rolling Stone US

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