L’America è in crisi. Siamo alla fine degli anni ’60 e la promessa del presidente John F. Kennedy di portare un uomo sulla Luna entro la fine del decennio non è ancora stata mantenuta. La National Aeronautics and Space Administration (in breve: NASA) ha subìto una grave battuta d’arresto quando un test di prova per il lancio dell’Apollo 1 è andato storto e tutti e tre i membri dell’equipaggio sono morti. I russi sembrano in vantaggio nella corsa allo spazio, l’interesse del pubblico per la conquista delle stelle sta scemando e i finanziamenti dell’organizzazione sono in pericolo. Solo una cosa può salvare la missione di piantare la bandiera a stelle e strisce nel Mare della Tranquillità: pubbliche relazioni di primissima qualità.
Ai tempi, uno come Billy Wilder avrebbe ucciso con una premessa del genere. Ma c’è ancora molta satira da fare a proposito del fatto che Madison Avenue (la strada dei pubblicitari di Manhattan che fa da sfondo a Mad Men, ndt) abbia spianato la strada a “un grande passo per l’umanità” e di come lo spirito pionieristico che ha portato Armstrong & Co. sulla superficie lunare fosse totalmente intrecciato con il marketing e il profitto. Meglio ancora: prendete questo soggetto e trasformatelo in una commedia romantica rétro, affidatela a una coppia di star del cinema in grado di sedurre la macchina da presa e sfoggiare in modo convincente sciccosi abiti anni ’60 e… boom! Avrete un’ottima “contro-programmazione” rispetto ai soliti blockbuster estivi.
Allora perché questa rom-com non ci convince? Se c’è mai stato un attore moderno in grado di convincervi di essere un astronauta old school, quello è Channing Tatum, un adone dalla mascella squadrata e dai tempi comici impeccabili. Volete un’attrice che sappia essere intelligente, sexy e allo stesso tempo far sembrare elegante un abito senza maniche con un nodo a farfalla? Dovrete ingaggiare per forza Scarlett Johansson, che con la sua voce roca può evocare la Vecchia Hollywood, ma sapendo come dare un tocco ironicamente contemporaneo agli stereotipi di un tempo. Prima che l’agente pubblicitaria Kelly Jones e l’affascinante pilota e pezzo grosso della NASA Cole Davis si incontrino in una tavola calda, il personaggio di Johansson convince un gruppo di dirigenti maschi e sessisti sul mettere le cinture di sicurezza nelle auto sportive grazie a una combinazione di sensualità, statistiche e la convinzione che i fessi nascono davvero ogni minuto. È anche incinta di sei mesi, un dettaglio che si rivelerà falso. Il suo talento, invece, è reale al 100%.
È Moe Berkus (Woody Harrelson), spia del governo, a presentarsi alla porta di Jones, pronto a reclutarla per un’operazione speciale. Lei e la sua assistente (Anna Garcia) devono recarsi a Cape Canaveral e trasformare l’imminente missione Apollo 11 in un colpo di propaganda e in un’occasione di guadagno per l’azienda. Improvvisamente, attori affascinanti fingono di essere ingegneri scapestrati della vita reale come Henry Smalls (Ray Romano) in Tv, e gli astronauti dell’Apollo finiscono sulle copertine di Time Magazine e di Tang. Davis può anche aver detto impulsivamente che Jones è la donna più bella su cui abbia mai posato gli occhi mentre sorseggiava un martini in un ristorante, ma quando lei inizia a mettere in crisi la missione che lui sta conducendo, il nostro uomo in dolcevita è pronto ad esplodere.
C’è qualcos’altro che Berkus vuole che questa maestra del marketing organizzi: un piano di riserva. Jones deve inscenare un finto touchdown lunare che sarà trasmesso al posto della missione vera e propria, in modo che gli Stati Uniti ottengano la vittoria a prescindere. Assume come regista il “Kubrick delle pubblicità”, tale Lance Vespertine (il Jim Rash di Community). Naturalmente, Jones deve tenere tutto questo nascosto a Davis. Il che è difficile, perché i due si stanno innamorando…
Sembra tutto fantastico, giusto? Se non fosse che gli sceneggiatori Keenan Flynn, Rose Gilroy e Bill Kirstein cercano di creare una farsa cospirativa che, nella meravigliosa epoca di QAnon in cui viviamo, lascia un sapore piuttosto amaro in bocca. Eppure, anche prima che questo diventi parte dell’equazione, Fly Me to the Moon – Le due facce della Luna ti fa sentire come se non riuscisse ad atterrare su nulla. Le battute sono scritte per essere lette a una velocità esagerata (“È facile per gli occhi!”, “Sì, ma è difficile per le orecchie!”), ma anche i botta e risposta più eleganti si sprecano. Tatum sembra insolitamente bloccato sulla prima marcia, nonostante abbia fascino, carisma e capacità comiche da vendere; contro ogni previsione e ogni ragionevole legge dell’attrazione, lui e Johansson non riescono a creare un’alchimia convincente sullo schermo. Il regista Greg Berlanti riesce a replicare il tono e l’atmosfera di una mediocre commedia di metà anni ’60, ma in modo fin troppo scolastico; e non si capisce se voglia essere cinico nel suo ritratto del mondo del marketing o sentimentale nella sua nostalgia per un momento cruciale della Storia americana: il film manca il bersaglio in entrambi i casi. Si tratta di una commedia romantica, non di scienza missilistica, ragazzi.
Solo Scarlett Johansson e il reparto costumi sembrano aver capito il compito assegnato, e se la vostra idea di una bella serata al cinema è quella di vederla indossare decine di abiti 60s filologicamente ricreati, allora pagate il biglietto e fatevi un giro da queste parte. Altrimenti, potreste ritrovarvi a rabbrividire mentre la star di Black Window cerca di salvare da sola questo pasticcio e a mormorare tra voi: “ScarJo, abbiamo un problema”. Dati i talenti coinvolti, Fly Me to the Moon dovrebbe essere la risposta stellare alle nostre preghiere estive. Invece, riesce a malapena a decollare.