Se un tornado avesse travolto la vostra casa in stile Mago di Oz, l’avesse fatta roteare nello spazio e nel tempo e l’avesse fatta cadere nel parcheggio di un centro commerciale nel 1996, è molto probabile che avreste visto una fila di persone in attesa di vedere un film su quel medesimo disastro. Un film in cui Bill Paxton, Helen Hunt e una nutrita schiera di caratteristi schivano mucche e detriti volanti mentre vortici in CGI distruggono l’Oklahoma. Se non lo guardate da un po’, ripassatevi Twister, e vi troverete di fronte a una sorta di capsula del tempo con le emozioni in formato kolossal, a uno strano remake della Ragazza del venerdì in cui la caccia alla tempesta si sostituisce al giornalismo e a un ossessivo Philip Seymour Hoffman che mastica qualsiasi cosa non venga scagliata in giro. Il regista Jan de Bont dirige quella furia digitale come se stesse ancora ronzando sui fumi dell’autobus di Speed. Questo film era già l’aggiornamento di una pellicola di Irwin Allen di fine anni ’70. Ma non c’era nulla che facesse pensare a una “proprietà intellettuale ben riconoscibile che richiede un ulteriore sequel nel 2024”.
Eppure eccoci qui, ancora una volta sulla breccia, con una nuova generazione di cacciatori di tempeste rivali persi su strade rurali e gli stessi vecchi vortici vertiginosi che fanno a pezzi qualsiasi cosa si trovi sul loro cammino. Twisters cita e strizza l’occhio al film del ’96, soprattutto nell’introduzione del macchinario anti-tornado Dorothy V e in una familiare stretta di mano. In effetti c’è più di un twister da affrontare, il che vale la “pluralizzazione” del titolo. Glen Powell e Daisy Edgar-Jones si calano nei ruoli principali e dimostrano di essere a loro agio nel fingere di fissare i disastri naturali in arrivo, così come nel guardarsi negli occhi l’un l’altra. Il regista Lee Isaac Chung (Minari) contribuisce a creare spirali distruttive dall’aspetto realistico senza lasciare che la narrazione vada fuori controllo. A differenza della maggior parte delle rivisitazioni di precedenti successi al botteghino, il film non si basa sulla nostalgia dell’originale. Tuttavia, mostra un serio debole per un’epoca cinematografica passata, quando due star fotogeniche, una semplice premessa high-concept e la promessa di un grande caos digitale erano sufficienti a far sedere milioni di persone sulle poltrone.
In effetti, l’inquadratura chiave, che ci fa capire cosa si sta inseguendo qui, non prevede nemmeno l’uso di tecnologie all’avanguardia o di gargantuesche tempeste galattiche che radono al suolo intere città. È un omaggio a un altro regista che ha perfezionato un certo tipo di magia da blockbuster estivo. A questo punto, abbiamo già conosciuto la Kate Cooper di Edgar-Jones, un’intraprendente meteorologa che pensa di aver scoperto, insieme alla sua squadra, come “domare” un tornado. Ma un altro tornado si mette in mezzo. Addio, colleghi della Cooper. Abbiamo anche sentito già Javi (Anthony Ramos), un collega fanatico delle condizioni meteorologiche estreme, parlarle di una nuova tecnologia militare in grado di raccogliere dati sufficienti per aiutarli a vedere la luce alla fine di quei tunnel. Inoltre, ci è stato presentato il Tyler Owens di Powell, un affascinante youtuber che pubblica video dall’interno dei tornado. Il personaggio temerario del “Tornado Wrangler” è fortissimo. Il suo gioco di branding e merchandising lo è ancora di più.
Ci sono flirt, e battute, e quel tipo di chimica amore-odio che si sa benissimo come andrà a finire. L’intera faccenda ci è stata presentata fin dall’inizio come una commedia romantica spacciata per film d’azione, o forse il contrario. E poi Edgar-Jones va a vedere da che parte soffia il vento usando un dente di leone, e Chung fa ruotare la macchina da presa intorno a lei, riprendendo l’attrice da un’angolazione più bassa. La maggior parte delle persone riconoscerà questo trucchetto come “l’inquadratura di Spielberg”. Non è una grande sorpresa, visto che il regista dello Squalo e di Jurassic Park è uno dei produttori di questo sequel. Per una frazione di secondo, tuttavia, si viene trasportati indietro a un’epoca in cui la meraviglia e lo stupore facevano parte della programmazione regolare dei blockbuster, quasi come quando si sente la campionatura di una canzone che si amava un tempo usata come gancio per una nuova hit pop. Dimenticatevi le tempeste. Questa è una caccia alla vecchia magia del grande schermo.
Ci sono molti momenti come questo in Twisters, alcuni brevi ed evidenti, altri che fungono da fulcro per scene letteralmente da urlo. Chung ha una grande sensibilità per l’America rurale e, come per l’Arkansas di Minari, non c’è alcuna condiscendenza, romanticizzazione o sentimentalismo nei confronti della piccola città dell’Oklahoma che qui fa da sfondo: è semplicemente una parte del paesaggio che rischia di subire disastri naturali o causati dall’uomo e che si rimette in piedi dopo una catastrofe (le parole “cambiamento climatico” non vengono mai pronunciate a proposito dell’aumento del numero di tornado che devastano la zona, ma come la straordinaria capacità di Kate Cooper di fiutare tempeste lontane, si può percepire il sottotesto che ribolle sotto la superficie). Non si direbbe che la spettacolarità sia nelle sue corde, ma Chung sa come costruire la tensione e il ritmo necessari. La maggior parte dei registi tratterebbe una sequenza con dei sopravvissuti che trovano rifugio in un vecchio cinema come una dichiarazione simbolica. Lascia che un tornado faccia a pezzi quella sala. Il cinema non può più salvarti!
E non sorprende che Twisters sappia di avere a disposizione un’arma non tanto segreta. Daisy Edgar-Jones è stata incaricata di fare il lavoro pesante dal punto di vista emotivo e drammatico: ha una tragica storia alle spalle, la riluttanza a tornare sul campo e quel mix di orgoglio e disturbo da stress post traumatico che il suo personaggio sperimenta quando torna in servizio. Si guadagna eccome quell’inquadratura alla Spielberg. È Glen Powell, tuttavia, che fa esplodere tutto. Si vede il suo sorriso che brilla attraverso un parabrezza sporco prima che il suo “Tornado Wrangler” mostri il suo volto, scendendo dal suo camioncino per salutare i fan adoranti e sventolare magliette con la sua faccia stampata sopra. Non gli è richiesto nulla di camaleontico. Nessuno gli chiede di fare un accento stravagante accento. È solo Powell che proietta sullo schermo la sua presenza da mille watt, seducendo la macchina da presa in un modo che gli abbiamo già visto fare molte volte e che probabilmente vedremo ancora molte volte. Non è che si affidi esclusivamente alla sua strafottente sicurezza in sé stesso, per passare da una situazione di pericolo all’altra; Powell sta dimostrando di capire perfettamente come si “sta” in un grande film. Ci si chiede se alcune parti della sceneggiatura dicano: “E poi Glen fa quella cosa che solo Glen sa fare…”.
Mettetelo accanto a Edgar-Jones, che si perde tra gli scatti d’ira formato pixel di Madre Natura ma prende vita lottando contro un vero essere umano, e sentirete che Twisters si avvicina a qualcosa di più interessante del suo contenuto usa-e-getta. Anche il formidabile cast di supporto – un gruppo eclettico che comprende il futuro Superman David Corenswet, la Katy O’Brien di Love Lies Bleeding (il film con Kristen Stewart da noi in arrivo a settembre, ndt), il cantante dei TV on the Radio Tunde Adebimpe, Sasha Lane e Kiernan Shipka – sembra smettere di fare quello che sta facendo e limitarsi a osservare la scoppiettante energia generata dalla coppia protagonista. Non ci sono torri d’acqua che cadono dal cielo, tronchi d’albero che volano o auto ed esseri umani che vengono sbalzati in un vortice che possano competere con la chimica di quei due attori circondati da effetti speciali. Probabilmente dimenticherete tutti tornado di questo sequel prima di aver superato la macchina dei popcorn vicino all’uscita. È la calma prima e dopo le tempeste a farvi sentire come se fosse di nuovo il 1996.