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‘Five Nights at Freddy’s’ poteva essere molto più divertente di così

Il film (già campione d’incassi) che cerca di rinverdire i fasti degli horror starring robot assassini e compagnia terrorizzante è un passatempo che qua e là funziona. Ma che si prende sempre troppo sul serio

Foto: Universal Pictures

È difficile dare una nuova mano di vernice a quei e amatissimi vecchi film sui robot assassini, ma questo non significa che non ci si possa provare. Il genere ha riscosso grande successo in passato grazie a omicidi che avevano a che fare coi viaggi nel tempo (Terminator), alla satira del turismo nella Frontiera americana (Westworld) e alle riflessioni venate di noir su quanto gli esseri umani siano diversi dalla vita artificiale che creano (Blade Runner). Sembra che, se proprio dobbiamo guardare i robot finire male, vogliamo avere qualche nuova idea da “masticare” mentre lo facciamo.

Five Nights at Freddy’s, il film di Halloween prodotto dalla Blumhouse e nelle sale italiane dal 2 novembre, ha molto da masticare, forse troppo. Attingendo a un bel po’ di materiale di partenza, tra cui almeno una decina di videogiochi e una trilogia di romanzi, si sforza di creare un universo soprannaturale, trascurando però – nelle quasi due ore di durata totali – di mantenere le promesse di base; cioè essere un film spaventoso, sì, ma costruito su una premessa comica. Si rimpiange la violenza splatter, la sceneggiatura cinica e la schietta scemenza di un cult techno-horror come Supermarket horror (1986), in cui zelanti guardie di sicurezza robot eliminavano un’intera banda di adolescenti arrapati intrappolati in un centro commerciale in soli 76 minuti. O il successo della Blumhouse M3GAN, uscito qualche mese fa, che ha dimostrato il valore dell’umorismo camp quando veniamo terrorizzati da un giocattolo malvagio.

Ma Freddy’s punta a fare delle persone, e non delle sue macabre macchine, le star dello spettacolo, e patisce questa decisione. Dopo l’uccisione iniziale di una guardia di sicurezza in preda al panico che scappa da una minaccia invisibile per poi finire chiusa in quel tipo di situazione letale che ci si aspetterebbe dal franchise di Saw, incontriamo Mike Schmidt (Josh Hutcherson), un buontempone un po’ sfigato che fa da tutore alla giovane sorella Abby (Piper Rubio) ma non riesce a entrare in contatto con lei o con il suo mondo fantastico. Perde il suo lavoro di guardia di sicurezza in un centro commerciale dopo aver aggredito un uomo che credeva stesse rapendo un ragazzo – veniamo a sapere che Mike da bambino aveva assistito al rapimento del suo fratellino Garrett, che non è mai più stato trovato – e una zia coglie l’occasione per chiedere la custodia di Abby, presumibilmente per poter riscuotere gli assegni governativi.

Questo stratagemma è indubbiamente un po’ poco convincente (chi, esattamente, si arricchisce con i sussidi per l’assistenza all’infanzia?), ma abbiamo bisogno di una motivazione che spinga Mike ad accettare un nuovo lavoro da guardia di sicurezza suggeritogli da un inquietante consulente (il sempre divertente Matthew Lillard). Il suo primo turno è in un cimitero, e a Mike piace passare le notti tornando sul luogo della scomparsa di Garrett, in una sorta di sogno-ricordo deliberatamente indotto per cercare di ritrovare anche solo un dettaglio trascurato che possa risolvere il mistero. Se vi state chiedendo perché questo espediente psicologico alla Nolan sia stato inserito nella storia di questa sala giochi che si rivela una trappola mortale infestata da bestie animatroniche, be’, avete capito come Freddy’s divida il suo focus in due, con risultati deludenti.

Mike accetta la sua nuova situazione e si presenta a fare la guardia di sicurezza in un locale decrepito e chiuso, la pizzeria Freddy Fazbear’s, che qualsiasi spettatore riconoscerà immediatamente come una controfigura di Chuck E. Cheese. È un luogo inquietante, con le solite luci che si spengono, suoni inspiegabili e un gruppo di automi animali che un tempo presumibilmente guidavano i cori di “Happy Birthday” per bambini urlanti e affamati di dolcetti. Queste creature, provenienti dal Creature Shop di Jim Henson, sono adeguatamente bizzarre e colorate, anche se non acquisiscono mai una personalità individuale. Il vero problema di questa impostazione è che il film non la sfrutta: non ci addentriamo nel marcio della nostalgia, né troviamo un ambiente particolare capace di generare la suspense che desideriamo. Solo verso il finale, quando una terrorizzata Abby si nasconde dai robot immergendosi in una vasca di palline, c’è un breve flash su come quella sorta di parco giochi abbandonato avrebbe potuto essere utilizzato al meglio.

Elizabeth Lail e Josh Hutcherson in una scena del film. Foto: Universal Pictures

A poco a poco, questa storia un po’ noiosa comincia a ricomporsi grazie alla visita di Vanessa (Elizabeth Lail), una poliziotta che pattuglia il quartiere e che sa quanto Freddy abbia già spaventato molti guardiani notturni. Quando la donna si lascia sfuggire che il locale è stato chiuso a causa di una serie di rapimenti avvenuti negli anni ’80, Mike, che dorme regolarmente sul posto di lavoro per continuare a indagare sui suoi sogni, intuisce che la cyber-infestazione e il caso di suo fratello potrebbero essere collegati, e che Vanessa sa più di quanto voglia ammettere. Presto porta dunque Abby ad accamparsi con lui nel locale, e il fratello si allarma nello scoprire che i robot sono figure familiari per la ragazzina, che li identifica come quei suoi “amici” che lui aveva sempre ritenuto immaginari. E anche i robot sono eccitati dalla presenza di Abby, il che suona altrettanto allarmante.

A quel punto, naturalmente, abbiamo già assistito ad altri omicidi. I robot sono molto più efficienti quando si tratta di eliminare delinquenti di basso livello che si introducono nelle ore diurne, e che sono parte di un contorto piano della zia di Mike per fargli perdere il lavoro e, di conseguenza, la custodia di Abby. Tuttavia, questa sequenza – come il resto del film – è interpretata in modo incredibilmente serioso: visti i cattivi da cartone animato, ci si aspetterebbe almeno un po’ di autoironia. Freddy’s invece si muove come un droide nella direzione opposta, costruendo con estrema cupezza una mitologia non così interessante.

Forse questo approccio è più accattivante per i videogiochi di genere survival che hanno ispirato questo adattamento. E forse la novità rappresentata dalle mascotte di questo franchising soddisferà gli spettatori meno esigenti. Tuttavia, come storia che pretende di scandagliare la misteriosa sparizione di bambini, Five Nights at Freddy’s resta curiosamente inerte, poco incline a entrare nelle emozioni dello spettatore anche quando diventa denso di spiegazioni su ciò che sta accadendo. È sbagliato paragonare il minaccioso orso robot a Freddy Krueger, l’iconico assassino di bambini che condivide il suo stesso nome, ma va detto che quell’uomo, a differenza di questo film, azzeccava più di una gag perversa.

Da Rolling Stone US

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